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Adimiron - "Et Liber Eris"
26/10/2017
( 3996 letture )
Bastano poche note di chitarra che attraversano la terra di nessuno, a cavallo fra il pulito e il distorto, per disconnettersi dalla realtà circostante ed entrare in una parallela, fatta di pesante eleganza e geometrie improbabili. Posizione difficile quella degli Adimiron, che dopo appena due album si ritrovano a fare i confronti con un genere che vanta grandi artisti di spessore. Il gruppo romano, dopo tre anni dall'ultimo Timelapse (2014), uscito per la Scarlet Records, passa alla norvegese Indie Recording. Il transito di etichetta, così come quello del tempo ha portato a qualche cambiamento sia in termini stilistici che di lineup. Alessandro Castelli, fondatore del gruppo, ha rinnovato la formazione e i risultati sono ad ora ancora più convincenti dei già riusciti predecessori. Il prog death torna a nuova vita con questo “Et Liber Eris”, platter dalla meravigliosa copertina che raffigura un uomo tuffarsi nella libertà dell'oceano. La libertà, ammesso esista nella sua concezione assoluta -argomento decisamente longevo che non tratteremo in questa recensione- ha uno scotto da pagare: può tramutarsi in beatitudine o eterna solitudine. Lo specchio sonoro del gruppo rispecchia perfettamente quest'immagine, poiché atmosfere dilatate e sfuriate acide si miscelano egregiamente in questo platter.

Le prime note, citate in apertura della disamina, sono quelle di The Sentinel. Grazie alla stratificazione delle chitarre lo spettro delle frequenze viene completamente riempito e il brano evolve rapidamente verso scenari death, rendendo tuttavia il passaggio di atmosfere armonico e naturale. Emergono prepotentemente le citazioni opethiane da Blackwater Park a Watershed, che verranno poi accompagnate più avanti dai momenti dissonanti dei Dillinger Escape Plan, passando per l'angoscia primordiale dei Tool. Da grandi nomi derivano grandi responsabilità, che puntualmente non vengono tradite con l'avanzare del platter. Riff granitici lasciano il posto alle chitarre che aprono Zero-Sum Game, su tempi dispari che rispecchiano delle fredde geometrie. Il growl graffiante di Sami El Kadi strizza spesso l'occhio a Joe Duplantier e cavalca una sezione ritmica perennemente imprevedibile e tecnicissima. La seconda traccia di questo “Et Liber Eris” è un autentico viaggio e risulta una della migliori dell'intero platter, regalandoci momenti di alta e lucida follia. Con Joshua Tree 37 non si cede nulla allo sfoggio d'odio, tuttavia non mancano i momenti in cui dei fraseggi orecchiabili -ma non facili- prendono il sopravvento costituendo l'elemento che distoglie l'attenzione dalla violenza che rimane intoccabile e perenne sotto la traccia. Nella costante evoluzione della canzone clean e harsh vocals si danno il cambio continuamente, aprendo poi la strada a un ottimo assolo di chitarra che miscela influenze shred a quelle blues. Un assaggio di elettronica invade il disco con The Coldwalker, che presenta un'apertura che si posa su un beat elettronico filtrato, così come la voce che accompagna il ritmo. Il filtro si apre e tutto lo spettro sonoro passa improvvisamente: torniamo al mondo analogico e agli strumenti veri, dove batteria e basso fanno da padroni in una sezione ritmica originale e molto gonfia. Nonostante le atmosfere rimangano parzialmente tese, sicuramente abbiamo modo di respirare durante questa traccia, strategicamente posizionata quasi a metà tracklist. Il lento e pachidermico finale lascia spazio a As Long as it Takes, brano che torna a cavalcare brutalmente i tempi più veloci, senza tuttavia aggiungere nulla a “Et Liber Eris”. La voce bassa e sussurrata di The Unsaid torna ad accarezzarci su dei riff in palm mute che sembrano non avere inizio e fine, rincorrendosi in articolate geometrie ritmiche. La canzone ci delizia con atmosfere fintamente calde dandoci un abbraccio morbido, dolce e velenoso. Ci crogioliamo negli errori che, nonostante abbiamo la coscienza di fare, ci piacciono e ci fanno sentire vivi e non soli. Così passiamo a Stainless, una sorta di ballad prog death, dove le molteplici stratificazioni di chitarre offrono un territorio aperto e morbido alla voce di Sami El Kadi, che si muove sinuosa e agile fra i vari registri vocali. Nonostante l'approccio iniziale da ballad, l'evoluzione arriva con strutture tipicamente progressive, fra sezioni ritmiche martellanti e giochi armonici. Il nostro viaggio termina nella Zona del Silencio, dove la nostra disconnessione dal mondo reale è completa. Le chitarre nella terra di nessuno continuano a tessere trame articolate, accompagnate da un basso sempre presente e da linee vocali oniriche. Altro diamante assoluto posto in chiusura di un disco nettamente al di là della media attuale delle uscite del genere.

Prendere tutti i pezzi, incollarli e fare un'unica opera era complesso: tuttavia gli Adimiron sono riusciti pienamente nel compito, anche attraverso una produzione di livello, forse leggermente sbilanciata verso le frequenze basse in alcuni momenti. Ad ogni modo si parla di dettagli e di sfumature in alcuni momenti dove i molteplici strati di tutti gli strumenti utilizzati tendono a sovrapporsi generando un filo di caos di troppo, rischio che si può scegliere di affrontare per avere un margine di sperimentazione più ampio. L'altra cosa che si può appuntare è probabilmente delle influenze note eccessivamente presenti. Basta pensare ad esempio all'assolo di chitarra di The Sentinel, che così come buona parte della canzone sembra strappato alle scelte melodiche degli Opeth di Ghost Reveries e in minore parte di Watershed. In conclusione il gruppo romano propone un ascolto non facile e non perfetto, ma di grandissima classe ed eleganza, poiché il difficile compito di dare una forma sinuosa ed ammaliante ad un disco aggressivo come questo è stato portato a termine. “Et Liber Eris” è un platter longevo e in grado anche di crescere con gli ascolti, destinato probabilmente a dare sfumature diverse nei prossimi anni.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
87 su 8 voti [ VOTA]
enrico86
Giovedì 23 Novembre 2017, 14.06.11
3
Non li conoscevo: molto interessanti
Leide
Venerdì 27 Ottobre 2017, 11.44.28
2
Grazie per questa recensione, davvero ben fatta, tecnica e a tratti poetica! Procedo con l'acquisto di questo disco che mi sembra essere una mazzata niente male!!!
Awake
Venerdì 27 Ottobre 2017, 1.48.53
1
Come al solito grande recensione, Ottima padronanza del linguaggio, rimandi e citazioni molto centrati e pertinenti e assoluta competenza per ciò che concerne la materia trattata. Se penso che hai solo 25 anni la cosa mi fa un po' rabbia: io alla tua età non ero ancora in grado di scrivere come scrivi tu. Se questo è "il nuovo che avanza" mi fa ben sperare, ultimamente sto vedendo troppi giovani preoccupati unicamente di curarsi le sopracciglie. L'album non mi sembra malaccio, ma questa è una cosa secondaria
INFORMAZIONI
2017
Indie Recording
Prog Death
Tracklist
1. The Sentinel
2. Zero-Sum Game
3. Joshua Tree 37
4. The Coldwalker
5. As Long as it Takes
6. The Unsaid
7. Stainless
8. Zona del Silencio
Line Up
Sami El Kadi (Voce)
Alessandro Castelli (Chitarre)
Cecilia Nappo (Basso)
Federico Maragoni (Batteria)
 
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