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The Sword - Age of Winters
08/05/2021
( 1652 letture )
Pochi esordi discografici hanno così radicalmente diviso la critica e il fandom come il debutto Age of Winters dei The Sword. I quattro Texani furono infatti salutati da alcuni come i salvatori del verbo metallico ma bollati da altri come semplici epigoni di bassa lega, con l’accusa di essere saltati con perfetto ed opportunistico tempismo sul carrozzone del revival delle sonorità classiche e settantine del metal che vedeva un discreto fermento all’inizio del millennio. Rinascita questa che passava dalle nuove leve sparpagliate un po’ ovunque nel globo, tra le quali spiccavano, per qualità e contenuti, band come i Witchcraft, Grand Magus, Wolfmother e High on Fire tra le tante. Infine il repentino successo commerciale dei The Sword, quasi senza gavetta alle spalle, unito a contratti remunerativi per l’utilizzo di alcuni loro brani come colonne sonore di videogiochi di punta, attirò non poche invidie e critiche anche da colleghi più o meno illustri, ottenendo forse l’effetto contrario e contribuendo a generare hype e curiosità intorno alla band. Eppure in sede live i quattro fin da subito si produssero in prove incendiarie e trascinanti, riuscendo concerto dopo concerto, album dopo album a mettere a tacere le malelingue e i pregiudizi.

Age of Winters è a tutti gli effetti l’esordio e l’album che li ha lanciati, e nonostante la rozza ingenuità che lo contraddistingue, nella musica come nei testi, è una piccola stella che merita il suo giusto collocamento nel firmamento metallico, pur non potendo ambire a far parte dei classici del genere. La band di Austin suona un heavy metal classico che all’ottanta per cento è debitore dei Black Sabbath, ma che al doom settantiano mischia suoni e produzione minimali che attingono dallo stoner e ritmiche più serrate che sconfinano nel thrash e nello speed metal. Salvo pochi casi, come la lunga suite, Lament for the Aurochs, nella quale prevalgono i mid tempo, i The Sword prediligono infatti la velocità d’esecuzione, dove la sezione ritmica composta dal basso di Bryan Richie e l’inarrestabile batteria di Trivett Wingo ha licenza d’uccidere. Barael’s blade, Winter’s Wolves e Iron Swan sono autentiche mazzate power thrash dove l’impatto e i riff vincono sulla melodia, brani compatti e corti nel minutaggio concepiti per essere dirompenti in sede live. Addirittura la strumentale March of the Lor è l’apoteosi di questo stile granitico e minimale, una lunga cavalcata che sfiora ritmiche consone al death metal, non lontana dai primi lavori dei cugini High on Fire. Altri brani si concedono ad aperture più melodiche dove fanno capolino soluzioni più epiche care ai Witchcraft, ai Mastodon o debitrici dello stoner degli anni novanta. The Horned Goddess e Freya, primissimo singolo dei The Sword, pur non rinunciando alla potenza, sono i brani che più di tutti recuperano la matrice sabbathiana, concedendo spazio anche a parte solistiche di pregevole gusto ad opera di Kyle Shutt, tenute colpevolmente al minimo nei brani più veloci. Ulteriore marchio di fabbrica della band è la voce sgraziata del suo leader, J.D. Cronise, con un’intonazione urlata più vicina al thrash che al doom, ma che conferisce un’impronta unica e riconoscibilissima ai brani. La produzione si abbina perfettamente allo stile musicale di Age of Winters, lasciando una patina di sporco e riverbero che arricchisce questa dimensione volutamente vintage.

Nell’arco di una lunga carriera, durata più di quindici anni anni (alla faccia dei profeti di sventura che avevano predetto un rapido scioglimento), e che vede i nostri vivi e vegeti, con una lineup stabile che per tre quarti è tuttora quella degli esordi, i The Sword da creatura primordiale hanno gradualmente affinato la propria arte, virando da un proto metal urgente e diretto verso lo stoner più canonico degli album successivi. A tutti gli effetti Warp Riders, terzo album della band, segna lo spartiacque tra i The Sword più vicini al metal e quelli più recenti, di scuola hard rock/stoner.
Age of Winters rimane una pietra grezza, dove testi a tema fantasy/mitologico e musica semplice, senza troppo fronzoli, creano un’atmosfera indubbiamente ingenua e naif dalla quale scaturisce però un disco unico nel suo genere, per quanto imperfetto. Age of Winters rimane un album fresco e carismatico e paradossalmente ha risentito meno del passare degli anni rispetto ad alcune delle composizioni successive della band. Assolutamente da riscoprire.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
79.66 su 3 voti [ VOTA]
tosaerba
Martedì 11 Maggio 2021, 23.41.55
2
mi sono sempre piaciuti molto i The Sword, anche quando hanno alleggerito il suono nei dischi piu' recenti. l'unica cosa che non ho mai gradito e' la produzione, grezza e monodimensionale (non so se fatto apposta o meno)
InvictuSteele
Domenica 9 Maggio 2021, 17.11.04
1
Buona band, questo è un bel disco di esordio, seguito da un altro bell'album, per poi arrivare al gioiellino chiamato Warp Riders.
INFORMAZIONI
2006
Kemado Records
Heavy/Doom
Tracklist
1. Celestial Crown
2. Barael’s Blade
3. Freya
4. Winter’s Wolves
5. The Horned Goddess
6. Iron Swan
7. Lament for the Aurochs
8. March of the Lor
9. Ebethron
Line Up
J.D. Cronise (Voce, chitarra)
Kyle Shutt (Chitarra )
Bryan Richie (Basso)
Trivett Wingo (Batteria)
 
RECENSIONI
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