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SOUNDGARDEN - Niente specchi in camerino - La storia dei Soundgarden
14/07/2024 (1167 letture)
UNA DOVEROSA PREMESSA
La morte di Chris Cornell resta una ferita aperta che non conosce guarigione. Si potrebbe anche sostenere in realtà che esista una triste quanto drammatica linea che unisce la sua dipartita a quella di tanti altri protagonisti della scena di Seattle, gli ultimi dei quali sono stati Van Conner e Mark Lanegan, ex degli Screaming Trees e quest’ultimo autore di una fortunata carriera da solista. Inutile mettere in fila tutti i nomi per l’ennesima volta: che si tratti di droga, di suicidio o di violenza subita, come nel caso della cantante Mia Zapata, l’elenco è lungo e certo Mark Arm e Tad Doyle, per citare due dei sopravvissuti (il più famoso Eddie Vedder è di Chicago, come Billy Corgan, mentre Scott Weiland era di San Jose), possono ben ritenersi fortunati o quanto meno capaci di sopravvivere a una lunga e dolorosa ondata.
Eppure, la storia di Cornell è ancora qualcosa di diverso: Chris non era solo un cantante straordinario, sicuramente uno dei più importanti di tutti i tempi, era anche un compositore originale, ai limiti della genialità, un ottimo musicista, un paroliere sofisticato, caustico, ermetico eppure puntuale, una personalità magnetica, misteriosa, mai del tutto decifrata e capita; un carismatico, che da solo era capace di dare credibilità a un progetto, un disco, una partecipazione. Uno di quelli che la scena di Seattle l’ha davvero creata, collaborando, dando sé stesso senza remore e che poi ha cercato di traghettarla fuori dal pantano in cui si era arenata, rischiando e rimettendoci in prima persona, con una storia mai davvero sbocciata come quella con gli Audioslave, capace comunque di vendere milioni di copie e di rappresentare uno degli ultimi veri barlumi di successo mondiale del rock duro e, dopo, con la sua controversa carriera solista, sospesa tra passato, sperimentazioni mal digerite e forse neanche troppo convinte. Infine, col ritorno dei Soundgarden, quasi per scherzo, per poi diventare una cosa tremendamente seria e reale, fino a quella tragica notte in cui il filo si è spezzato, in maniera incomprensibile e inaccettabile. Perché Cornell, suo malgrado, era considerato un eroe e gli eroi non muoiono. E questo è il suo ultimo lascito, lo stesso di tutti gli altri protagonisti della scena, prematuramente scomparsi: i musicisti non sono eroi, sono persone e quello che gli altri gli cuciono addosso non è il loro vestito.
Per questo, scrivere di Chris Cornell è, ancora oggi, difficile e, per certi versi, doloroso. Perché negli anni precedenti, la parola “depressione” non era mai davvero venuta fuori in termini così profondi ed evidenti e perché, probabilmente, ancora oggi non viene davvero considerata una malattia, ma un qualcosa che, tutto sommato, dipende solo dalla volontà della persona. Come fosse inventata o tutto sommato superabile, solo perché si decide che è arrivato il momento. E quindi, accettare che sia questa la causa della morte di Chris Cornell non è facile: ci si sente comunque traditi, come se fosse lui ad aver deciso di abbandonare questo mondo, volontariamente e d’improvviso. Una reazione sciocca a un evento drammatico, per la sua famiglia in primis e che richiede invece uno sforzo in più: comprensione ed empatia. Per una volta, invece di concentrarsi egoisticamente sul proprio “dolore” o la propria “delusione” e far girare il mondo attorno a quelli, provare a capire cosa è successo e quanto dolore ci sia stato prima, nascosto, affrontato, combattuto, da parte di chi, poi, quella volta ha ceduto.

LA STORIA DEI SOUNDGARDEN
In realtà, oggi non parliamo di Chris Cornell. Almeno, non parliamo “solo” di lui: parliamo di una storia più ampia e larga, della quale è uno dei protagonisti: parliamo della biografia dei Soundgarden, Niente specchi in camerino – La Storia dei Soundgarden, scritta da Valeria Sgarella e pubblicata dalla benemerita Tsunami Edizioni, instancabile narratrice dell’universo metal e rock, che aggiunge un tassello prezioso alla già lunghissima e prestigiosa catena di pubblicazioni.
Perché i Soundgarden non sono stati solo “uno dei principali” gruppi di Seattle. Non sono uno di quelli che si è aggregato dopo l’esplosione della scena e non sono uno di quelli che le case discografiche hanno tirato fuori da uno scantinato, a caccia della nuova big sensation del grunge. I Soundgarden sono una delle formazioni che la scena l’hanno creata, inventandola, dandole una metastoria, fatta di una identità alternativa e in contrasto con quella in voga, che proclamava la propria autenticità, la propria sincerità, il proprio essere “down to Earth”, normali persone con un cervello, che vedono il mondo non come un party continuo, ma per quello che è, realisticamente e forse con una goccia di avversione, paura, se non di nichilismo. Persone cresciute con una mentalità punk e con i classici del rock nel DNA, che utilizzano l’ironia e il sarcasmo per dissacrare quello che non riescono ad accettare e che, nel caso dei Soundgarden, lottano perché qualcosa cambi. Come giustamente ricostruito e ben sottolineato da Valeria Sgarella, infatti, la storia del quartetto (allargato a sette, considerando il primo batterista Scott Sundquist, il primo bassista Hiro Yamamoto e il secondo, Jason Everman) è una storia che nasce dall’underground e che è ad esso legata indissolubilmente, con anzi proprio il contrasto tra la volontà di emergere e dire la propria e quella di rimanere fedeli alla propria identità “alternativa” a costituire un dissidio mai veramente risolto e che porterà, inevitabilmente, al collasso del gruppo. Una storia molto variegata, con tanti altri attori, come è giusto che sia parlando appunto di una “scena” e che per molti versi è nota, vista la ampia letteratura ormai diffusa sull’argomento. Inevitabilmente, Sgarella non può che iniziare con Kim Thayil, chitarrista della band, nato a Seattle e compagno di università a Chicago di Hiro Yamamoto e di Bruce Pavitt. Sarà quest’ultimo a convincere gli altri due a trasferirsi prima a Olympia e poi a Seattle, inseguendo proprio la fervente scena punk locale, con lo scopo di farla germogliare grazie al proprio lavoro in radio, prima e come discografico, poi. E’ proprio la scena, ricostruita con perizia dalla giornalista, con i suoi continui scambi di musicisti e gli strani vincoli imposti dalla legge sull’età per accedere ai locali e sui permessi per suonare, a costruirsi una propria rete underground di piccole realtà e piccoli ritrovi, nei quali poi i ragazzi si frequentano tutti e tutti danno un contributo, entrando nelle rispettive band e scambiandosi contatti di chi fa suonare, accettando che le band degli amici aprissero le serate, offrendosi poi di ricambiare il favore. Nascono così i Soundgarden, dall’incontro tra i tre fondatori: Thayil, Yamamoto e Cornell, allora ancora batterista, oltre che cantante.
Inizia un lungo percorso, che vede poi Susan Silver, compagna e poi moglie di Cornell, rivestire un ruolo fondamentale come manager, promoter, assistente, problem solver, non solo per i Soundgarden, ma anche per gli Alice in Chains, gli Screaming Trees e perfino per i Nirvana. Un ruolo che non viene sottolineato spesso come invece merita e che in questo libro ritrova tutta la propria centralità, tanto che l’autrice lo dedica proprio a questa straordinaria donna.
Tornare indietro di quarant’anni e ricostruire gli eventi di quella lunga ascesa, tra interviste concesse in esclusiva per il libro, dichiarazioni riprese da stampa e televisione e da altre pubblicazioni uscite nel frattempo, significa fare un tuffo nel tempo entusiasmante: i locali, le radio, i contatti e i reciproci endorsement dei musicisti, persone e personaggi fondamentali come Andrew Wood, compagno di stanza di Cornell e frontman/idolo locale di Malfunkshun e Mother Love Bone, la SST Records di Gregg Gin dei Black Flag, motore essenziale di lancio della scena di Seattle, prima e poi assieme alla Sub Pop di Pavitt e Poneman, band come gli U-Men e i Green River, prime mover della scena proprio assieme ai Soundgarden, i rispettosi ma pungenti sfottò al look “a torso nudo” di Cornell, intento a giocare il ruolo del sex symbol senza volerlo essere, fino ad arrivare al particolare rapporto della band con l’Italia. Divertentissimi e per certi versi illuminanti i racconti del primo tour italiano (a cui farà però seguito l’uscita di Yamamoto dal gruppo) e poi del secondo (che porterà all’uscita di Jason Everman) e che faranno guadagnare al nostro Paese una bruttissima fama in termini di “destino” dei bassisti, che rischierà di ripetersi anche con Ben Shepherd qualche anno dopo. Soprattutto, molto chiaro sarà il percorso della band, che preferirà comunque ottenere prima una propria consacrazione underground, pubblicando per piccole etichette e poi solo dopo arriverà al grande successo su major, quando il fenomeno grunge era già esploso e si attendeva anche da loro il “salto” nel gioco grande dei milioni di copie vendute. Un percorso che ci narra di un gruppo che ha sempre giocato e scherzato col successo e con gli stereotipi, ma ha preteso di essere sempre in prima linea, pubblicando canzoni a getto continuo, in mille formati e con mille partecipazioni, anche al film Singles e alla sua colonna sonora, finché da “guida spirituale” del movimento, si è concessa di arrivare a Superunknown e alla consacrazione mondiale. Anche in questo passaggio resta l’unicità del gruppo, che vede in Cornell e Cameron i motori apparentemente instancabili della macchina e in Thayil e Shepherd il contraltare tormentato che soffre l’eccesso di esposizione e lo snaturamento stesso del movimento, della band e del messaggio originario, ormai svenduto e fatto a pezzi dal mercato, arrivato perfino a devastare la città e i suoi ritrovi. Un finale nel quale anche la depressione e l’alcolismo di Cornell giocano un ruolo fondamentale, nascosto, ma capace appunto di demolire la convinzione e la forza del cantante e compositore, al punto da non trovare più la volontà di tenere assieme il gruppo, accettandone la fine quasi come una liberazione dalle troppe pressioni e dalle troppe responsabilità.

IL LIBRO E LE SUE CONCLUSIONI
Ci ritroviamo così dove il libro in realtà comincia: alla reunion e agli ultimi anni di vita di Cornell, con il desiderio di Thayil di portare in fondo la pubblicazione delle ultime registrazioni della band, rimaste bloccate da una infinita serie di problemi legali e che il chitarrista spera comunque di vedere prima o poi uscire in formato ufficiale.
Cosa resta di quella scena e dell’epopea dei Soundgarden è comunque tratteggiato nel libro: già negli anni Novanta Seattle stava diventando una delle capitali dell’informatica, con l’esplosione di Microsoft prima e, poi, con l’arrivo di Amazon e la diffusione mondiale di Starbucks a completare la trasformazione della città. Quella che era una metropoli “di provincia”, ancorata all’industria della Boeing, si è quindi tramutata in uno dei centri dell’economia statunitense e del nuovo corso. La Sub Pop esiste ancora, gli Alice in Chains, i Pearl Jam e i Mudhoney ci sono ancora, ma la scena non esiste più da tempo. Persino il ritorno dei Soundgarden, con tutte le attese suscitate e in certo senso non pienamente mantenute, si è dovuto scontrare con un mondo musicale profondamente cambiato, nel quale il gruppo ha dovuto cercare un proprio posto e un proprio senso, dopo una interruzione inaspettata e che però sembrava aver anche chiuso un’epoca. Cosa rimaneva da proporre adesso, quali obbiettivi, quale messaggio? Forse, solo la musica, quella straordinaria, incontenibile identità, che aveva portato la band a non ripetersi mai, a costruire dischi tutti diversi l’uno dall’altro e straordinariamente variegati anche al proprio interno, come appunto un “giardino musicale”, sempre diverso eppure sempre riconoscibile. King Animal non aveva saputo soddisfare appieno i tanti in attesa e chissà, forse il disco successivo sarebbe stato quello del vero trionfale ritorno. O forse no. Non lo sapremo mai.
Intanto, arrivati alla fine della lettura, rimane comunque il grande enigma di queste personalità: esauriti gli aneddoti, esaurito il racconto, esaurite anche le metastorie legate alla scena e alla sua identità, chi sono e chi erano i Soundgarden? Qualcosa lo si intuisce: Thayil il filosofo, Cameron il superprofessionista, Shepherd l’eterno ribelle fuori posto. E Cornell? Il mistero, fino in fondo. Mai veramente chiarito, mai veramente capito.
Complimenti quindi a Valeria Sgarella, giornalista professionista dal 2000, con collaborazioni radiofoniche, per cinque anni a MTV Italia e autrice di altri libri, tra cui la biografia di Andy Wood (L’inventore del grunge), Oltre i Nirvana sulla storia della Sub Pop, Seattle, La città, la musica, le storie sulla città. Complimenti per aver saputo in maniera chiara e del tutto priva di retorica, tessere questa lunga storia, anteponendo i fatti, gli eventi, le dichiarazioni a qualunque altra considerazione. Un lavoro giornalistico enorme, documentato, ampio e soddisfacente, che merita di essere letto e acquistato, non solo per la storia dei Soundgarden, ma per il quadro complessivo di una scena fraintesa e assurdamente colpevolizzata, che ha pagato come poche altre di persona il prezzo della propria diversità.

::: ::: ::: RIFERIMENTI ::: ::: :::
AUTORE: Valeria Sgarella
TITOLO: Niente specchi in camerino – La storia dei Soundgarden
EDIZIONE ORIGINALE: Tsunami Edizioni, Giugno 2024
COPERTINA: Flessibile
PAGINE: 286
ISBN: 978-88-94859-86-7
PREZZO: € 24



Andy
Martedì 17 Settembre 2024, 18.40.25
14
una band influente quanto orrenda nel far rock...sgrembi...dissonanti e odiosi...mai e poi mai piaciuti....un periodo da incubo tra questi...stone temple e altri depressi cronici!
Lizard
Sabato 14 Settembre 2024, 18.12.33
13
Grazie mille a Trascendence per il puntualissimo intervento e a Painkiller per i complimenti. In effetti, nel libro si parla abbastanza approfonditamente anche del fatto che dopo due album registrati con Terry Date la band avesse voglia di cambiare qualcosa e, in un certo senso, anche il successo di Nirvana, Pearl Jam e Alice in Chains pesava. La scelta di Michael Beinhorn come produttore in tal senso ha pesato moltissimo sul “taglio” che Superunknown ha avuto rispetto a Badmotorfinger. È decisamente un album più ragionato, più lavorato, nel quale la mano del produttore si sente di più. E anche molto più oscuro, in realtà, dove Badmotorfinger manteneva maggior sarcasmo, come sempre stato da parte dei Soundgarden. Superunknown è più duro, più cupo, meno tagliente nei suoni e molto di più nelle atmosfere.
Transcendence
Sabato 14 Settembre 2024, 13.04.50
12
@Painkiller: Basterebbe guardare testi tipo \"Whatsoever I\'ve feared has come to life / Whatsoever I\'ve fought off became my life / Just when everyday seemed to greet me with a smile / Sunspots have faded\", \"Stuttering, cold and damp / Steal the warm wind tired friend / Times are gone for honest men / And sometimes far too long for snakes\", \"I woke the same as any other day / Except a voice was in my head / It said seize the day, pull the trigger / Drop the blade, and watch the rolling heads\" per confermare l\'ipotesi. Chris Cornell è risaputo che soffrisse di depressione cronica, isolamento e consumasse droghe (specialmente alcol) dalla pubertà, quindi è scontato che i suoi testi riflettano il vissuto. Anche su Badmotorfinfer c\'erano testi tipo: \"I got up feeling so down / I got off being sold out / I\'ve kept the movie rolling / But the story\'s getting old now\", \"I\'m numb as rigor mortis / Scared by monkey faces / Drowned in shark fins\", \"I was slipping through the cracks of a stolen jewel / I was tightrope walking in two ton shoes / Now somebody is talking about a third world war / And the police said this was normal control\" o \" When new damage comes / It\'s a faceless poison / A new world order / It\'s new damage done\".
Painkiller
Venerdì 13 Settembre 2024, 23.55.04
11
Mi ero perso questa recensione, e faccio i complimenti a Lizard, la trovo molto bella, esaustiva il giusto, nel senso che mi ha destato molta curiosità. I Soundgarden sono una di quelle band per me misteriose, delle quali difficilmente riesco a decifrarne i contorni reali. Badmotorfinger per me è un capolavoro assoluto, un disco da 100 per intenderci. Eppure è l’unico che mi piace davvero ed il solo che ascolto ancora oggi con immenso piacere. E come loro ci sono “N” bands che hanno pubblicato un solo disco (discone) e poi il resto non mi piace, o non completamente. Mentre badmotorfinger mi provoca scariche di adrenalina, Superunknown mi ha sempre fatto provare tristezza, un senso di vuoto e solitudine. Forse è così che si sentivano coloro che lo hanno scritto? O comunque era il loro intento, quello di suscitare certe emozioni negative? Se così fosse, capeau, colpito e affondato. Ma dato che non é quel che ho sempre cercato nella musica, fatico a considerarlo.
Barfly
Martedì 30 Luglio 2024, 22.20.19
10
Io ho conosciuto i Soundgarden nell\'89. Ho comprato il Cd di Louder than love al buio, senza averne mai sentito una nota , solo per le recensioni. Dopo 45 secondi dell\'opener, Ugly truth, è partita quella voce incredibile che mi ha lasciato a bocca aperta per un bel po\' di tempo . Ecco , a volte si rimane più legati a certi album piuttosto che ad altri, forse migliori, solo per le emozioni che ci hanno fatto provare in quel preciso momento storico
cipcip
Mercoledì 24 Luglio 2024, 13.24.49
9
Che romanticone, Rob. Io amo gli album, non gli artisti. O la musica. Sonn comunque old style, ascolto i dischi nella sua interezza. Son stato frainteso. Cornell era un grande artista. coi Soundgarden. Converrete che da solita, sì, qualcosa di buono, ma è più l\'affetto. Se lo paragono coi Soundgarden del secondo terzo e quarto, hai voglia. Anche se 4th of July è una delle ie preferite in assoluto di loro. Era l\'alchimia fra i componenti. Thayl coi suoi stranianti giri indianeggianti ma sabbathiani. Cameron, probabilmente miglior batterista grunge in assoluto, sprecato coi Pearl Jam. Yamamoto e Shepherd rocciosi il giusto, uno a caso non può affiancare di certo Cameron. A proposito I Truly, Fast Stories.., gran album. Lascio, ho da fare. Magari continuo dopo. Anch\'io ho alcune migliaia di album metal rock classico alternative thrash death noise rock pure elettronica. Non sono uno sprovveduto. Vi leggo da anni e vi conosco tutti. Voglio bene a Metallized.
Undressed
Mercoledì 24 Luglio 2024, 13.24.31
8
Sinonimi di originalità: \"anticonformismo, bizzarria, curiosità, diversità, eccentricità, estrosità, singolarità, stramberia, stranezza, stravaganza\". Se mi trovate un altro gruppo come loro ve ne sono grato... originalità non è sinonimo di innovazione.
Fabio
Mercoledì 24 Luglio 2024, 12.39.53
7
Anch\'io abbastanza il linea con Rob quando nutre qualche perplessità sul l\'originalità della proposta. Kim Thayil amava definirlo zen metal o Acid punk. Ma resta il fatto che per me i Soundgarden sono un efficace incrocio tra Cult, Black Sabbath e Led Zeppelin. Infatti c\'è chi li chiamava Led Sabbath.
Rob Fleming
Mercoledì 24 Luglio 2024, 9.11.13
6
Io ricordo ancora lo stupore della prima volta che ho avuto contezza della esistenza di Chris Cornell: Hunger Strike. Un amalgama vocale degno di Coverdale-Hughes. Solo dopo, grazie ad un amico che, più avanti di me, mi inondò di quei 4-5 dischi che oggi celebriamo come classici e all\'epoca erano la novità, seppi che il gruppo era effimero, nato per celebrare il Primo Caduto. Sull\'originalità della proposta ho alcune riserve, sulla grandezza del gruppo no e del cantante no. Oggi il mio preferito è Badmotorfinger, ieri era Down on the upside, domani sarà Louder than love. Dipende. Sicuramente ho sempre preso ad esempio Superunknown per spiegare perché per me l\'avvento del CD è stato, per certi versi, qualitativamente deleterio. La possibilità di riempire 80 min faceva sì che si buttava dentro di tutto anche quelle che 20 anni prima sarebbero stati scarti o bside, mentre all\'epoca erano tutte \"titolari\". E quindi giù i dischi diventavano mastodonti da 16 pezzi e 78min. Con conseguente fisiologico calo qualitativo
Undressed
Mercoledì 24 Luglio 2024, 8.08.18
5
Band stratosferica, c\'è poco da dire... camaleontici, sempre originali, unici in senso assoluto e forse proprio per questo meno imitabili ad esempio di altri campioni come gli Alice In Chains, che vengono invece saccheggiati a mani basse.
cipcip
Mercoledì 24 Luglio 2024, 6.45.02
4
Non capisco dove sta il problema. I commenti son liberi. Forse son più liberi per qualcuno e meno per qualcun altro, non saprei
paolo
Martedì 23 Luglio 2024, 20.19.59
3
Serviva proprio un commento del genere.
cipcip
Martedì 23 Luglio 2024, 12.15.41
2
Ah sì, ho commentato prima di leggere l\'articolo
cipcip
Martedì 23 Luglio 2024, 12.12.34
1
Il libro non lo comprerò né scaricherò. Cornell gran cantante e gran compositore, genio è esagerato, originale, almeno coi Soundgarden, sì. A me non manca, aveva già detto tutto con Badmotorfinger per come la vedo io. Album che ascolto tutt\'ora, acquistato ai tempi del concerto al Delle Alpi a Torino con Guns e Faith No More. Dicono, forse illazioni, che quando s\'è suicidato, lui e il cantante dei Linkin Park, Bennington, stessero lavorando per portare alla luce la pedofilia dilagante nell\'ambiente. Complottismo. Sicuramente. Un ultracinquantenne s\'uccide sicuramente perché soffre , o s\'offre, come un adolescente, che importa famiglia amore ricchezza figa & coca e balle varie. O no.
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