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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Wolves In The Throne Room - Thrice Woven
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03/01/2018
( 4705 letture )
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A sei anni dall’ultimo disco pienamente black e a comunque ben tre dalle suggestioni caleidoscopiche di un full-length come Celestite, i lupi più celebri di Cascadia, i Wolves in the Throne Room, fanno finalmente il proprio atteso ritorno sulle scene. Lasciatisi alle spalle in maniera piuttosto netta le sonorità e le sperimentazioni portate alle stampe nel 2014, accolte tiepidamente da parte della fanbase e della critica nonostante gli spunti offerti, non sempre di facile assimilazione e comprensione per chi li aveva apprezzati soprattutto per il loro lato più estremo, i fratelli Weaver portano alle stampe questo nuovo Thrice Woven che, nonostante un minutaggio quasi più consono ad un EP che ad una prova sulla lunga distanza, li vedono riconfermarsi artefici di quel black metal ammaliante che ha garantito così tanta fama e popolarità nell’ultimo decennio abbondante. Ma la deviazione non è stata compiuta invano.
I cinque capitoli di questa nuova opera, plasmati da un’inedita line-up a tre, grazie all’inserimento in pianta stabile in formazione del chitarrista Kody Keyworth, riprendono infatti quanto lasciato quasi in sospeso in Celestial Lineage, sviluppandolo ulteriormente nella sua componente suggestiva ed evocativa, anche grazie all’aiuto degli svariati ospiti presenti, su tutti il frontman dei Neurosis, Steve Von Till, ottimo interprete nell’esacerbare l’aulicità ritualistica di una possente The Old Ones Are with Us già doom nell’anima nonostante le mille sfaccettature la portino persino a solcare lidi acustici, o la voce cristallina della svedese Anna von Hausswolff, che prima impreziosisce con leggeri arabeschi di porcellana l’opener Born from the Serpent's Eye, e in seguito fa il suo ritorno nella malinconica Mother Owl, Father Ocean, indubbiamente l’outsider dell’intero platter per stile e minutaggio, che declama interamente nella sua lingua madre, accompagnata da una lieve e sensibile arpa, affidata alle dita di Zeynep Oyku Yilmaz. Tuttavia, come già anticipato, le digressioni del disco precedente che hanno portato i cascadiani ad esplorare lidi a loro sino a quel momento estranei non sono di certo state un inutile colpo di testa: se, indubbiamente, Thrice Woven si scrolla di dosso quasi ogni legame da certe psichedelie ambient che abbiamo avuto modo di conoscere, non tutto ciò che è stato modellato in tempi recenti dalla formazione di Olympia è stato lasciato alle spalle. Anzi, proprio da ciò l’album parte per sviluppare un dialogo nuovo tra il peculiare ed ipnotico black a marchio Wolves in the Throne Room e la sua componente più atmosferica, su cui viene in questa sede calcata la mano. E a ragione. L’amalgama -non a sorpresa- difatti funziona e il risultato è apprezzabile non solo nelle tracce più lunghe (la conclusiva Fires Roar in the Palace of the Moon su tutte) e più vicine alla proposta più ‘tradizionale’ della band, all’interno del quale tra riffing dilatati e blast beat si inseriscono fluentemente e di frequente anche intermezzi acustici e stacchi dove trova maggiore spazio la melodia a scapito della ritmica, ma anche nella già citata Mother Owl, Father Ocean dove, nonostante una base -come già menzionato- largamente aliena al resto del lavoro sia strumentalmente che vocalmente, la coesione viene mantenuta da un testo che, seppur reso in parte ermetico dalla lingua svedese, si concatena alle tematiche legate alla natura e al suo rapporto con essa tipiche dei Wolves in the Throne Room (evidenziate anche nei minuti finali del full-length, chiuso da una lunga parentesi colmata esclusivamente dallo sciabordio delle onde del mare), mantenendo compatto l’intero lotto.
Thrice Woven si configura dunque, nonostante la sua brevità, come un album completo e profondo, le cui impalpabili e delicate atmosfere, ben bilanciate con una ritrovata componente di puro black, affascinano l’ascoltatore e costringono anche i conoscitori delle gesta della band a molteplici esplorazioni, per coglierne l’innegabile bellezza. Se la matrice canonica dello stile degli statunitensi ritorna dunque protagonista, la scelta degli Weaver appare non conservativa, né figlia di particolari ripensamenti, dato che quanto forgiato ed imparato in Celestite trova qui il proprio spazio, arricchendo con eleganti intarsi una proposta con già molti punti di forza, seppur lontana dall'essere portatrice di formidabili sorprese a cui ci hanno abituato dieci e più anni fa gli apici della discografia di questo progetto americano. Una gradita riconferma, in attesa degli ulteriori sviluppi e ispirati spunti che il vento di Cascadia di certo saprà far giungere alle menti creatrici di questi lupi…
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VOTO LETTORI
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47.59 su 191 voti [
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13
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Ottimo lavoro l’ho consumato, ora attendo il nuovo disco manca poco.Voto 86 |
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12
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Riascoltato pochi giorni fa gustandomi una fumata della mia fedele Savinelli....confermo il mio post del 2018.
Aspetto con ansia il nuovo album che esce dopodomani!! |
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11
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Sti cazzacci che capolavoro!!! |
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8
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Ottimo album, al di sotto dei loro migliori, ma di poco...voto 80 |
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7
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Gran disco, sicuramente uno dei loro migliori e per me una spanna sopra a CL, ma un lavoro mediocre a mio avviso non l'hanno mai fatto, qualità sempre alta...90 |
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6
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Ma confermo, è tutto impastatissimo al punto giusto al mio parere..  |
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5
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Nebulosi ed eterei ok, chitarre sature pure, la batteria mi è sempre sembrata un po' impastata nei precedenti (deformazione professionale) |
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4
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Se i vecchi album degli WITTR avessero un mix più nitidio io penso che si perderebbe la metà del fascino di quel sound.. Questo è un lavoro concepito per essere meno atmosferico e più compatto, e quindi un mix chiaro è giustificato, ma non penso che lo stesso discorso possa essere esteso ai primi dischi, quelli erano concepiti per suonare eterei e nebulosi, e suonano proprio così. |
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3
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Anche per me il migliore dei lupi, atmosfere epiche, crudeltà e romanticismo. L'artwork poi è splendido. Davvero bellissimo! |
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2
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Album bellissimo e tra le migliori uscite del 2017. Condivido con Monsieur GT_Oro che è un disco mixato molto bene. E' comunque il songwriting, fresco e ispirato, che emerge da questo disco, con brani tutti emozionanti. Meglio, a mio parere, la brevità ma con tutte cose ottime che produzioni prolisse e piene di brani scarsi o di filler. Au revoir. |
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1
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Per me il loro migliore. Un disco di una bellezza e di un'epicità assurde. La dimostrazione che, se ben fatta, anche la musica più estrema può essere fruibile a tutti: portai mia madre (60 anni) dal medico qualche tempo fa bloccata con la schiena, e avevo Thrice Woven in macchina. Innamorata al primo ascolto!!! Perché questo disco è così, pur essendo black, pur essendo sonicamente violento, non è mai cattivo, è roboante, maestoso, a tratti trascendentale ed evocativo. Per me un'esperienza sonora incredibile. E poi finalmente un disco black mixato BENE!!! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Born from the Serpent's Eye 2. The Old Ones Are with Us 3. Angrboda 4. Mother Owl, Father Ocean 5. Fires Roar in the Palace of the Moon
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Line Up
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Nathan Weaver (Voce, Chitarra) Kody Keyworth (Chitarra, Voce) Aaron Weaver (Batteria, Synth)
Musicisti Ospiti Anna von Hausswolff (Voce in traccia 1,4) Don McGreevy (Chitarra in traccia 1) Steve Von Till (Chitarra in traccia 2) Phil Petrocelli (Percussioni in traccia 4) Zeynep Oyku Yilmaz (Arpa in traccia 4)
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RECENSIONI |
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