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Langfinger - Crossyears
30/10/2016
( 1596 letture )
Una nuova band, un power trio proveniente dalla Svezia, per la precisione da Goteborg, fertile scena per rocker ed affini. Non si sa molto di questa nuova realtà, le note biografiche sono assai scarne e non forniscono informazioni dettagliate, cosa questa che nel 2016, a parere nostro, non ha molto senso compiuto. Vabbè, in ogni caso i ragazzi provengono tutti dal panorama hard fiorentissimo del paese della nota azienda del monta e fai da te, chissà che anche questo fattore non abbia influito nella stesura carente delle note divulgative. L’unica cosa che la label ci fa sapere è che, nonostante ci siano pochissimi trio in giro sulla scena internazionale, i Langfinger ci danno dentro di brutto, nonostante sia un durissimo lavoro.

Ciò che spicca sin da subito in questo ten-tracks album è la qualità della proposta fatta di intrecci vocali maestosi, arrangiamenti di valore e una certa dose di originalità che non guasta mai, anzi, ad averne. Victor, Kalle e Jesper ripescano le radici del vecchio rock dei sixties, alimentando una miscela musicale compatta, dai toni aspri ma mai grezzi e banali, che gode di un ampio respiro melodico: i ragazzi però sanno anche uncinare con artigli e scardinare alcuni stilemi con naturalità e senza forzature. Si decolla con Feather Beader che squarcia il sipario su questo Crossyears, dotato di una copertina non propriamente esaltante, e paiono evidenti alcune attinenze con i Cult sul displa,y ma la conduzione del sentiero musicale appare sì diretta, ma con una preparazione tecnica e un gusto compositivo decisamente una spanna superiore; insomma un confortante inizio. Say Jupiter parte da un riff chitarristico anni sessanta, cantato cattivo, ritmo spedito, impasti vocali supremi e la guitar acida in fase solistica supportata da un basso nerboruto, senza sovra-incisioni della sei corde, ennesimo bello scampolo con un tiro non indifferente, mentre Fox Confessor è una scudisciata capace di evidenziare i muscoli, con una spiccata aura darkeggiante, mentre tutti e tre i musicisti sudano sui loro rispettivi strumenti fornendo ancora una volta una performance di rilievo. Titletrack, spunta Crossyears, dotata di voci dalla bassa intonazione che mi ricordano alcune cose dei Pink Floyd, il tutto innestato su un martellante blues rock innervato di potente elettricità, e una coda finale incazzatissima che simbolizza lo spirito di un rock che oggi non esiste più, quello delle jam session a discapito della pulizia perfettina di alcuni generi: anche la registrazione tiene fede a quel mood e a quella filosofia di intendere la musica. Atlas sciorina key d’atmosfera e una traccia semi-strumentale che non annoia manco per un nanosecondo, cambi di fondali, un intreccio vocale centrale che sgocciola Beatles e Pink Floyd, un solo della guitar magico, uno spaccato di big rock delle epoche andate assolutamente da applausi. Che classe possiedono questi ragazzi! Silver Blaze sconfina su un territorio che emana effluvi di Zeppelin nel riff iniziale, il singing è svolazzante nella strofa e sagace nel chorus per poi diventare un’epopea lisergica di grande impatto con il wah wah che si erge a promontorio inscalfibile e un calo di tono da godersi tutto; Buffalo sa molto di hard americano con un ascendente tagliente, vedasi la voce urlata sul finale. Caesar’s Blues fa intendere sin dal titolo di cosa si tratta ma attendetevi copiose sorprese, insomma non il solito bluesaccio, qui di mollezze varie non vi è traccia, fino a scoprire la miccia della dinamite accesa, pronta a detonare. Penultimo momento, Last Morning Light è una vera saga di perle inanellate, impossibile riferirle tutte, un pezzo astrale da ascoltarsi per sfumature e impennate, mentre chiude il platter Window in the Sky un degno compendio illustrativo di questa ottima e sorprendente release.

I Langfinger meravigliano per scrittura e capacità, molte band hanno rivolto lo sguardo verso il rock d’annata doc, ma questi tre pazzoidi, e vi dico occhio alle corde vocali del bassista cantante Victor Crusner, ci sanno fare alla grande. Crossyears è splendido nella sua alternanza di influenze e ricostruzioni, veloce da assimilare, mai indigesto e noioso e soprattutto sa mostrare un caleidoscopio di tonalità cromatiche da sballo, che non possono lasciare indifferente chi ama il rock con la erre maiuscola. Non sarà hard, non sarà metal, non sarà AOR o death, ma dalle lande del glög arrivano sempre ensemble di qualità sopraffina e strabiliante. Segnatevi il nome di questo gruppo, nonostante la reticenza del etichetta nel fornirci info e ragguagli, questo disco parla da solo. Da avere, stop.



VOTO RECENSORE
85
VOTO LETTORI
72 su 2 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2016
Small Stone Records
Hard Rock
Tracklist
1. Feather Beader
2. Say Jupiter
3. Fox Confessor
4. Crossyears
5. Atlas
6. Silver Blaze
7. Buffalo
8. Caesar’s Blues
9. Last Morning Light
10. Window in the Sky
Line Up
Victor Crusner (Voce, Tastiere, Basso)
Kalle Lilja (Chitarra, Cori)
Jesper Pihl (Batteria, Cori)
 
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