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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Zenden San - Daily Garbage
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31/05/2017
( 1477 letture )
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Chi di voi si ricorda di Les Claypool? Se, come il sottoscritto, siete tra quelli che si sono affacciati al metal iniziando ad ascoltare l’ondata nu metal o il movimento crossover che si era imposto negli U.S.A. durante la prima metà degli anni 90, sono sicuro che questo nome vi dice qualcosa, o se non altro può darsi che lo abbiate sentito nominare. Les Claypool, oltre ad essere un pescatore a tempo perso della baia di San Francisco, si appassiona alla musica rock grazie all’influenza di un compagno di classe, un certo Kirk Hammet, altro nome che a me sfugge ma che a voi potrebbe dire qualcosa. Inizia quindi a suonare il basso e nel 1984 getta le basi per quella che sarà poi la sua band, i Primus. Due anni dopo, nel 1986, a causa della morte di Cliff Burton, i Metallica cercano un nuovo bassista e Les partecipa all’audizione venendo però scartato a causa del suo look alquanto discutibile e il suo stile probabilmente troppo funky per il sound dei thrasher della Bay Area. Destino vuole però che proprio questi due elementi faranno la fortuna della sua creatura, con la quale rivoluzionerà sia il modo di suonare il basso sia la concezione di metal stesso, dimostrando di essere all’avanguardia nonostante la sua eccentricità, tanto che verrà rivalutato qualche anno dopo. Tutta questa introduzione sul leader dei Primus era necessaria per comprendere appieno la band di cui si parla oggi, dal momento che l’influenza del bassista di San Francisco è ancora fondamentale anche per band formate recentissimamente, nonostante siano passati ormai quasi trent’anni da quel Suck On This che all’epoca era stato etichettato dai più come inclassificabile per via della sua originalità troppo psichedelica.
Il problema oggi giorno non si pone più, quindi fortunatamente quest’album può essere valutato per quello che è, senza timore di essere penalizzato per via del contesto storico in cui viene rilasciato. Anzi, in una primavera piena di uscite nuove, ascoltare un album che si discosta molto dai cardini del metal, proprio nel suo essere atipico è come ascoltare un genere diverso e spezza la solita routine. Altra grande particolarità dell’album è il fatto di essere completamente strumentale e formato solo da basso e batteria, ma non per questo si va incontro alla noia totale, perché le informazioni sono talmente tante che al contrario si corre il rischio di sovraccarico uditivo. Forse si basa proprio sulla combinazione tra originalità e tecnica la base di questi Zenden San. Tra i debutti delle band nostrane questo si rivela quindi essere sicuramente qualcosa di più unico che raro, nonostante come già ammesso sia presente tantissimo l’influenza dei Primus, a cominciare dal primo sparo, Bang, guidata da un basso funambolico che dialoga con la batteria veloce e disinvolta di Alessandra Fiorini, che mostra una predilezione particolare nel martellare incessantemente il ride e tutti i crash di cui dispone. Traccia che cresce con gli ascolti e sicuramente la migliore del disco, tanto che più volte verrà voglia di farla ripartire dall’inizio. Facilmente impressa rimarrà anche Doctor’s Club, arricchita dagli stop and go di batteria e dalle sperimentazioni di Fabrizio Giovampietro, bravissimo a passare da parti psichedeliche ad accelerazioni continue, con la traccia che regala cambi di tempo continui, stupendo sempre l’ascoltatore. Infatti, se i Primus sono l’influenza principale, l’album in sé è un sapiente agglomerato di funky e jazz con l’aggiunta di una forte componente math core nelle parti più aggressive. In particolare lo slap di Fabrizio ricorda molto quello di Ryan Martinie dei Mudvayne, altro gruppo dove sia il basso che elementi math core erano particolarmente in evidenza. In questa release peraltro gli strumenti sembra non abbiano subito campionature o modifiche successive, il che fa presumere che la resa sul fronte live sia ancora più valida e valga veramente la pena vederli dal vivo. Menzione particolare va fatta alla title track, ottima nei suoi ritmi sostenuti e molto groove, ma bene o male tutti i pezzi contenuti nel pattern sono validi e godibili. E questo è forse l’aspetto più bello del lavoro: i musicisti sanno di essere tecnicamente ineccepibili e preparati sotto ogni aspetto, eppure invece di crogiolarsi nella loro bravura cercano sempre di cimentarsi in passaggi nuovi e sempre più difficili, il tutto al fine di non annoiare l’ascoltatore, ma anzi di stimolarlo e stupirlo continuamente, pur senza disorientarlo, ed il rischio era molto alto, considerando il tipo di musica non propriamente easy listening.
Il risultato è quindi una tracklist di dieci composizioni complessivamente valide e contraddistinte dallo stesso livello qualitativo, che rende l’album omogeneo e quindi consigliabile da ascoltare in blocco, possibilmente tutto di fila. Unico contro forse è che per questo tipo di release risulta difficile avere degli episodi memorabili rispetto ad altri album più "consoni" alla forma canzone, ma ciò fa parte del tipo di proposta che i Zenden San si sono prefissati di consegnare alle nostre orecchie. Quindi non un album che piacerà solo a musicisti o ad amanti di sonorità complicate, come purtroppo rischia spesso di accadere con questo tipo di release, ma risulterà appetibile anche a chi non è abituato a certe sonorità. E’ talmente alto il livello di composizione e le informazioni sono distribuite talmente bene che invece di disperdersi nella moltitudine di note richiederanno maggiori ascolti affinché si colga fino in fondo la stratificazione completa di tutti gli elementi da cui è composto. Coraggiosi nel proporre ed ancora più bravi nell’eseguire. Come si dice in questi casi, pochi ma buoni.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Bang! 2. The Death of an Eddhead 3. Daily Garbage 4. Life of a Pavement 5. Elephant e Spider 6. Doctor’s Club 7. Altu Rasz 8. Interim 9. Industrial Zone 10. Burpobarf
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Line Up
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Basso (Fabrizio Giovampietro) Batteria (Alessandra Fiorini)
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RECENSIONI |
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