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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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( 1932 letture )
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Immaginate di essere proiettati a ritroso nel tempo in una dimensione parallela alla nostra, in cui grandi gruppi passati alla storia, anziché sciogliersi, abbiano scelto di percorrere altre strade, diverse e variabili. Ipotizzate, quindi, una dimensione in cui i Cynic decidano di rilanciare la moneta volendosi liberamente ispirare agli At The Gates usando, però, attrezzature gentilmente accordate dai cibernetici Meshuggah. Riuscite a figurarvi il risultato? Se non ci riuscite, non preoccupatevi, la realtà (la nostra) ci viene incontro assegnando un volto e un album a questo fantascientifico combo, che porta il nome di Textures alla loro prima uscita discografica del 2004 intitolata Polars. E mai titolo fu più azzeccato! Mi rendo conto che iniziare una recensione con dei parallelismi può sembrare una scelta infelice, ma mi è molto difficile spiegare a parole in cosa consiste la proposta musicale degli olandesi senza stabilire un po' di punti di riferimento su cui muoversi, da un polo all'altro, per l'appunto. Insieme ai SikTh e, ovviamente, ai Meshuggah, i Textures sono da considerarsi tra i diretti responsabili della nascita di quel genere che negli anni successivi, con l'avvento di band come Animals As Leaders, Periphery e TesseracT, sarà etichettato come "djent". Molto spesso si tende a considerare i Textures come elementi indistinguibili nella massa degli iper-tecnici, ma il ragionamento regge soltanto in parte: innanzitutto, la band, oltre a non fare del tecnicismo più assoluto la propria fede, sembra essere più incline ad un death metal tradizionale, richiamando sì le sonorità degli svedesi, ma senza farne il perno centrale della sua musica e, in secondo luogo, la "diversità" nel concepire i passaggi melodici la contraddistingue sicuramente dalla maggior parte degli ultimissimi ritrovati del "prog" ad otto corde. Insomma, per quanto gli elementi in gioco presi singolarmente non siano tra i più originali mai sentiti, la direzione generale del gruppo vira verso qualcosa di più personale e inedito. E questo esordio ne è la prova.
L'apertura all'opera è affidata al brano Swandive che chiarisce sin da subito con che cosa avremo a che fare per i prossimi sessanta minuti. I cambi di registro spaziano di continuo tra profondissimi colpi di palm-muting, passando per i più tradizionali skank beat arricchiti da atmosfere tanto soffuse quanto fugaci che, puntualmente, ci riportano alla violenta scarica di riff iniziale. Già al primo ascolto, si potrebbe imputare al gruppo di aver steso una tela di sfumature troppo stucchevoli e non abbastanza diluite tra di loro, tanto da rendere quei passaggi difficilmente assimilabili. È un difetto che purtroppo si estende a quasi tutta la durata dell'album, seppure la performance offerta dal gruppo resti nel complesso di alto livello. A seguire troviamo Ostensibly Impregnable, da cui è stato tratto un video presente nell'edizione speciale del disco, che a mio parere si fa dimenticare abbastanza alla svelta; seppure alcune soluzioni melodiche siano molto eleganti, soprattutto verso la fine, il risultato è una canzone poco ispirata, insipida. Per fortuna da qui in poi le cose migliorano. Con la terza traccia, Young Man, si abbandonano per un momento i territori tanto cari ai nostri e tanto devoti ai Meshuggah della prima ora, in favore di una martellante sfuriata tipicamente death che rimanda, in più di un passaggio, ai fasti di Slaughter of the Soul, senza però cadere nel baratro del plagio e del "già sentito". Tra i brani dell'intero lotto è in questa canzone che la voce vagamente retrò di Pieter Verpaalen si sposa al meglio con l'ambiente in cui è inserita. Molto ispirate sono anche le chitarre di Jochem Jacobs e Bart Hennephof, che riescono a costruire una trama solida e rabbiosa al punto giusto. Alla numero quattro troviamo Transgression e per un momento si ritorna in campo "meshugghiano", ma solo per un momento, perché attorno al secondo minuto assistiamo a un piacevole e sognante intermezzo scandito da un sax che, come solito, ci catapulta nel giro di pochi secondi verso un'ottima sfuriata deliziosamente thrash accompagnata da una prestazione altrettanto ottima di Stef Broks dietro alle pelli, capace di impreziosire il tutto con una serratissima sezione ritmica. The Barrier, senza infamia e senza lode, contiene anch'essa una dose molto buona di frenesia a ritmi serratissimi. Nel complesso non è male, ma, se confrontata altri brani presenti, non raggiunge pienamente la sufficienza, costituendo insieme a Ostensibly Impregnable un episodio minore dell'album. Effluent è un brano completamente strumentale interamente dominato dal sintetizzatore con il compito di preparare e rilassare i timpani dell'ascoltatore per condurlo dolcemente verso l'impegnativa title track: una suite di diciotto minuti che riassume in un colpo solo l'enfasi dell'intero album, oltre ad essere probabilmente la migliore traccia presente in esso. Non mi dilungherò molto nel descriverla poiché ritengo che il modo migliore per costatarne la bellezza sia semplicemente ascoltarla e farsi cogliere dalle emozioni che essa è in grado di suscitare. Segnalo solo la presenza di alcune ottime clean vocal sparse di Pieter Veerpalen (unico episodio in tutto l'album) e delle eccellenti soluzioni armoniche delle chitarre nei riff centrali. Il resto è pura goduria, provare per credere. La conclusiva Heave, nella sua minimale semplicità, chiude egregiamente un disco che, tra alti e bassi, riesce nel proposito di elevarsi, diventando portavoce di un genere che da lì a pochi anni vedrà un costante aumento di pubblico e di musicisti, intenti a riprodurne la formula vincente al fine di ritagliarsi la propria fetta di popolarità.
In definitiva, i Textures di Polars sono un gruppo promettente con idee molto chiare ma che ancora deve maturare a dovere. Il successivo Drawing Circles e l'ottimo Silhouettes, con qualche cambio di line-up, manterranno le ambiziose promesse di questa prima uscita del 2004 che, seppur non si tratti di un capolavoro, rappresenta l'inizio di un nuovo modo di concepire la musica progressiva nel nuovo millennio.
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2
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Piccolo gioiello, non perfetto ma rappresenta un grande inizio per questa band spettacolare, la sola title track vale tutto l'album brano capolavoro, e infatti grazie a questaa suite immensa un 80 se lo merità tutto!
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1
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Da un sacco aspettavo questa recensione... molto oculata e puntuale. Concordo sul voto. Adesso manca solo quella di Silhouettes. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Swandive 2. Ostensibly Impregnable 3. Young Man 4. Transgression 5. The Barrier 6. Effluent 7. Polars 8. Heave
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Line Up
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Pieter Verpaalen (Voce) Bart Hennephof (Chitarra) Jochem Jacobs (Chitarra) Richard Ritedijk (Mixaggio, Sintetizzatori) Dennis Aarts (Basso) Stef Broks (Batteria)
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