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27/04/25
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TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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LINKIN PARK + FALL OUT BOY - CITY SOUND, Ippodromo del Galoppo, Milano, 10/06/2014
15/06/2014 (3069 letture)
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Martedì 10 giugno era una data a dir poco epocale per ogni fan italiano dei Linkin Park, di quelle da segnare sul calendario con tanto di pennarello indelebile. Sì, perché la band californiana mancava dalla nostra penisola da ormai tre anni e l’attesa ha fatto salire notevolmente l’hype per l’evento di Milano. La location scelta, ovvero l’Ippodromo del Galoppo di Milano -di cui inizialmente ignoravo l’esistenza- si è rivelata delle migliori, pur con qualche difetto che vedremo fra poco, e si è raggiunto un tutto esaurito prevedibile ma difficile da assicurarsi per chiunque in questi tempi di crisi. A quanto pare l’occasione era troppo ghiotta e i 50 euro (prevendita esclusa) del biglietto sono stati spesi con la consapevolezza di poter assistere ad uno show non da tutti i giorni. I Linkin Park, infatti, dal vivo si rivelano sempre degli animali da palcoscenico, tanto da convincere persino i possibili detrattori -che non sono pochi- con prestazioni all’altezza della situazione ed in grado di far emergere un approccio musicale ben diverso da quello che si potrebbe evincere basandosi su un semplice ascolto dei dischi registrati in studio. Sì, è vero, la band ha virato ormai da molti anni verso un sound che ha sempre meno a che fare col metal, ma questi cambiamenti sono del tutto naturali per una formazione che non si pone limiti dal punto di vista dell’esplorazione musicale e sono da interpretare come un’evoluzione via via più marcata e più vicina a ciò che i sei losangelini vogliono davvero esprimere attraverso le loro canzoni. I circa 30.000 presenti all’Ippodromo devono averlo capito e l’hanno effettivamente dimostrato con una vicinanza alla band ed un affiatamento tali da dar vita ad uno spettacolo a 360 gradi, che ha visto protagonista infatti non solo chi era sul palco ma anche chi il palco lo vedeva da dietro le transenne.
L’arrivo a Milano, con un po’ di anticipo sulla tabella oraria iniziale, è stato intorno alle 18.30, col terrore negli occhi alla vista di una coda di macchine che si dirigevano verso la nostra stessa location alla ricerca disperata di un parcheggio. Quest’ultimo è comparso sotto i miei occhi e quelli della mia dolce metà dopo quasi un’ora passata a sudare e -quasi- disperarci ad una temperatura che si aggirava tra i 34° e i 36°. A quel punto il fatto di dover pagare 80 centesimi l’ora fino a mezzanotte (cifra ancora abbordabile) era l’ultima delle nostre preoccupazioni e non pensavamo ad altro se non ad affrettarci verso l’Ippodromo. Dopo una camminata che ci è costata un altro giro completo d’orologio, siamo riusciti a varcare i cancelli accorgendoci che si poteva entrare già alle 15. Ovviamente, a più di cinque ore dall’apertura dei cancelli la quantità di persone presenti non era nemmeno quantificabile. Il muro umano andava via via aumentando, mentre sul palco i Fall Out Boy terminavano la loro setlist. La mezz’ora in cui ho assistito alla loro esibizione non mi ha detto molto e, anzi, i miei pregiudizi iniziali su questa band hanno trovato di che essere confermati. Va comunque sottolineato come il pubblico sembrava in generale apprezzare la performance della formazione originaria di Chicago, seppur ben pochi dei presenti immagino fossero lì per loro.
LINKIN PARK Con circa quaranta minuti di ritardo sull’orario concordato, è finalmente tempo di veder salire sul palco i tanto attesi headliner della serata. I momenti precedenti al loro ingresso sono caratterizzati dalla consueta presa di coscienza riguardo al fatto che essere alto poco più di 1.80 m non sarebbe bastato affatto per avere una visuale ottimale del palco. Anzi, la maggior parte dei presenti -me compreso- sembrano accontentarsi di scorgere ogni tanto qualche immagine da uno dei due maxischermi. È questo uno dei motivi per cui mi è stato del tutto impossibile effettuare qualche foto, nonostante vari tentativi finiti in un nulla di fatto. Le condizioni del terreno non sono apparse ideali -ma forse è stata solo un’impressione- dato che in certi punti c’erano addirittura degli avvallamenti che rendevano ancora più difficoltoso il tentativo di vedere qualcosa di più che le semplici teste di chi c’era davanti. In ogni caso, pur con tutti gli svantaggi della non bellissima posizione conquistata a fatica, l’emozione è salita alle stelle quando le note di The Catalyst hanno invaso l’intero Ippodromo. Lo stato di forma della band statunitense è parso fin da subito ottimale e per quasi due ore ininterrotte non c’è stato tempo di riprendere fiato, grazie anche alla particolarità della scaletta che presentava tanto materiale spesso e volentieri stravolto rispetto alla sua versione originale, ad esempio unendo più brani ed eseguendo solo alcune parti di ognuno, andando così a creare qualcosa di unico ed intenso. La conseguenza negativa di ciò è ovviamente che chi si aspettava di sentire dal vivo le proprie canzoni preferite sarà rimasto in parte deluso nel sentirle tagliate a metà o modificate a tal punto dal renderle quasi irriconoscibili ad un primo ascolto. La setlist si è comunque rivelata piena di momenti di spicco, come sui nuovi pezzi che sono stati accolti tutti con un entusiasmo incredibile. Da Guilty All the Same, uno dei primi estratti dal nuovo The Hunting Party (in uscita in Italia il 17 giugno), ad Until It’s Gone, passando per Wastelands, non c’è stato un solo episodio che abbia fatto calare l’entusiasmo del pubblico nostrano. Non potevano mancare le varie hit del “passato”, con ben sette pezzi tratti dall’intramontabile debut Hybrid Theory, appena un paio dal successivo Meteora, cinque da Minutes to Midnight, otto dal discusso A Thousand Suns (che dal vivo non sembra affatto risentire di quel calo qualitativo percepibile ascoltando l’album per intero) e appena tre dal più recente Living Things. Nel complesso la scaletta si è rivelata un perfetto mix di brani rock oriented, altri incentrati su elementi prettamente elettronici ed altri ancora prettamente melodici ed intensi dal punto di vista emotivo. La prestazione dei singoli indiscutibile: Chester Bennington è il leader che tutti conosciamo e dietro al microfono ha ben pochi rivali; Mike Shinoda è un vero e proprio motore tuttofare capace di passare dalla chitarra alla voce rap con la stessa energia e con lo stesso apporto tecnico; Joe Hahn il perno centrale del sound che tutti conosciamo, colui che da dietro la console prende in mano le redini del gruppo; Brad Delson, Phoenix e Rob Bourdon fondamentali pur non mettendosi mai troppo in mostra. Insomma, una band che primeggia su tutti i fronti in sede live e che dimostra di meritarsi la fama che a tutt’oggi le viene conferita tanto da specialisti del settore quanto dai semplici appassionati. Descrivere nel dettaglio l’esibizione cui si è assistito non basterebbe a rendere l’idea della serata, riassumibile nell’episodio del flash mob organizzato (in primis dalla stessa band) che ha visto migliaia di braccialetti luminosi scagliati verso il cielo durante Until It’s Gone (si parla di un videoclip ufficiale che sarà realizzato anche col contributo scenografico appena descritto).
A fine concerto la lunga camminata costeggiando l’Ippodromo è l’ideale per tirare le somme della serata. Un’affluenza di pubblico davvero impressionante per un monicker che non sembra risentire affatto del passare degli anni, delle “mode” e delle critiche -tante- subite fino ad oggi. I Linkin Park sono una band solida e competitiva, e apprezzati o no che siano paiono ormai liberi da vincoli stilistici e perfettamente in grado di esprimere le loro qualità nel modo più personale possibile. Quella italiana è stata una testimonianza che rimarrà a lungo impressa nei ricordi dei presenti, nella speranza che quanto di buono visto in sede live possa essere trasportato anche tra i solchi dei prossimi dischi in studio.
SETLIST LINKIN PARK 1. The Catalyst / The Requiem 2. Guilty All the Same 3. Given Up 4. Points of Authority 5. One Step Closer 6. Blackout 7. Papercut 8. With You 9. Runaway 10. Wastelands 11. Castle of Glass 12. Leave Out All the Rest / Shadow of the Day / Iridescent 13. Robot Boy 14. Joe Hahn Solo 15. Burn It Down 16. Waiting for the End 17. Wretches and Kings / Remember the Name / When They Come for Me 18. Numb 19. In the End 20. Faint ---ENCORE--- 21. Until It’s Gone 22. A Light That Never Comes 23. Lost in the Echo 24. Crawling 25. New Divide 26. What I’ve Done 27. Bleed It Out
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Concerto veramente bello,bennington bestiale anche in live.Band che merita,a mio parere(anche se forse non dovrebbe conparire in un sito che tratta di musica metal), |
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@lambruscore: a parte che il mio post era in tono scherzoso, avevo inteso che avresti preso per il culo qualcuno qua su metallized e non qualcuno dei tuoi amici... |
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Bel concerto sono davvero bravi in live nuove canzoni da hunting party meritano l'ascolto almeno una volta lavoro ottimo davvero questi qua non si risparmiano mai,peccato vengono poco ogni anno. |
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Probabilmente avranno avuto qualche periodo in cui suonavano in playback e vedendo certi filmati è innegabile (cercate su youtube e vedrete). Se adesso eseguono tutto dal vivo, meglio...una rock band dovrebbe farlo in genere!!! |
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@Nu metal head, non mi riferivo a te, anche perché non ti conosco, ho alcuni amici però che appena vedono un video sul mtv...vaaaiiii, tanto a loro non importa molto, potrebbero anche andare al concerto, sapere che suonano in playback e vantarsi di aver visto un "live", ahah...ovvio che li prendo x il culo crudelmente....a loro basta che un gruppo sia di tendenza e va bene, intendevo quello. |
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eh eh caro lambruscore, se il tuo velenoso post era in qualche malsano modo riferito a me fai pure... a parte i primi due album (soprattutto il primo) per il resto non fanno parte del mio "roster" di gruppi eletti... @silvio metal: le vene del viso ingrossarsi?!? ahi ahi ahi, brutto segno... non vorrei che ci scappasse un'altra operazione alle corde vocali...! |
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Certo, ma non mi riferivo a quello, parlavo di intere strofe di brani cantate (e suonate in alcuni casi) in playback non di introduzioni o intermezzi |
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Beh, capita spesso che ci siano degli insert (anche con parti cantate) nelle canzoni: per esempio al concerto degli Iron Maiden, l'intro è tutta registrata, mentre la band attacca a suonare live dalla prima strofa di Moonchild, ma è una cosa assolutamente normale. |
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Per carità, non c'ero quindi ho appunto chiesto per curiosità. Se cercate su youtube ci sono alcuni video dove si vede il cantante che incita il pubblico dimenticandosi di essere in playback e una volta allontanato il microfono dalla bocca la registrazione della voce prosegue tranquillamente...fa abbastanza ridere, poi ce n'è un'altra dove invece è tutta la band ad essere colta in flagrante con un evidente playback. Magari saranno stati dei casi isolati perché mi sembra impossibile che una band così famosa si metta a suonare in playback dopo più di 10 anni di carriera. |
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Non ero, logicamente, a Milano l'altra sera, ma ho i visto i LP due volte dal vivo quassù a Parigi e t'assicuro che live sono tutt'altra cosa: le canzoni prendono un'energia che non hanno sui dischi e la band ci da dentro come si deve. |
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...e non solo lui, ovviamente, sarebbe stato perfino troppo difficile suonare in playback nel modo in cui vengono trasformate le loro canzoni dal vivo.  |
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@silvio metal: tutt'altro che playback, l'energia vocale di Chester Bennington dal vivo è massima. Purtroppo non sono riuscito a fare foto come avrei voluto, ma quando cantava si vedevano persino le vene del viso ingrossarsi...  |
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@Silvio metal, dici davvero? Sai com'è ...già che io -come molti sanno- non ho molta simpatia per il gruppo e i suoi seguaci, se poi dici che suonavano anche in playback...potrei prendere x il culo qualcuno, eheh... |
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Ma i linkin park erano in playback o negli anni hanno iniziato a suonare dal vivo? |
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