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NETHERLANDS DEATHFEST - Day 2, 013, Tilburg, Olanda, 27/02/2016
12/03/2016 (1961 letture)
Avevo in mente una trasferta all'insegna dell'insanità mentale e corporale. E così è stato.
L'annuncio del Netherlands Deathfest, nato dalle ceneri del Neurotic Deathfest, ha scosso i cuori dei devoti a questa musica più incalliti, in molti hanno risposto alla chiamata alle armi dell'organizzazione del Maryland Deathfest, giunti in Europa con questa prima edizione della kermesse, e in molti altri avrebbero voluto rispondere. Tuttavia, l'affluenza di gente è stata davvero intensa, i palchi erano quasi sempre pieni, così come all'esterno e così come per le vie di Tilburg, coi pub presi d'assalto da facinorosi spettatori e gruppi, un'ondata malsana che come un'invasione di cavallette si appresta a svuotare le riserve di birra di ogni buco presente e assaltare i coffee-shop della città che prontamente smontano le più rosee, o per meglio dire verdi, aspettative impedendo l'acquisto ai non residenti. Infatti, durante il festival è più volte intervenuto il camion rifornimenti per ricaricare i fusti di quella solita birra annacquata da festival a 5 euro, ma ormai lo standard è questo.
Tralasciando parentesi alcoliche varie ed eventuali, il festival si è svolto nel Poppodium 013 di Tilburg e, aldilà degli ottimi suoni, è da constatare l'inadeguatezza dell'area usata per il second stage, davvero troppo piccola per lo spessore dei gruppi trattati e, inverosibilmente, l'area esterna del Patronaat per i gruppi minori era decisamente più grande, avrebbero potuto invertire i gruppi, ma oltre a questo un'altra pecca è riscontrabile nel terzo giorno, quando hanno suonato Demilich, Funebrarum e Asphyx troppo ravvicinati, impedendo quindi di vedere bene i gruppi sia per motivi di spazio come detto circa il second stage (arena dei Funebrarum), sia per motivi legati alle tempistiche, quando invece un gruppo come i Gruesome hanno avuto il trattamento sul main stage e senza problemi di orari, stessa sorte per gli Haemorrhage che condividevano il minuto d'inizio con la fine dei Razor, ciò ha portato qualche problema di ubiquità e costringendo a fare delle scelte.
Comunque sia, concertisticamente parlando, è stato un trionfo di schiaffi rapidi come saette e death metal, tralasciando il primo giorno al quale per motivi logistici e di interesse, rispetto agli altri, non ho presenziato, il secondo giorno inizia abbastanza presto e si ha giustappunto il tempo di mangiare un dietetico burger sulla 'via dei pub' che, per l'occasione, hanno simpaticamente chiamato menu Deathfest-burger, in cui spiccano sontuosi i due litri di birra. Dettagli a parte, alle 14:00 entro e vado a piazzarmi sottopalco, i Cruciamentum svettano sul palco e il loro inizio è ormai questione di minuti.

CRUCIAMENTUM
I Cruciamentum salgono sul palco in perfetto orario, come anche gli altri del resto, e reduci dall'ultima fatica Charnel Passages il gruppo propone svariati brani dal questo ultimo album uscito nel settembre 2015 e che ha riscosso un buon successo, con un suono rinnovato e più nitido rispetto ai precedenti lavori.
Sul palco sono speculari, tutti professionisti del settore che sfoggiano una prestazione intensa e dal suono massiccio, senza impastare i vari strumenti aiutati anche dall'acustica dell'area main stage davvero ottima, come è ottima anche la risposta del pubblico che si è posto sottopalco sin dalle prime ore della seconda giornata, senza lasciare i primi gruppi abbandonati a sé stessi, pubblico che viene deliziato da una decina di canzone prese da un po' tutto il repertorio, partendo dalle Deathless Ascension e Rotten Flesh Crucifix tratte dai primissimi demo, fino ai recenti brani che, come Necrophagous Communion, sono tratti dal suddetto nuovo album. Tuttavia, trovo che un brano come Deathless Ascension sia stato leggermente addolcito per il live rispetto alla canzone originaria, quella presente nel demo Convocation of Crawling Chaos del 2009. Certo, si tratta di una sottigliezza, ma comunque speriamo che in futuro non addolciscano ulteriormente il sound e continuino a sposare con convinzione le vere sonorità del death metal, come del resto fanno dalla loro fondazione.
I Cruciamentum dunque spendono bene i trentacinque minuti a disposizione, realizzando una performance e ben eseguita, nessun intoppo e il pubblico ha apprezzato visibilmente gli inglesi, che consiglio assolutamente di vedere live se amanti incalliti del death metal.

ABIGAIL
Non avendo il dono dell'ubiquità, sono costretto a fare delle scelte e pertanto decido di non muovermi minimamente, ammirando i lavori sul palco per allestire la strumentazione degli Abigail sul main stage e sin dai primi momenti di apparizione dei nipponici, riesco a constatare che non c'è un gruppo giapponese che si salvi, sono tutti impazziti come scimmie.
Gli Abigail sono un gruppo sostanzialmente speed metal. Sporcano il loro sound con picchi di black metal alla vecchia maniera, quello della prima ondata, e riff prettamente thrash metal e punk, insomma seguono alla lettera ciò che hanno iniziato in Giappone i leggendari Sabbat, e sul palco risultano una piacevole mazzata in pieno volto, con un'esecuzione perfettamente sfacciata come vuole la tradizione del genere e prendendo qua e là pezzi da tutto il repertorio, scomodando anche i primissimi lavori con Attack With Spell e Hail Yakuza, oppure il grande tributo a uno dei gruppi troppo spesso dimenticati come gli N.M.E., suonando la loro Lethal Dose.
Il pubblico risponde con belle pogate e continui apprezzamenti verso Yasuyuki e Youhei, da sempre i membri storici del duo Abigail, power trio nelle apparizioni live con Jaro di supporto alla chitarra. Eccellente l'esecuzione di ogni singolo brano, da quelli più granitici come Satanik Metal Fucking Hell e Hell's Necromancer, a quelli più speed metal come War 666 e la 'romantica' Metal Evil Metal, il tutto condito dall'acido screaming di Yasuyuki, un vero animale da palcoscenico, che incanta, o forse impressiona, il pubblico che nel frattempo è visibilmente cresciuto, andando a riempire quasi completamente l'area del main stage per gli Abigail che, a loro volta, ringraziano la calorosa risposta con un concerto eccellente, violento e senza alcun calo per quaranta minuti di cattiveria, uno dei tanti gruppi del vero underground che vale davvero la pena di supportare. Sono stati confermati al Fall of Summer in Francia, vicino Parigi, e se vi siete stancati di vedere i soliti matusa estivi prendete nota e alzate quel deretano.

ANGELCORPSE
Resto ancorato alla transenna che ormai sembra far parte di me.
Il main stage, oltre ad avere un'acustica eccellente, ha anche un palco davvero bello e ben rialzato, con anche una grossa scalinata a mo' di tribuna ed è in quest'area che si apprestano a preparare il palco per gli Angelcorpse, uno dei gruppi di 'serie B' usati per rimpiazzare gli rinunciatari Sargeist, una band riformata nel 2015 per volere dei due membri cardine: Helmkamp e Palubicki. Si unisce al duo il batterista Ronnie Parmer, già in forze ai Perdition Temple, perché ormai Longstreth è troppo impegnato a suonare centrifughe di lavatrice con gli Origin.
Gli Angelcorpse sono una violenta formazione statunitense death metal con venature black metal all'americana che aveva concluso il mandato con Of Lucifer and Lightning del 2007 e, dopo una serie di scioglimenti e reunion, quella sembrava fosse davvero l'ultima, ma ormai è un continuo revival e il 'disoccupato' Helmkamp uscente dai Revenge ha pensato bene di rimettere mano a questo grande gruppo, un altro power trio, ma pesante che sembra siano in dieci su quel palco; e pensare che sono solo un 'rimpiazzo'.
Durante il concerto, Helmkamp riscontra qualche problemino tecnico al basso, ma niente di così preoccupante da compromettere il concerto e quindi i quarantacinque minuti vengono spesi per demolire ogni cosa, un assoluto martello pneumatico di cattiveria e ignoranza che inizia con la fulminante When Abyss Winds Return, tratta dal primo disco Hammer of Gods, e con la reunion suona assai emblematica. Proseguono con piacevoli fucilate tratte da Exterminate, due inni all'apocalisse come Wartorn e Into the Storm of Steel che lasciano il pubblico abbastanza di sasso per la potenza sprigionata e la perfezione con cui vengono suonate. Infatti, gli Angelcorpse hanno letteralmente lasciato con la bocca aperta per via dell'assoluta precisione e professionalità mostrata, oltre alla pesantezza che da un gruppo come loro è lecito aspettarsi, in attesa degli headliner risultano davvero quelli più convincenti.
Con l'andare del concerto, annunciano la bestiale Phalleluja e viene ben accolta dai presenti, un brano la cui durata è la chiave vincente per la stessa pesantezza, infatti sono quasi sei i minuti di assoluto odio in musica che ci inoltrano verso la carrellata finale di canzoni, tra cui cito Black Solstice, una delle mie preferite che prepara il pubblico all'inesorabile epilogo per uno dei concerti migliori di tutto il festival, epilogo che arriva con Wolflust da The Inexorable del 1999. Gli Angelcorpse, dunque, sfoggiano una prestazione devastante da tutti i punti di vista, i (pochi) minuti a disposizione sono bastati per annichilire le orecchie e se questo è il risultato mi auguro che Helmkamp decida di rimettere mano anche agli Order from Chaos, gruppo dalle cui ceneri sono nati proprio gli Angelcorpse.

When Abyss Winds Return
Wartorn
Into the Storm of Steel
Stormgods Unbound
Lord of the Funeral Pyre
Phallelujah
Sons of Vengeance
Black Solstice
Wolflust


RAZOR
Prima dei Razor ho un po' di tempo libero da dedicare ai miei polmoni, abbandono quindi l'amata transenna e faccio un giro tra i nutriti stand che label e gruppi offrono e infatti c'è una discreta fiumara di gente che ostenta acquisti e spulcia vinili. Questi eventi, infatti, sono sia eccellenti dal punto di vista del bill, ma anche per gli acquisti diretti di merchandise attraverso le etichette che producono e/o distribuiscono, ma anche con i gruppi stessi ed è proprio questo che comunque sia fa girare il mondo della musica underground. Dopo una rapida occhiata, mi piazzo allo stand della Hammerheart Records, prezzi onesti e gente molto disponibile, colgo l'occasione per colmare qualche lacuna e infine mi avvio di nuovo nell'area main stage dove i canadesi sono ormai pronti ad iniziare.
Ho già avuto modo di vederli in Francia al Fall of Summer e là fu un gran concerto, veloce e cafone come da prassi speed metal, suoni belli incazzati come ci si aspetta da un gruppo storico del loro peso, ma questa volta non è andata secondo le aspettative. Il concerto inizia con Instant Death, storico cavallo di battaglia del capolavoro Evil Invades, e sin da subito si nota una certa lentezza nella batteria e in particolare con la cassa, quella che in Francia fu veramente speed metal. Qua riscontro una certa difficoltà a carburare, ci vogliono infatti un paio di pezzi prima di tornare alla normalità, ma comunque la loro performance risulta altalenante, con un inizio infelice, un'ottima ripresa con Violent Restitution, Vehind Bars, Sucker for Punishment e Stabbed in the Back, poi di nuovo un calo di potenza e velocità, la cosa è un po' grave perché viene suonata Cross Me Fool, sempre da Evil Invaders, ed essendo appunto un gran pezzo avrebbero dovuto suonarlo come si deve, e questa situazione non giova molto a una canzone estremamente veloce come la suddetta. Il concerto prosegue e il pubblico apprezza, ma rimane un po' statico, non particolarmente coinvolto, anche quando il gruppo va a pescare Take This Torch dallo storico debut album Executioner's Song, quindi in finale si può parlare di una mezza delusione per quanto riguarda il concerto dei Razor, che comunque hanno fatto il loro lavoro bene, ma mi aspettavo qualcosa di più proprio perché ho già visto di cosa sono capaci in Francia.

HAEMORRHAGE
Mi avvio verso il second stage sul finire dei Razor e nel frattempo iniziano gli Haemorrhage, ma la retta via è davvero impraticabile. L'area del second stage è davvero piccola, lo stesso palco è piccolo, e riesco a prendere posto in fondo, tra centinaia di persone ammassate e sudate. Il concerto dei 'venezuelani' di Spagna inizia (venezuelani perché è così che il cantante Fernando 'Lugubrious' presenta scherzosamente il gruppo) ed è facile capire che si ha di fronte uno dei migliori gruppi death/grind in circolazione, un lavoro assolutamente eccellente nella ritmica, la chitarra di Ana è ferale proprio come sul disco la cui parola d'ordine è pesantezza. Si inizia forte con Hospital Thieves e si prosegue con Disgorging Innards dove viene sventolata l'inconfondibile bandiera del gruppo.
Ogni movimento è impossibile per via dell'infernale calca ed infatti mi dispiace molto non gustarmeli come si deve, non è un'area che si rispetti quella del second stage, soprattutto per un festival di questa caratura in cui è arrivata gente da tutta Europa e non, migliaia di persone stipate in una zona così stretta non è proprio il massimo sebbene abbia un rialzo sul fondo che, con gli amici, abbiamo simpaticamente soprannominato piccionaia. Nel bel mezzo del concerto sono costretto ad allontanarmi per riprendere un po' fiato e conto di rivedere gli spagnoli quanto prima e possibilmente in condizioni migliori perché ne vale davvero la pena.
A questo punto sfrutto un po' di tempo per rifocillarmi, mangiare e soprattutto bere qualcosa, parlare con gli altri italiani giunti, saremo una cinquantina, sull'andatura del festival e sono tutti assolutamente soddisfatti. Nel frattempo l'orologio avanza e in poco tempo mi ritrovo a ridosso dell'inizio dei Revenge, uno dei gruppi che più attendo.

REVENGE
Palco essenziale, stendardi minacciosi, tre musicisti e tanta rabbia.
Mi riapproprio della transenna che avevo lasciato dopo gli Angelcorpse, attendo i Revenge da tempo, mai visti prima d'ora e su disco non fanno altro che stupirmi, se siete amanti del 'canadian' black metal, del death e, soprattutto, del grindcore senza compromessi, devono per forza piacervi.
Sono reduci dell'ultimo disco Behold.Total.Rejection, ennesima conferma per il duo più sanguinario degli ultimi quindici anni, un disco più rivolto al lato grindcore che a quello black metal di scuola Blasphemy molto presente nel primissimo album e ciò, effettivamente, non è di certo roba per tutti, ma comunque sia la curiosità di vederli dilaga tra il pubblico che ha ben presto riempito il main stage. Viene mandato l'intro e l'aria si fa pesante, sappiamo bene che stiamo per assistere ad uno dei concerti più violenti di sempre e viene messo in pratica ciò che le premesse hanno suggerito: violenza.
I Revenge, e prima ancora i Conqueror, sono fautori di quell'estremizzazione del black metal nordamericano (Blasphemy, Von, Black Witchery) che ha trovato un notevole riscontro tra le nuove leve del settore e ci sono sempre più appassionati del black metal che non sia il solito 'True Norwegian', appassionati alla 'anti-musica' più ferale, cosa che sta diventando quasi una tendenza ultimamente, ma in fondo è musica estrema che rimane underground e troppi compromessi così preoccupanti ancora non se ne vedono. I Revenge, quindi, sono tra i portabandiera di questa salsa trasudante odio e sul palco viene espressa quanta più veemenza possibile, teatro in cui si nota assolutamente la predominanza del basso che svolge sostanzialmente il compito di una chitarra ritmica, con un suono appesantito dal lavoro di James Read, uno dei migliori batteristi metal in circolazione.
Us and Them sancisce l'inizio di questa carneficina sonora, con un pubblico per lo più attonito tranne alcuni apprezzamenti facinorosi dei più devoti, cosa che non scende nell'esibizionismo del pogo, pertanto il concerto prosegue e prende forma per quella che è una normale presentazione dell'ultimo disco da cui vengono prese ben quattro tracce, ma prima di addentrarci in queste viene suonata l'immancabile Traitor Crucifixion, una delle poche che viene presentata al pubblico, e Pride Ruination. Infatti, sono assai poche le parole espresse, c'è spazio solo per questa musica che non fa prigioneri. Due canzoni da Behold.Total.Rejection e subito un ritorno al passato, Altar of Triumph risuona potente in tutta l'arena e non può far altro che piacere per chi segue il gruppo da sempre, tratta appunto dal primo album Triumph.Genocide.Antichrist.
In virtù del precedente split coi Black Witchery, c'è anche spazio per far sorridere i più nostalgici della prima ondata, la canzone in questione è la magistrale cover dei Bathory: Equimanthorn dal seminale Under the Sign of the Black Mark, capolavoro che, come il quartetto iniziale di sir Quorthon, ha marchiato un po' tutte le generazioni del metal estremo, così come gli stessi Revenge che la rispolverano e la infarciscono del loro indistinguibile modus operandi, posta come finale del Humanity Noosed-side del suddetto split. Terminata, si torna al nuovo album per la doppietta Wolf Slave Protocol e Silent Enemy, per concludere infine con una delle primissime tracce scritta dai canadesi: Blood of my Blood.
Mi ritengo decisamente soddisfatto, l'unica pecca è non aver sentito live Genocide Conquest, una delle mie preferite, ma era abbastanza normale che avrebbero dato largo spazio all'ultimo disco e va bene così. Resto fermo, mi godo la soddisfazione di sentire i lamenti delle orecchie e mi sposto nel frattempo verso il centro delle transenne, sono già catapultato all'headliner: i Blasphemy.

Us and Them (High Power)
Traitor Crucifixion
Pride Ruination (Division Collapse)
Mass Death Mass
Desolation Insignia
Altar of Triumph
Banner Degradation (Exile or Death)
Equimanthorn (Bathory cover)
Wolf Slave Protocol (Choose Your Side)
Silent Enemy
Blood of My Blood


BLASPHEMY
Il palco sembra una pista da macchine a scontro, un forsennato via vai va di scena per preparare il palco all'headliner del secondo giorno, tra i padri fondatori del 'canadian' black metal, ma non il famoso black metal europeo, bensì quello nordamericano, con un demo nel 1989 che trasudava quanto di più marcio e mal suonato ci sia. I Blasphemy, infatti, erano all'epoca decisamente sminuiti per la poca bravura tecnica, mettiamola così, ma è anche vero che lo stesso trattamento fu rivolto agli Hellhammer e altri ancora, e nonostante tutto riuscirono a coniare questo black metal diverso addirittura prima alla cricca norvegese, Deathcrush a parte che fa da ponte tra le due ondate. I Blasphemy inserirono al genere un diverso songwriting, più rivolto al death metal e al grindcore dei primi Blood ripartendo da ciò che i Sarcòfago hanno partorito, il tutto incarognito da una produzione molto casereccia, riff accattivanti e tempi che... tempi?
Comunque sia, la formazione sale sul main stage a quattro membri, non mi sembra di riconoscere Kusabs nell'incappucciato, ma i membri cardine sono lì e impressionano per la loro prestanza, due vere bestie. Nel mentre che vengono messi a punto gli ultimi preparativi, ecco che si accomodano nelle retrovie lasciando spazio al famoso Ross Bay Intro, un minuto abbondante per eliminare ogni traccia di felicità nella mente dei presenti, qualora ci fosse stata.
Un pubblico pietrificato attende la sorte e, onestamente mi chiedo se dopo i Revenge riusciranno ad eguagliare la violenza trasmessa, non avendoli mai visti è una domanda lecita, ma non faccio nemmeno in tempo a realizzare completamente che War Command toglie via ogni dubbio: devastazione pura.
La chitarra atonale di Caller of the Storms è un assoluto ronzio che copre ogni cosa, ogni forma di melodia viene eliminata, violenza primitiva e senza scrupoli. Non un cenno al pubblico, i Blasphemy creano un muro sonoro senza eguali, non credo mi sia mai capitato di vedere un gruppo così violento e l'imponenza di Nocturnal Grave non fa altro che trasmettere questa sensazione di impotenza di fronte a tanta rabbia.
La prima parte del concerto viene dedicata allo storico demo, ma vengono prese anche delle canzoni dal non troppo considerato Gods of War, finché la memorabile Darkness Prevails non ci fa piombare nell'assoluto capolavoro Fallen Angel of Doom..... Il pubblico, ripeto, non cenna ad un minimo movimento come vuole la tradizione, nel mentre imperversano i violentissimi riff, sono decisamente pochi quelli suonati in modo tale da farli capire bene e chi, infatti, mastica poco questo gruppo ha riscontrato una certa difficoltà nel seguirli, soprattutto nella prima parte del concerto, ma in fondo sono i Blasphemy e non si può di certo aspettare di sentir da loro una dolce serenata.
Desecration è, se ricordo bene, l'unica canzone presentata dell'intero concerto e appena nominata si propaga un famelico urlo di approvazione del pubblico, del resto è una delle canzoni più rappresentative. Proseguono con Nocturnal Slayer ed Emperor of the Black Abyss dal secondo album, per poi tornanre al 1990 con Hording of Evil Vengeance e Goddess of Perversity, prima di prendersi una pausa in cui risuona l'intermezzo Intro to Weltering che introduce appunto Weltering in Blood che si unisce alla celebre Blasphemy, armata di uno dei migliori riff dei canadesi.
È tempo di rifermarsi e assaporare la violenza cosmica che sta per abbattersi durante l'intro Winds of the Black Godz che, come da disco, apre alla titletrack di Fallen Angel of Doom.... che si concatena all'outro The Desolate One, suonato tra questa e Demoniac che ci introduce nella parte finale del concerto, affidata ad Atomic Nuclear Desolation ed Empty Chalice, sulle cui note si avviano verso il baskstage lasciando l'oscurità e il silenzio di un pubblico ammutinato. Manca una canzone, importante.
Qualche secondo per realizzare e le voci s'innalzano nell'arena, richiamano tutti a gran voce i Blasphemy che rientrano dopo un paio di minuti, stavolta con una seconda chitarra e qui mi domando come mai non abbiano sfruttato questa seconda chitarra sin dall'inizio perché, effettivamente, la parte ritmica delle canzoni faticava un po' durante gli assoli di Caller of the Storm, e soltanto il basso, seppur distortissimo, non rendeva pienamente l'idea. Comunque, anche qui non mi sembra di riconoscere Ryan Förster, ma poco importa perché l'ultima canzone è quella che tutti aspettavamo: Ritual, la devastazione riprende forma e con due chitarre è tutt'altra storia. Se prima erano assurdamente pesanti, con due chitarre si sfiora la nuclearizzazione.
I Blasphemy, quindi, completano questa terremotante performance con la storica Ritual, per poi sparire mentre le luci si spengono, ci lasciano con un tombale saluto di Nocturnal Grave per lasciar spazio al silenzio. Mi appresto ad uscire, a tirare le somme con gli altri italiani presenti e tutti concordiamo che i Blasphemy siano stati assolutamente i migliori, in attesa degli Autopsy.
Mi avvio verso l'albergo con i Blasphemy ancora potenti nelle orecchie per mettere a riposo le mie povere ossa, sono davvero esausto e mi attende un'altra giornata piena, la giornata degli Autopsy.

Ross Bay Intro
War Command
Blasphemous Attack
Gods of War
Darkness Prevails
Desecration
Nocturnal Slayer
Emperor of the Black Abyss
Hording of Evil Vengeance
Goddess of Perversity
Intro to Weltering
Weltering in Blood
Blasphemy
(Winds of the Black Godz) Intro
Fallen Angel of Doom
The Desolate One
Demoniac
Atomic Nuclear Desolation
Empty Chalice
Ritual



black brains
Giovedì 17 Marzo 2016, 1.01.11
3
bei report... tutti e due... poi con band del genere immagino che scrivere diventi più facile...oltre che un piacere...
Blackout
Sabato 12 Marzo 2016, 20.34.19
2
Credevo fosse pelato di natura, coi capelli non capivo chi fosse ahah. Stava al Mercure dunque, stavo là anch'io, c'era pure Reifert e altri
Denak
Sabato 12 Marzo 2016, 17.25.01
1
Ti confermo che il secondo chitarrista era Ryan Förster, ero nello stesso albergo di molte delle band e l'ho riconosciuto una mattina mentre facevo colazione ahahahah
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