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FRANCESCO DI GIACOMO - Non mi svegliate ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno.
06/04/2014 (4641 letture)
Se qualcuno di voi ha già avuto modo di leggere miei articoli precedenti riguardanti personaggi scomparsi da poco, come ad esempio quello su Freak Antoni, sa che non amo affatto scriverne le biografie in senso stretto. Di queste se ne trovano in abbondanza in rete e, certamente, ne verranno in formato cartaceo ben più esaustive di quanto è possibile fare nella forma articolo. Questo scritto, invece, mira più a parlare di Francesco Di Giacomo come artista e come persona, cercando di sottolinearne l'importanza sotto ambedue gli aspetti ed in relazione al suo attraversare epoche socio-musicali differenti. Il tutto, unendo allo scritto dei ricordi personali. Il modo migliore, credo, per trasmettere certe emozioni.

LE ESPERIENZE COL BANCO
Nato in un piccolo paesino della Sardegna, si trasferisce a Roma all'età di cinque anni. La madre amava cantare e quando, sedicenne, un amico gli chiede di provare a cimentarsi nel cantare un pezzo della sua band, lo fa. Era semplice divertimento, ma decide di formarne una per conto suo: Le Esperienze. Provano in parrocchia, facendo cover di Eric Burdon and The Animals ed altri, con tutti i problemi che comporta l'avvicinare un ambiente ecclesiale ad un gruppo di capelloni nei primi anni '60, quando le messe beat dovevano ancora arrivare. Le Esperienze, comunque, riescono a fare un po' di strada, approfittando anche di un momento estremamente favorevole per un certo tipo di musica. Il prog vero e proprio sarebbe esploso di lì a poco, ma Francesco Di Giacomo guida una band che vede già in formazione anche Pierluigi Calderoni alla batteria e Renato D’Angelo al basso, anche in tour in Germania. Lì, prende contatto con una realtà che vede già perdenti i gruppi che propongono cover (qui potrei introdurre un pippone lunghissimo sulla situazione attuale in Italia, ma sarebbe irrispettoso verso il vero oggetto dell'articolo) e poi partecipa al Festival Pop di Caracalla, dove conosce quelli del Banco del Mutuo Soccorso, alla ricerca di un cantante e due strumentisti. Da qui in poi, la storia. Col Banco, Francesco Di Giacomo scrive e canta col suo timbro inconfondibile versi che non sono semplicemente parole appoggiate su musiche magnificamente architettate, ma autentica poesia. Circa le gesta del gruppo, i suoi dischi e l'importanza che ha avuto per la storia del progressive e della musica italiana in generale, ci siamo già ripetutamente espressi con vari articoli e recensioni, che vi invito a leggere e a rileggere, così come sulla sua fine. Quello che mi interessa molto al fine di rendere giustizia a Di Giacomo, è far capire la bellezza antica ed atemporale di quanto da lui scritto. Anche se di ciò ci siamo già occupati in questo articolo, l'assoluta musicalità dei suoi versi merita di essere evidenziata in maniera più ampia, anche perché sono proprio questi che gli sopravviveranno, se non improvvidamente dimenticati dalle generazioni future, come spesso accade.

LA NOTTE NELLA RETE
Si potrebbero citare decine e decine di testi a questo scopo, ma oltre a quello appena richiamato, estrapolerò solo due di questi, non necessariamente riferiti alle canzoni più conosciute, ma tra quelli preferiti da Francesco. Quelle parole, quando cantate da vivo, erano rivolte ad un pubblico che viveva una situazione politica tesissima, che aveva voglia di specchiarsi in parole che riflettessero quell'ansia e quell'incertezza. Un pubblico vivo, abituato a vivere il quotidiano con una coscienza oggi inimmaginabile, investendo la musica di un ruolo forse più importante di quello che poteva realmente assumere (almeno nel primo caso), finendo nell'implosione del 76/77. A quella gente le band progressive risposero in due modi: uno più violento ed immediato come quello degli Area di Demetrio Stratos -del quale era amico e col quale trascorreva lunghe notti, assorto in discussioni sulla vita- ed uno più poetico, leggero in apparenza, sognante, ma altrettanto efficace e descrittivo dell'altra metà della mela del prog. Il primo testo è degli anni '70, ed è quello di La Notte è Piena, tratto da Come in un'Ultima Cena, il secondo è degli anni '90, quello di Tirami Una Rete, da Il 13 ed ambedue, ad onor del vero, non furono suonati molto durante i concerti, ma questo è un fatto secondario rispetto alla loro bellezza.

La Notte è Piena
Porta i sospiri degli uomini la notte
desideri innocenti o perverse voglie.
Sulle sue ali può portare tutto:
il sogno di mordere una mela,
o la voglia di vittorie ad ogni costo.
Piena di urla disperate è la notte
le distinguerai tutte una dopo l'altra.
Se ascolti bene dentro al silenzio le senti...
Sbranarsi tra di loro.


Tirami una Rete
E' incredibile restare a terra con le ali sgonfie
in salita scattano avanti e tu che non ce la fai.
E invece no, sto come sto, ma ho tanta vita da fare come sto.
Ma l'uomo che ha paura fa di tutto, adora piccoli dei, fa di più,
chiama amore una suggestione o che.
E allora no, sto come sto, c'è tanta vita da fare come sto.
Sto come sto, cerco l'azzurro dei gesti, come i tuoi.
Tirami una rete e non lasciarmi andare che sto dove sto.
Non farmi cadere perchè si può cadere di più, fossi in te rischierei. Mi potrei schiantare
come un aquilone, quando il vento non c'è, ma tu fammi atterrare
senza farmi male che puoi, io ti benedirei.
Solo come tanti è normale quasi mortale, anche un atleta sbaglia gare importanti
questo lo sai? Mi senti o no? Sto come sto, nel rosso delle parole quelle tue.
Tirami una rete e non lasciarmi andare che non so dove sto.
Non farmi cadere che c'è molto di più, c'è di più, fossi in te rischierei.
Mi potrei schiantare come un aquilone quando il vento non c'è,
ma tu fammi atterrare senza farmi male che puoi, fossi in te rischierei.
Fammi riposare gli occhi su di te tutto il tempo che c'è, ma tirami una rete
con tutta la vita che sei, io ti benedirei.
.

UN DI GIACOMO PER TRE
Una sera d'estate del 1981 -avevo 14 anni- mi recai a sentire un concerto del Banco che si teneva nella mia città. Ovviamente non avevo fatto in tempo a vivere il loro periodo anni '70, ed il gruppo mi era noto soltanto per Paolo Pa, ma troppo fresco era per loro il ricordo del passato e troppo pochi i pezzi meno progressive per evitare di riproporli in toto, in una scaletta che, vista oggi, era memorabile. La gran parte dei più giovani reagì in due maniere: metà se ne andò appena il prog fece capolino, l'altra metà -ovviamente comprendente il sottoscritto- restò letteralmente affabulata dalla musica e da quella presenza a centro palco che parlava e cantava come non avevamo mai sentito, né per radio, né per televisione. Dietro di me, erano piazzati due fratelli che frequentavano la mia scuola, ambedue più grandi, ambedue vestiti come dandy di fine millennio ed ambedue musicisti dediti all'elettronica che, all'epoca, cominciava a far breccia dalle nostre parti, procurando a chi lo suonava un codazzo di ragazzine rapite da quell'aria da bravi ed eleganti ragazzi. Sia durante le canzoni che, soprattutto, durante le pause tra l'una e l'altra, un brusio continuo da parte loro che aumentava di volume nelle seconde appositamente per cercare di farsi sentire dai musicisti, visto che eravamo a pochi metri dal palco. Un esempio dei loro discorsi? Ecco: "Superati, proprio superati. Quella chitarra così vecchia, così antipatica con quegli assoli inutili. La voce così tronfia, così forte, niente.... sono proprio vecchi, vecchi e superati". Erano passati solo pochissimi anni dai loro dischi epocali e, nonostante il fatto che tutto il pubblico suo malgrado interessato da quella stucchevole discussione, ad un certo punto non ne abbia potuto più ed abbia imposto ai due fratelli di andarsene o sarebbero stati "allontanati", il ricordo di un malinconico, trasognato Di Giacomo, rivolto più verso un dialogo con le canzoni che con gente che, in massima parte, poco sapeva della storia del Banco, è ancora molto vivo. Peggio doveva succedere nel 1988. Durante le manifestazioni estive, il Banco venne invitato a suonare presso l'Arena Villa Dante, impianto posto in posizione centrale, ma popolare della mia città. Il loro concerto veniva dopo quelli di "artisti" che oggi definiremmo neo-melodici che si erano esibiti nei giorni precedenti o, comunque, di estrazione pop-olare, ma non nel senso che si dava al termine ad inizio anni '70. Il pubblico di quella sera era in massima parte composto da famiglie che, al massimo, arrivavano ai Cugini di Campagna, vecchi rimasti a Claudio Villa e giovani discotecari. L'arena è abbastanza capiente e quella sera conteneva, ad occhio e croce, circa 2000 persone, per ciò che ricordo. I pochi anni ulteriomente trascorsi avevano già cambiato molto il set del gruppo, il quale incentrò tutta la prima parte dell'esibizione sulla produzione dal 1980 in avanti. Paolo Pa, Moby Dick, Notti Kamikaze (se non ricordo male) erano già state sufficienti ad allontanare qualche centinaio di persone, ma quel che accadde quando nell'arena cominciarono a risuonare i raffinati arabeschi progressivi, fu realmente brutto. Il pubblico, dapprima stordito, poi palesemente infastidito, cominciò ad andarsene persona dopo persona, finché restammo in circa cinquanta, che ebbi modo di contare personalmente. Prima della fine del concerto, ovviamente portato a termine da professionisti, mio figlio, allora neonato, cominciò a piangere ed anche io dovetti andarmene prima del tempo. Uscendo, fui costretto a passare davanti al palco e, data la situazione, la band se ne accorse. Di Giacomo mi guardò rassegnato ed io mi vergognai come un ladro, poi ricominciò a cantare al cielo. Avrei voluto spiegargli che non era come sembrava e che a me interessava e piaceva ciò che stavano facendo, ma non fu possibile. Lui proseguì il suo canto rivolto a nessuno, ed io rincasai vergognandomi della mia città. Tra i due concerti, distanti sette anni l'uno dall'altro, il completo disfacimento della cultura dell'audience e del rispetto verso l'arte e l'artista, con impietoso raffronto tra il pubblico quasi in rivolta contro i due criticoni del 1981 e comunque interessato a sentire il concerto, e quello del 1988, incapace di valutare, privo di cultura, memoria e riguardo. Infine il 2012. La cornice in cui mi sono imbattuto per l'ultima volta nel gruppo ed in particolare in Francesco Di Giacomo è stata di ben altro livello, come riportato in questo live report. Ancora una volta il tempo aveva rimescolato le carte, ridando al prog ciò che era del prog. Grande teatro, grande pubblico (età media alta, sì, ma anche molti giovani) e grande concerto. Francesco era sempre trasognato, rapito della musica e dalla musicalità leggiadra delle parole e dal loro potere avvolgente, capace di far levitare anche una persona corpulenta come lui. Alla fine del concerto fu molto gentile e, nonostante lo spettacolo fosse terminato solo da pochi minuti, discusse volentieri con me nel backstage, come era suo costume con chi lo avvicinava. Io ero con l'ex neonato che aveva involontariamente provocato il mio allontanamento dal concerto del 1988 e lui ascoltò quella ed altre storie, annuendo divertito, dando consigli e salutando alla fine, senza alzarsi mai da una cassa per quanto era stanco dopo l'esibizione. Anche da queste cose nasce l'ammirazione per l'artista ed il rispetto perl'uomo.

IL VIAGGIO ALATO
Francesco Di Giacomo è morto il 21 Febbraio scorso, a causa di un incidente stradale occorsogli in seguito ad un malore che lo ha colto mentre era alla guida in quel di Zagarolo, in Via Valle Del Formale. Quest'uomo appartenente anche esteticamente ad un altro tempo, antidivo come tutti i veri divi, con la sua barba, la sua passione per la cucina regionale che lo ha portato anche a tenere dei corsi, attore in tre film importani di Federico Fellini come Satyricon, Roma e Amarcord, poeta ed autore, lascia ai posteri le opere che contengono la sua inconfondibile, potente voce tenorile coltivata in proprio e le sue parole. Avvolgenti, fluttuanti, suggestive, immaginifiche, a descrivere realtà/non realtà oniriche che solo apparentemente sono esclusivamente tali, ma che parlavano di noi, della nostra contemporaneità, delle costanti che accompagnano l'uomo attraverso lo scorrere del tempo e di ciò che è peculiare del nostro. Delle aspirazioni di una generazione che ha provato a cambiare tutto, pur senza riuscirci o facendolo solo in parte, ma che, al contrario di ciò che accade oggi, ci ha provato; anche con la musica e la poesia che arrivava in cima alle classifiche. Adesso può dormire quel sonno da bambino e da ubriaco di Non mi Rompete. E forse, il modo migliore per salutarlo è con i suoi versi, non espressamente dedicati ad una canzone, ma quelli composti per dare i titoli ai brani de ... Di Terra, lavoro orchestrale del Banco, che poi, pronunciate di seguito, compongono una poesia. Ciao Francesco, sogna pure il tuo viaggio alato su un carro senza ruote.

Nel cielo e nelle altre cose mute, terramadre,
non senza dolore,
io vivo né più di un albero non meno di una stella
nei suoni e nei silenzi di terra.



Raven
Martedì 8 Aprile 2014, 13.37.50
14
Ri-grazie a tutti
Des
Martedì 8 Aprile 2014, 10.35.35
13
gran bell'articolo! mi sono commosso nel leggerlo. complimenti Raven.
Metal4ever
Lunedì 7 Aprile 2014, 22.11.11
12
Anch'io purtroppo non ho mai visto un concerto del Banco, ne ebbi l'occasione due anni fa, ma l'assenza di liquidi e di un passaggio in macchina me la fecero mancare; un gran bel peccato. Comunque, articolo bellissimo e toccante. Bravo Frà
Hm is the law
Lunedì 7 Aprile 2014, 15.53.13
11
Articolo commovente, grazie Raven
Raven
Lunedì 7 Aprile 2014, 14.24.29
10
Grazie a tutti
Le Marquis de Fremont
Lunedì 7 Aprile 2014, 13.41.40
9
Merci Monsieur Raven. Come qualcuno ha già detto, articolo scritto veramente con il cuore e la sensibilità che lei ha. Mi ha commosso e toccato nel profondo. Artista splendido e grandissimo poeta. Amo moltissimo i suoi testi, soprattutto La Citta Sottile e R.I.P. Lasciamo poi stare il livello culturale di un popolo che è stato rimbambito dal "biscione che ti aspetta" e che ha saputo dire per anni "mi può dare un aiutino?".
Master
Domenica 6 Aprile 2014, 20.34.32
8
Gran bell'omaggio, Raven, scritto col cuore e la passione di sempre.
jek
Domenica 6 Aprile 2014, 20.21.07
7
Altro bell'articolo. Avevo visto il banco in concerto una tombola di anni fa avevo 13-14 anni, detta tutta non mi sono mai piaciuti, certo lui era un personaggio ma non lo ho mai segiuto più di tanto comunque un artista a tutto tondo cui bisogna tributare onore e rispetto.
Raven
Domenica 6 Aprile 2014, 18.59.37
6
Ragazzi, vi sarei grato se restassimo IT. Si tratta di un omaggio ad una persona scomparsa, credo che i commenti devano rimanere in questo ambito. Dei gruppi citati possiamo parlare sul forum o in calce ad altri articoli più specifici. Un paio di commenti possono starci, ma parliamo di Francesco, Grazie
gianmarco
Domenica 6 Aprile 2014, 18.52.09
5
i pink floyd ? che ne pensatedel post waters '
Steelminded
Domenica 6 Aprile 2014, 14.09.22
4
Che bell'articolo Raven, mi ha proprio commosso... Bellissimo omaggio all'artista che non c'è più... Quanto alla degenerazione del prog rock negli anni 80, mi viene da dire che non è stato un fenomeno solo italiano, anzi... chi più chi meno tutti i gruppi storici si sono lasciati andare a delle sonorità pop deteriori, vedi Genesis, Yes, ELP, Camel etc. Tranne i Van Der Graaf Generator, rimasti mortiferi e lugubri come sempre
Raven
Domenica 6 Aprile 2014, 10.13.40
3
Sulla parabola dei gruppi prog (od ex prog) durante gli anni 80 ci sarebbe molto da scrivere, ed in parte lo abbiamo fatto. Altrettanto, però, ci sarebbe da dire circa certi assessori che dovrebbero essere alla cultura ed, in buonissima parte, erano (sono?) su certe poltrone solo perchè aderenti a certi correnti politiche e senza avere la minima preparazione per farlo. Inserire il Banco all'interno di un certo cartellone può non essere una scelta azzeccata. Certamente il pubblico ha il dovere/diritto di conoscere certe cose, ma anche questo è un discorso lunghissimo; purtroppo. In ogni caso fecero un concerto ugualmente godibile.
hulk
Domenica 6 Aprile 2014, 9.38.26
2
Bellissimo articolo,devo vergognosamente ammettere che non sono mai stato ad un loro cocerto e me ne pento,uno dei pochissimi poeti,che metteva la poesia pura e sublime in musica,che altro dire? I suoi testi dicono tutto.Cert però fa pensare che se c'era anche pubblico da cugini di campagna e Claudio era molto variegata la sua oudience a quei tempi,mi rammarico e lo ripeto di non averli visti dal vivo,mea culpa.Grandissimo Di Giacomo.
Un lettore
Domenica 6 Aprile 2014, 8.52.56
1
Articolo bello e interessante.
IMMAGINI
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Francesco Di Giacomo (cover di Rino Gissi)
ARTICOLI
06/04/2014
Articolo
FRANCESCO DI GIACOMO
Non mi svegliate ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno.
 
 
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