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27/04/24
CRASHDÏET
VHS - RETRÒ CLUB, VIA IV NOVEMBRE 13 - SCANDICCI (FI)
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23/08/2020
( 718 letture )
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Arrivati ad una certa età, è inevitabile guardarsi addietro. Non necessariamente per un’inutile ventata di nostalgia o per l’ancor più inutile girotondo dei rimpianti, che gira e ti riporta sempre allo stesso punto. Semplicemente, i vari incroci della vita, con le scelte che comportano, prima o poi tornano alla mente. Si dice che i treni passano una volta e poi non ritornano, ma in verità questo non esiste: di fatto, le possibilità sono infinite, come infiniti gli esiti. Ecco quindi che una serata con gli amici di una vita, la solita serata, quella ripetuta negli anni fino allo spasimo, in qualunque momento può produrre un risultato inatteso e aprire una strada che sembrava chiusa e dimenticata e che mai avremmo pensato di percorrere nuovamente o di tracciare ex novo. Questa è più o meno la storia dei Madhouse, five piece di Amburgo, che sul finire degli anni 80 aveva composto e registrato due demo, salvo poi sciogliersi nel 1991, senza riuscire a dare un seguito a quel sogno appena iniziato. Caso vuole che tutti i membri originali abbiano comunque proseguito a suonare in gruppi della scena locale e non si siano quindi mai persi di vista, finché un bel giorno, una chiacchiera tira l’altra e i Madhouse decidono che è arrivato il momento di riprovarci, dopo quasi venticinque anni dallo scioglimento. Trovato in Didi “Shark” Schulz il vocalist giusto, dal 2016 la band è al lavoro ufficialmente e, dopo un nuovo demo nel 2017, arriva quindi il sospirato debutto Metal or Die! nel 2018 a cui, con rinnovato entusiasmo, fa seguito questo Braindead.
Giusto per non perdersi neanche un cliché, i Madhouse definiscono la propria musica Teutonic Heavy Metal e, in effetti, la definizione rispecchia piuttosto bene la proposta: heavy metal classico, tinto di power/speed e, soprattutto, di thrash metal vecchia scuola, con il particolare cantato di Schulz a completare il tutto. Particolare perché in effetti non si può davvero parlare di cantato, in questo caso: quello di Schulz è più un parlato di stampo hardcore, declamato a polmoni pieni, sguaiato, spesso al limite della stonatura, condito da cori hardcore/thrash sparati a mille. Spazio quindi a sciabolate thrash/speed, condite a loro volta da armonizzazioni tipicamente metal, così come a melodiche decelerazioni che sanno di eighties fino al midollo, come d’altra parte le ripartenze a briglia sciolta e gli assoli al fulmicotone. Un repertorio che più classico non si potrebbe, squadrato e aggressivo come solo i tedeschi sanno creare. A suo modo, una proposta senza compromessi, data la totale e sbarazzina adesione a canoni così clamorosamente usurati, presi in pieno con l’entusiasmo proprio di chi non ha nulla da perdere e solo tanta voglia di divertirsi, senza prendersi troppo sul serio eppure facendo dannatamente sul serio. D’altra parte, anche la chiave di lettura per l’ascoltatore non può che essere questa: non pretendere nulla, non prendere niente davvero sul serio, ma lasciarsi trasportare dall’ascolto, prendendo Braindead per quello che è, senza aspettarsi altro. E’ anche difficile parlare di operazione nostalgia, perché questi cinque ex ragazzi si divertono palesemente un sacco ed è impossibile non riconoscere loro che sanno esattamente cosa fanno e come farlo bene: i brani scorrono a puntino, costruiti in maniera impeccabile da una band matura e che non ha nulla da dimostrare, capace di tenere gli strumenti con qualità rispetto a cosa propone. Quindi, il trittico iniziale ci dice già tutto, con la velocità e le ritmiche del thrash, le armonie chitarristiche heavy e il cantato sgraziato di Schulz a esaltare gli anthem stagionati dei Madhouse. Appena più ragionata e cadenzata la titletrack, con un’atmosfera meno spensierata, che viene però subito cancellata dalla priestiana Save Your Soul, con tanto di assolo neoclassico teutonic style. Non manca davvero nulla per alzare il boccale. Abbastanza superfluo cercare invece delle tracce superiori o che lascino un particolare ricordo, non è questa la funzione di Braindead, dato che anche l’unica traccia che cerca di andare appena oltre in termini di songwriting, cioè Knights of Avalon, lo fa in maniera talmente riciclata da far sorridere per la simpatia. Il resto è tutto velocità e spensierata leggerezza. Il che non è decisamente un male.
Il secondo album dei Madhouse è quindi un inno agli anni della giovinezza, condotto da un gruppo di musicisti esperti mai divenuti famosi, che si divertono con la musica che conoscono e suonano da sempre. Fatto bene, con competenza, amore e appunto quella leggerezza che fa apparire un disco che, non nascondiamolo, è un continuo e pedissequo revival senza alcunché da aggiungere alla storia del metal, come un qualcosa di irresistibilmente naive, al quale si perdona tutto. Perfino la sua sostanziale inutilità. Potremmo senz’altro parlare di album mediocre, fine a stesso, privo del più elementare elemento di fantasia e della più minima scintilla di personalità e cogliere pienamente nel segno. L’heavy/thrash/speed dei Madhouse è a dir poco citazionista e fiero di esserlo. In questo senso, il voto potrebbe abbassarsi di almeno dieci punti o alzarsi di altrettanti, a seconda delle aspettative e dei gusti dell’ascoltatore. In questo caso, in media stat virtus: i cinque sanno suonare, sanno comporre una canzone che rispetti tutti i crismi e non sia necessariamente odorante di muffa stantia ma, soprattutto, hanno la sfrontatezza di sparare in faccia questa sventagliata di ortodossia come fosse l’inestimabile tesoro di cui tutti avevamo bisogno. In fondo, è così: tutti abbiamo bisogno di un sogno e non c’è niente di male nel volerlo perseguire anche fuori tempo massimo, quando appunto non ci si prende sul serio e non si vuole dimostrare niente a nessuno.
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1
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Meglio i Madhouse austriaci.... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Break the Ice 2. Never Say Die 3. Who Made You God 4. Poisoned Blood 5. Braindead 6. Save Your Soul 7. Last Man Standing 8. Knights of Avalon 9. Oscar 10. Evil Fantasies 11. Psycho God (Remix)
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Line Up
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Didi 'Shark' Schulz (Voce) Carsten Krekow (Chitarra) Thomas Gamlien (Chitarra) Lars Rothbarth (Basso) Paul Slabiak (Batteria)
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RECENSIONI |
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