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Nico - The Marble Index
01/09/2017
( 1670 letture )
Nico, conosciuta anagraficamente come Christa Paffgen. Questo il vero nome dell’artista di cui parliamo oggi, scomparsa a cinquant’anni esatti dopo aver lasciato un’eredità aristica notevole nella sua poliedricità, poiché oltre alla carriera musicale si dedicò anche a quella di attrice e modella. Tra tutte le opere realizzate nella sua vita verrà ricordata principalmente per due motivi dalle grandi masse. Dal punto di vista cinematografico per essere stata presente in molte pellicole di Andy Warhol, imprescindibile esponente della pop art, e aver fatto la comparsa nel film “La Dolce Vita” di Federico Fellini.
Dal punto di vista musicale invece collabora inizialmente con i The Velvet Undergorund pubblicando il debut album, intitolato per l’appunto The Velvet Undergorund and Nico, per i più profani l’album della banana, prima di lasciare la band a causa di continue divergenze con un certo Lou Reed. Oltre a questi progetti, che da soli sono bastati a consegnarla tra gli immortali, l’artista tedesca decide alla soglia dei trent’anni di intraprendere una carriera solista che si rivelerà poi essere sorprendentemente pionieristica. Nello stesso anno del primo album targato The Velvet underground piombò sul mercato anche il debutto Chelsea Girl, la cui It Was a Pleasure Then fece parte della colonna sonora dell’omonimo film di Andy Warhol, artista ancor più poliedrico, il quale incrocerà più volte la sua strada con quella di Nico.

Archiviata questa prefazione extra musicale, non resta che occuparci del secondo lavoro della carriera solista di Nico, pubblicato solamente l’anno successivo al debutto, che già faceva intravedere dei progressi vertiginosi. Sette tracce più intro per una durata complessiva di mezz’ora circa, un arco di tempo durante il quale veniamo proiettati nella realtà alienante che vive all’interno della mente tedesca e, soprattutto, del compagno d’avventura John Cale. Scordatevi di sentire la stessa atmosfera del precedente The Velvet Underground and Nico. Mentre l’incipit della leggendaria Sunday Morning iniziava con un glockenspiel che dava il via ad una canzone soave e spensierata, l’intro Prelude è quanto di più decadente ci si possa aspettare. Il glockenspiel c’è sempre, ma si sente molto al di sotto rispetto al resto, incorporeo come uno spettro nella nebba. La prima canzone vera e propria risulta tetra e a tratti inquietante, soprattutto se ascoltata al buio di notte. Lo sguardo misterioso sulla cover dell’album sembra scrutare all’interno della nostra stessa anima, mentre il timbro scuro e profondo, specialmente per una donna, rimbomba più volte in testa. Il suono è dissonante all’inverosimile, e a rendere ancora maggiore questo effetto disturbante ci pensa la voce della cantante che, vuoi la pronuncia inglese non ancora impeccabile, vuoi la componente imtimidatoria del forte accento tedesco, potrebbe quasi sembrare canti in una lingua sconosciuta se ascoltata distrattamente. Prestando orecchio in molto attento invece si può percepire un effetto sonoro molto simile ad un lamento verso i due minuti e mezzo, il che contribuisce ad aumentare l’aura di inquietudine ed angoscia che permea attorno al brano. Più che combattere i suoi demoni, Nico sembra volerli evocare, abbracciando le tenebre come se fossero il suo elemento naturale, mentre i comuni mortali non osano addentrarsi in questo clima intriso d’energia oscura, quasi esoterica, che sfugge al loro controllo. Dopo la lugubre Lawn of Dawns è il turno di No One Is There, introdotta da uno armonioso spiccato di viola suonato da John Cale, che in fase di registrazione si occuperà di suonare quasi tutta la sezione strumentale. Questa composizione si rivela essere più che altro malinconica, la decadenza c’è sempre, in particolare durante i vocalizzi conclusivi, senza avere però quell’alone di tenebra della precedente. Veniamo però messi nuovamente alla prova dalle frequenze binaurali durante Ari’s Song, che per tutto il brano avvolgono tra le spire il suono solenne dell’harmonium fino a farlo scomparire prima della conclusione. Dopo una Facing the Wind talmente angosciante da rendere le composizioni dei Goblin una ninna nanna per bambini, è il turno dell’episodio più completo del lavoro. Julius Caesar unisce sia la malinconica armonia portata dalla viola durante , sia la controparte deprimente che domina le altre tracce, contrappuntando il tutto come due facce della stessa medaglia che non vanno mai ad intaccarsi tra loro. La sperimentale Frozen Warnings serve a prepararci per l’ultimo fondamentale tasselo di questo mosaico, la conclusiva Evening of the Light, dove l’autrice riesce a far correre un brivido lungo la schiena dell’ascoltatore, che rimane scosso, quasi pietrificato dal lento ma inesorabile crescendo d’intensità. Ed è questo forse l’obiettivo finale che vuole ottenere al termine della sua creazione, chiamata appunto The Marble Index: lasciare lo spettatore attonito e pietrificato dalla sua oscurità annichilente, che riverbera ancora nelle nostre membra dopo l’eco dell’ultimo stridìo che esce dallo stereo.

Album d’avanguardia, precursore dei tempi, pionieristico, sperimentale, possiamo scegliere il termine che più ci aggrada per definire questo lavoro. Quello che non può essere messo in discussione è il peso imponente occupato da The Marble Index all’interno della discografia di Nico, già fondamentale l’anno d’uscita e divenuto sempre più inamovibile con il passare del tempo. Il suo valore intrinseco è dovuto ad una capacità di composizione talmente visionaria da essere inconcepibile per l’epoca in cui si trovava, e forse non compresa appieno nemmeno al giorno d’oggi. Da lì in poi, visti i riscontri positivi, Christa proseguirà con la sua carriera solista, conoscendo tantissime personalità importanti e stringendo con loro molte amicizie, spesso andando anche oltre, e pubblicherà Desertshore, da molti considerato il suo miglior lavoro, grazie al quale diverrà capostipite del gothic. La vera genuinità dell’artista però è racchiusa in questo involucro ovattato. Se si vuole conoscere il lato più oscuro degli anni ’60, almeno musicalmente parlando, bisogna passare di qua. Basta mezz’ora per influenzare decenni.



VOTO RECENSORE
87
VOTO LETTORI
62 su 4 voti [ VOTA]
No Fun
Mercoledì 8 Novembre 2023, 10.55.19
3
Ieri stavo ascoltando Desertshore, e mi sono chiesto cosa ci fosse scritto qui su quel disco. Ragazzi, recensite quel capolavoro, un disco spaventoso da quanto è bello, davvero sublime nel senso romantico del termine. No non ditemi \"perché non ti proponi\" , la penna gotica ce l\'avete già ed è brava
No Fun
Giovedì 10 Ottobre 2019, 23.05.14
2
Chiedo scusa, ho scritto voce angelica usando un'espressione abusata per dire una bella voce ma la voce di Nico non ha nulla di angelico, è teatrale, rituale, è fredda come una cattedrale (angelica, ma che diavolo scrivo...)
No Fun
Giovedì 10 Ottobre 2019, 22.42.46
1
Ascoltiamo la sua voce angelica mentre dietro di lei accade un terremoto di rumori, di spasimi sonori, battiti, rintocchi, volteggi di archi che si rincorrono e si accapigliano, tutti tenui certamente, sovrastati dalla sua voce, ma sono come tante piccole ferite su cui la sua voce è un balsamo, anche se a volte è ancora più inquietante dei rumori stessi che ricopre. Da ascoltare da soli, mi verrebbe da dire al buio ma invece ascoltandolo dà l'idea di una luce intensa come aprire gli occhi in un mezzogiorno estivo, sarà che quei rumori di John Cale sembrano trilli ossessivi di cicale. Concordo con Fabio che Julius Caesar è l'apice del disco.
INFORMAZIONI
1968
Elektra Records
Avantgarde
Tracklist
1. Prelude
2. Lawns of Dawns
3. No One Is There
4. Ari’s Song
5. Facing the Wind
6. Julius Caesar (Momento Hodie)
7. Frozen Warnings
8. Evening of Light
Line Up
Nico (Voce, Harmonium)
John Cale (Chitarra, Basso, Viola, Pianoforte, Glockenspiel, Campane, Armonica, Fiati)
 
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