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27/07/24
DIVINE METAL FEST 7
ALTERNATIVE, C.DA ULIVETELLA - MONTENERO DI BISACCIA (CB)
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NUNSLAUGHTER - Arci Mu, Parma (PR), 13/06/2019
19/06/2019 (709 letture)
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I Nunslaughter, istituzione del death metal underground, alla loro terza calata italiana, vengo accolti molto tiepidamente rispetto ai passati successi. Con loro, anche i finlandesi Inferia, da molto tempo attivi nel panorama death/grind, e un paio di touring slot - stranieri - veramente inutili, dei quali ometterò qualsiasi tipo di riferimento data la spudoratezza con cui sono stati accorpati (per ovvi motivi e ben noti meccanismi) ad un nome di culto quale quello della band di Don of the Dead. Ecco dunque il mio resoconto.
INFERIA La bizzarra storia degli Inferia inizia nel 1989, ben 30 anni fa, durante i quali pochi passi la band finlandese ha fatto dalla piccola nicchia che si è ricavata in quello che inizialmente era un death/grind di stampo Carcass-clone (a grandi linee) e che è sempre stato caratterizzato da un approccio ironico e non particolarmente sottile a tematiche come sesso estremo e pornografia. Lo stesso tipo di imbarazzo nello scriverlo (e spero nel leggerlo) lo si prova in un certo senso in uno spazio semivuoto in cui titoli come External Vaginal Orifice vengono annunciati, o mentre un dildo a ventosa (i lettori perdonino la mia pochezza lessicale) viene attaccato al basso, ma devo dire che la proposta del gruppo è competitiva, il che gli ha permesso di ottenere un numero di riconoscimenti pari al minimo sindacale, come l’immancabile apparizione all’Obscene Extreme qualche anno fa, e alcuni altri festival grindcore. Principalmente la proposta del gruppo si mantiene su un grind estremamente veloce (il batterista, seppur non chirurgico, è stato incredibilmente furioso) con un un riffing minimale, quasi punk, come potrebbe essere quello dei primi Terrorizer. Non mancano però momenti più prettamente death metal (che azzarderei definire più moderni ma che non saprei collocare cronologicamente) che mi hanno lasciato meno convinto.
NUNSLAUGHTER Questi Nunslaughter mi sono parsi subito davvero in forma. Com’è ovvio, si nota subito la mancanza del bassista, che si è rotto una gamba durante il tour (Don ne approfitta per raccontare che è scivolato sulle Guts of Christ, approfittandone per presentare l’omonimo pezzo) ed è dovuto tornare negli USA, ma il problema è ovviato – in termini semplici – sdoppiando il segnale di chitarra, abbassando la tonalità di uno dei due canali e processandolo come se venisse da un basso vero e proprio, il che permette di avere anche la parte più bassa dello spettro di frequenze, garantendo comunque un suono ricco e d’impatto. I suoni con loro sono particolarmente buoni, uniti alla godibilissima situazione open air del Mu di Parma.
La voce di Don la fa da padrone, con la sua timbrica inconfondibile unita ad una presenza scenica davvero magnetica, quasi direi rara nel panorama death metal più underground e integralista, che generalmente non promuove frontman troppo caratterizzati. Ma nel caso dei Nunslaughter, si tratta proprio del fondatore nonché dell’unica costante identificativa del gruppo, che si è almeno da questo punto di vista un po’ spersonalizzato dopo la prematura scomparsa di Jim, da lunghissimo tempo batterista della band, sostituito (almeno ad oggi) da un ragazzo giovane ma decisamente capace. La decisione di Don di portare avanti i Nunslaughter nonostante la morte del compare non è stata certo attaccata, che io sappia, ma mi chiedo se sia stata una sorta di disaffezione al gruppo a rendere questa calata italica del gruppo particolarmente sfortunata (si attestano meno di 40 paganti) rispetto alle due precedenti, l’ultima ben 5 anni fa. Di certo, la posizione un po’ periferica del concerto, la concorrenza dei moltissimi eventi nella stessa settimana e il fatto che fosse una data infrasettimanale (che non ha comunque risparmiato un notevole ritardo sui tempi previsti) non hanno giocato a favore di questo specifico concerto.
Resta comunque il fatto che il piccolo ma appassionato drappello di presenti ha animato la situazione nel migliore dei modi, dando sfogo alla recondita bestialità che un concerto del genere mira a risvegliare negli astanti, in particolare sul classico immancabile Raid The Convent, in cui quasi si finiva per divellere le transenne. La scaletta nutritissima favorisce di certo il capolavoro Goat, con l’accoppiata The Crowned and Conquering Hag e She Lives By Night ad aprire il concerto, ma con anche molti estratti dal classico Hell’s Unholy Fire (citerei sicuramente la viscerale Death By The Dea, o la forsennata Cataclysm), così come le numerose chicche estratte dall’infinita sequela di 7’’ rilasciati dalla band nel corso della trentennale carriera, molti dei quali con nomi illustri dell’underground globale, e sicuramente apprezzati dal pubblico visibilmente esperto.
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