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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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03/02/2018
( 3812 letture )
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Dopo quattro anni di silenzio, ammorbiditi solo in parte dall’uscita della nuova versione riregistrata dell’album di debutto Vozrozhdenie, ecco l’atteso ritorno sulle scene dei moscoviti Arkona, nome ormai noto della scena folk/pagan europea. Questo nuovo Khram (Il tempio), fin dal suo peculiare artwork in bianco e nero, e dalle dichiarazioni in fase di promozione della leader della band Masha "Scream", sa confermare come questi anni non siano passati invano e che, anzi, la creatura che è stata forgiata nella quiete degli ultimi tempi sia in grado, fin dai primi ascolti, di rompere ulteriormente con il passato, di sorprendere e di stupire. Khram e il suo predecessore Yav non hanno moltissimo da spartire tra loro e come confermato dalla stessa Masha ai nostri microfoni sono frutto di due genesi molto diverse, che portano questa nuova fatica dei moscoviti causare (nuovamente) facili storcimenti di naso a più di un fan della vecchia guardia. Quali sono, dunque, i suoi elementi distintivi?
Fin dai primi spin, Khram si distingue soprattutto per due aspetti: la sua anima cupa e violenta, dove molta della componente melodica ed epica degli Arkona del passato è stata ulteriormente sostituita da atmosfere tanto evocative quanto oscure ed inquietanti, e il dilatamento del minutaggio delle sue tracce, che in due terzi dei titoli inclusi nel lotto non scendono pressoché mai al di sotto degli otto minuti, giungendo con Kissing the Life addirittura a raggiungere e superare i diciassette. Tali elementi di novità e di (in parte) stacco rispetto a Yav prendono tuttavia vita anche grazie alla consolidata maturità raggiunta proprio in quella prova dalla formazione di Mosca, che già nel 2014 aveva saputo dimostrare di poter coesivamente offrire una variazione più melanconica e meno facile da fruire della propria proposta. Khram non si limita dunque a fare meramente il ‘compitino’, diventando un Yav parte due, bensì, oltre a confermarne come detto alcuni aspetti, li porta oltre, arrischiandosi verso lidi che potrebbero portare ad una rottura con parte dell’audience che già era rimasta perplessa dal cambiamento di qualche anno fa.
L’album si apre e si chiude con una invocazione alla dea Mara legata, nella mitologia slava, alla morte e al mondo del Nav: è ad essa che Masha affida, in un intro tagliente e sinistra scandita da percussioni, noi ascoltatori, per farci immergere nella creazione artistica degli Arkona ascoltandola da un’altra dimensione, per poi sciogliere l’incantesimo e farci riportare tra i vivi, nel mondo dello Yav a cui apparteniamo, al termine del disco. Il cuore di Khram, invece, batte spinto dalle emozioni, sensazioni e incertezze dell’umanità, ruotando attorno a quel tempio -di cui si fa portatore già il titolo- che altro non è che il caos che è dentro noi stessi, in grado sia di causare tutto quanto accade intorno a noi, che di creare conflitti e lotte interne ad ogni singola persona. Ad accompagnare tematiche così complesse e sicuramente non troppo leggere, ecco che gli Arkona vanno ulteriormente a calcare la mano sulla componente black metal loro stile, che si distingue fin dalla seconda Shtorm, in cui il trittico composto da drumming feroce del ritrovato Andrey Ischenko-riffing distorto e compatto di Sergey "Lazar"-distintivi vocals di Masha ci fa capire come i russi abbiano deciso di declinare in musica la furia del caos e delle lacerazioni umane di cui si i testi ci narrano. La successiva Tseluya zhizn', invece, funge da spartiacque tra chi vuole ancora dare una chance al combo e chi già si ritrova a far fatica a digerire la loro proposta: posti coraggiosamente al terzo posto di una tracklist comunque corposa, gli oltre 17 minuti di questo brano, pur rimanendo lontano dal vivere di filler, rappresentano una sfida notevole per chi ascolta, nonostante il buon supporto della sezione ritmica, i contrasti e le varietà a livello di vocals, sia da parte della frontwoman, che ci offre anche una prova in pulito, che dei due suoi figli Radimir (già protagonista di simili inserti fin dai tempi di Slovo) e Bogdan, che qui fanno la loro apparizione per un cameo tanto breve, quanto da brividi. La spirale di sensazioni contrastanti e sorprendenti continua lungo l’intero album, sopravvivendo al minutaggio elevato grazie ad una studiata struttura di fondo, che mantiene la totalità dei brani accattivante grazie ad un’anima, come definito dal gruppo stesso, depressivo-aggressiva, e ad accurate soluzioni quali cambi di ritmo, frequenti variazioni vocaliche, atmosfere opprimenti e misteriose (ma mai troppo pesanti) ed inserimenti inaspettati, quali la cover in chiusura, importante rielaborazione di un pezzo dei Vedan Kolod, band russa dedita alla ricostruzione di musica medievale, intitolato Volchitsa. In tutto questo, a ‘patirne’ sono indubbiamente la componente melodica e quella più puramente folk degli Arkona, con la prima impegnata -si fa per dire- con sporadiche apparizioni utili per mantenere viva l’eterogeneità dei pezzi (come nel caso dell’inserimento di pianoforte del guest Robert Engstrand, ex Turisas) e la seconda limitata in particolare ad alcuni momenti in cui viene valorizzata in particolare dal drumming (Rebionok bez imeni) o dal synth (come in V ladonyah bogov), diventando quindi più un’aggiunta allo stile proposto, che un suo elemento portante. Ma questo è quanto sono i moscoviti ora, prendere o lasciare. Volendo spendere due parole anche sulla produzione, gestita nuovamente per intero dal duo Masha/Sergey, la formazione si lascia alle spalle quel sound a tratti troppo saturo che aveva caratterizzato Yav, trovando in questa sede una soluzione piuttosto bilanciata, in grado di supportare molte delle componenti chiave del full-length, anche se ancora non del tutto perfetta.
Gli Arkona, dunque, osano e portano alle stampe un’opera solida, che non teme di scontentare chi, all’interno della folta fanbase della band russa, fosse maggiormente appassionato alle sonorità più tipiche di altri suoi classici dischi del passato. Forte di testi e contenuti ragionati e coerenti con l’artwork (e, perché no, anche con i testi scritti da Masha con il suo stesso sangue, riportati fedelmente all’interno del booklet), e di una virata stilistica ben compatta, Khram saprà sorprendere positivamente e intrigare anche parte di coloro i quali non avevano sinora mai approfondito molto la conoscenza delle sonorità dei moscoviti. Lo scotto da pagare per raggiungere tale risultato, consiste nell’avere pazienza e dare a questo platter un numero sufficiente di ascolti per scoprirne le varie sfaccettature e dissezionarne anche i passaggi più ‘indigesti’. Al combo di certo non mancano né originalità, né coraggio, né passione, e questo album ne è nuovamente la prova.
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8
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Credo sia l'opera più complessa di tutta la loro discografia. Dopo tre ascolti posso dire di averne assimilato un buon 50% del contenuto, ma è un album che ne necessita di altri. L'ho trovato più ragionato ed introspettivo rispetto al predecessore, ma meno diretto. Gli preferisco Yav anche se di poco. Il trittico centrale (Tseluya zhizn', Rebionok bez imeni, e Khram) mette i brividi. Questa fase del disco mi ricorda l'ultimo Nokturnal Mortum, uscito lo scorso anno. Questo è senza ombra di dubbio l'apice del platter. Ottima anche Shtorm, poi trovo perda qualcosina nell'ultima parte (la cover non riesce proprio a picermi). In definitiva l'album è sicuramente tra le migliori uscite dell'anno, ma non lo ritengo un capolavoro, come invece mi è parso di leggere da altre parti. Ottima conferma! Voto: 79 |
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7
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L'ho ascoltato recentemente su consiglio del nostro importatore Russo, appassionato anche lui di metal (oltre che di buoni vini...). Impressione più che ottima e vedrò di approfondire anche la produzione precedente. In particolare il pezzo di 17 minuti è veramente eccelso, con quell'inserto centrale di percussioni e flauto. Ma tutto l'album è su alti livelli compositivi e non ci sono filler. Veramente ottimo. Au revoir. |
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6
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canzoni suggestive e arrangiate in modo sublime. Ad ogni ascolto cresce sempre di più. Splendido .Per ora 85 , ma in futuro potrà solo crescere |
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5
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Ho sempre trovato gli Arkona di non facilissimo ascolto, più profondi di quanto possano sembrare, e devo dire che questo disco è sicuramente il più complesso che abbiano realizzato. Il risultato, a mio avviso, è ottimo e credo sia il loro migliore album. |
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4
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Lo sto ascoltando in questi giorni. Bel cd. Canzoni ben fatte e cattive. Anche per me molto cupo e inquietante |
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3
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è da goi rode goi che li ho persi di vista, pare valga la pena recuperare qualcosa. accetto consigli. ricordo mi fosse piaciuto particolarmente ot serdtsa k nebu, ai tempi. |
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2
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Assolutamente bellissimo,inquietante,suonato magnificamente! |
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1
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Per me il loro disco migliore per varietà e songwriting. Di una bellezza e una cupezza uniche. Per me è 88. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Mantra (Intro) 2. Shtorm / Storm 3. Tseluya zhizn' / Kissing the Life 4. Rebionok bez imeni / A Child Without a Name 5. Khram / Temple 6. V pogonie za beloj ten'yu / Chasing the White Shadow 7. V ladonyah bogov / In the Hands of Gods 8. Volchitsa / She-wolf (Vedan Kolod cover) 9. Mantra (Outro)
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Line Up
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Masha "Scream" (Voce, Tastiera, Percussioni) Sergey "Lazar" (Chitarra) Vladimir "Wolf" (Flauto, Gaita galiziana, Tin whistle, Low whistle, Sopilka) Ruslan "Kniaz" (Basso) Andrey Ischenko (Batteria)
Musicisti Ospiti Anatoliy Pakhalenko (Voce in traccia 1) Radimir (Voce in traccia 3) Bogdan (Voce in traccia 3) Alexander Kozlovskiy (Violoncello in traccia 3) Robert Engstrand (Pianoforte in traccia 7)
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