|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
Rage Against the Machine - Renegades
|
28/04/2018
( 2945 letture )
|
Poche band nella storia sono riuscite a compenetrare perfettamente musica e politica all’interno della loro proposta e, forse, nessuna c’è riuscita bene quanto i Rage Against the Machine, tant’è che con il passare del tempo l’attivismo politico contenuto nelle loro liriche finirà per rivestire forse ancor più importanza delle loro creazioni stesse. L’impeto rivoluzionario li spinge a far passare i messaggi di protesta attraverso le canzoni, che a sua volta diventano colonna sonora della loro propaganda contro il potere corrotto che controlla la società. L’obiettivo dei quattro è, come ben si sa, denunciare principalmente lo sfruttamento da parte della società capitalista, l’ingiustizia nei confronti delle minoranze etniche, l’ipocrisia e la corruzione dei governi mondiali, soffermandosi in particolar modo su quello americano. Questa rabbia contro il sistema viene manifestata già nel debutto, un concentrato di aggressività pura e senza compromessi, che passa alla storia sia come uno degli album simbolo degli anni novanta, sia come manifesto, termine non usato a caso, di una generazione arrabbiata e desiderosa di ribellarsi contro ogni forma di soppressione della libertà. Riconoscibili sin da subito sul fronte live a partire dal vestiario e dall’onnipresente stella rossa, capitanati da un frontman che si sbraccia passeggiando per lo stage con andatura dinoccolata, a ritmo delle plettrate funk di chitarra, in attesa di saltare insieme al pubblico appena il ritornello esplode. I loro concerti diventano quindi un modo per dare voce ai propri contenuti e diffondere la loro protesta, finendo per formare un sempre maggior esercito di sostenitori. Altri gruppi in precedenza si sono occupati di denunciare la condizione alienante che l’individuo è costretto a vivere nel sistema capitalista, ma nessuno era mai riuscito a raggiungere i loro risultati, tanto da far chiudere temporaneamente la borsa di new York durante una loro esibizione non autorizzata di fronte a Wall Street.
All’alba del nuovo millennio i Rage Against the Machine si ripresentano con quello che sarà poi la loro ultima produzione ufficiale, Renegades, una raccolta di cover di altri artisti riproposta e riarrangiata con la solita verve guerrigliera dei nostri. Se il precedente Battle of Los Angeles iniziava con una tripletta incendiaria degna del miglior scenario da guerriglia urbana, composta da Testify, Guerilla Radio e Calm Like a Bomb, anche questo Renegades non parte di sicuro in sordina. Microphone Fiend potrebbe essere il tipico inno funk-oriented che si identifica nel sound della band californiana, con una strofa incalzante guidata dal giro di basso, costruito con lo stesso schema di Guerilla Radio e anche in questo caso si tratta di uno delle migliori episodi dell’album. Più orientata verso il rap in senso stretto la successiva Pistol Grip Up, che in certi frangenti potrebbe richiamare maggiormente le sonorità degli esordi. Già da questa doppietta iniziale si nota come i Rage Against the Machine siano riusciti senza alcuna difficoltà a prendere il materiale di artisti distanti e siano riusciti a riproporlo nella loro salsa talmente bene da farlo sembrare quasi un album di inediti. Difficile diventa snaturare Kick Out the James da quella venatura punk e hard rock che la contraddistingue, pur sfoderando il buon Zach una capacità d’adattamento non indifferente, mentre risulta al contrario praticamente spontaneo adattare Renegades of Funk degli Afrika Bambaataa, la quale diventerà la canzone più famosa dell’album, fungendo da pseudo title-track. Come sempre impressionante la quantità di effetti che riesce a sfoderare la chitarra di Tom Morello, forse il più atipico dei Guitar Hero, istrionico nel destreggarsi con il wah-wah durante gli assoli così come nello scratch. Sarà strano per molti invece sentire nella brevissima Beautiful World il cantato prendere il posto del rap a cui eravamo abituati, risultando probabilmente la canzone in cui ci si discosta maggiormente dagli standard della band. La miglior cover dell’album diventa inevitabilmente How I Could Just Kill A Man, forse dovuta anche alla naturalezza con cui viene eseguita, dal momento che i Cypress Hill, oltre a suonare assieme all’interno dell’album sono, tra gli artisti coverizzati, i più simili ai Rage Against The Machine sia musicalmente sia dal punto di vista delle tematiche, condividendo anch’essi nelle loro liriche la denuncia verso gli abusi delle forze dell’ordine. The Ghost of Tom Joad è seguita dalle due "stradaiole " Down on the Street e Street Fightin Man, dove Tom Morello dimostra per l’ennesima volta che se esistesse la categoria di disk jokey della chitarra sarebbe sicuramente il vincitore incontrastato. La lunga ed articolata Maggie’s Farm è l’ultima testimonianza in studio di una delle band più originali degli ultimi anni, che chiude la carriera con questo album di cover. Non raggiungendo ovviamente le vette dell’incendiario debutto ma non risultando nemmeno una scialba raccolta di cover al solo scopo di batter cassa, Renegades non è altro che l’ennesima dimostrazione delle straordinarie capacità del quartetto, in grado di raccogliere brani provenienti da lidi musicali differenti e personalizzarli trasformandoli in possibili inni. Il disco quindi va preso per quello che è, un lavoro estemporaneo, sicuramente inferiore ai tre precedenti album, ma che si dimostra comunque uno dei migliori esempi di rivisitazione, e non poteva essere altrimenti visto che si parla di una band che sin dagli esordi era già abituata ad uscire dagli schemi abbattendo le barriere tra i generi, a cavallo tra metal, rap e funk, conquistando il proprio posto tra le band cult. Forse il sorgere di divergenze artistiche, forse la fama conseguita che ne snaturò l’essenza, forse l’essere diventati parte integrante degli ingranaggi di quello stesso sistema che ripudiavano, forse l’aver realizzato che la loro battaglia sembrava ormai persa, o molto probabilmente tutti questi elementi messi assieme, portarono allo scioglimento della creatura di Zach de la Rocha e dei suoi tre compagni, i quali ingaggeranno il da poco compianto Chris Cornell per avviare il progetto Audioslave, privati però dell’anima politica e destinati a diventare l’ombra di sé stessi. Ciò ha portato inevitabilmente al generarsi di molti dubbi riguardo l’autenticità degli stessi Rage Against the Machine, tanto che in molti inizia a farsi strada l’idea secondo cui solo il frontman fosse l’unico a credere davvero in quello che promulgavano. Per la verità c’è chi dubitava dell’onestà del progetto sin dal contratto con la Sony, vedendo come una forma di contraddizione la firma per una major da parte di una band schierata contro il sistema. Al di là di tutti i possibili processi alle intenzioni, quello che va preso come elemento concreto è il messaggio che hanno contribuito a diffondere attraverso le loro liriche, ed è altrettanto innegabile l’impatto senza precedenti che ha avuto la band, lasciando un segno indelebile destinato a perdurare oltre la loro carriera. A distanza di quasi vent’anni da quest’ultima produzione in studio dei Rage Against the Machine la situazione globale non sembra cambiata, rendendo la loro battaglia ancora attuale, anzi forse ancora più difficile dell’epoca in cui ebbe inizio. Tra tutti i versi presenti nelle loro canzoni però, uno in particolare rimane sempre a disposizione nella mente di ogni singolo individuo:
It Has to Start Somewhere. It Has to Start Sometime. What Better Place than Here? What Better Time than Now?
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
5
|
Le cover di afrika bambataa e dei cypress hill sono bellissime ma troppo facili vista la somiglianza stilistica. Quelle che mi hanno colpito di più sono the Ghost of Tom joad e maggie's farm del Boss e di Dylan proprio perché le più distanti dal crossover dei ratm. Nel complesso un bel disco e un degno addio di un gruppo STREPITOSO |
|
|
|
|
|
|
4
|
Buono ma nulla di più secondo me. Concordo con la recensione; miglior pezzo How I could just kill a man insieme a Kick out the jams degli MC5 |
|
|
|
|
|
|
3
|
Secondo me un buon album di cover, Microphone Fiend è spettacolare e anche il resto è di buon livello. Nulla a che vedere con gli inediti in termini di importanza, anche se come dice Nu Metal Head è l'ultimo album che ci hanno lasciato e quindi vale come una sorta di testamento artistico. Voto giusto, punto più punto meno. PS. Che spettacolo sarebbe ad oggi l'uscita di un loro album di inediti! |
|
|
|
|
|
|
2
|
Yaaaaaaaahhhhh bella recensione. |
|
|
|
|
|
|
1
|
ce l'avevo anni fa (non originale)... un episodio forse minore, come può essere un album di cover, anche se mi pare di capire che viene considerato quasi come un album vero e proprio di inediti nonché come il loro testamento, ma che in realtà sprigiona una carica micidiale... inutile citare una canzone piuttosto che un'altra, visto che erano tutte più o meno simili e "pompate" (a parte "beautiful world")... io avevo l'edizione con due tracce bonus dal vivo, mi pare fossero "kick out the jams" e "how i could just kill a man", ma non vorrei sbagliarmi... il voto potrebbe arrivare ad 80 o anche di più. |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Microphone Fiend 2. Pistol Grip Pump 3. Kick Out the Jams 4. Renegades of Funk 5. Beautiful World 6. I'm Housin 7. In My Eyes 8. How I Could Just Kill a Man 9. The Ghost of Tom Joad 10. Down on the Street 11. Street Fighting Man 12. Maggie's Farm
|
|
Line Up
|
Zach de la Rocha (Voce) Tom Morello (Chitarra) Timothy Robert Commerford (Basso) Brad Wilk (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|