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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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The Dead Daisies - Burn It Down
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29/04/2018
( 3626 letture )
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Una multinazionale dell’hard rock. Un Dream Team di talenti al servizio della musica. Quattro album in quattro anni e più di dieci ex membri nel carnet di una delle più belle realtà di rock odierno attualmente esistenti. Fondati in Australia da Jon Stevens e David Lowy, The Dead Daisies hanno debuttato nel 2013 con l’album omonimo, seguito poi da Revoluciòn nel 2015, figlio dell’entusiasmante esperienza che li ha visti come prima band occidentale ad esibirsi a Cuba dopo la fine dell’embargo voluta da Barack Obama. É proprio in questo periodo che il gruppo trova un punto fermo attorno al nuovo vocalist, John Corabi, un uomo costantemente in credito verso la fortuna. Trent’anni di carriera alle spalle e tanta voglia di dire ancora la propria, rivendicando un ruolo di primo piano a fronte di un talento evidente e a capacità che, prima o poi, dovevano riportarlo alle attenzioni del grande pubblico. Ma sarebbe un peccato sottovalutare il ruolo di tutti gli altri grandi musicisti coinvolti ed è da segnalare il fatto che ci troviamo di fronte un ulteriore avvicendamento con l’ingresso della star dell’AOR Deen Castronovo alla batteria, al posto di Brian Tichy. Un cambio questo che non tutti i fan hanno accolto al meglio, forse proprio perché si tratta dell’ennesimo stravolgimento in una line up che sembra quasi assumere l’aspetto più di un progetto che di una band vera e propria. In ogni caso, alla fine e dopo tutti i discorsi, quello che conta è la musica.
Make Some Noise è stata una vera bomba lanciata a sorpresa verso un pubblico che, probabilmente, non attendeva più simili uscite in ambito hard rock, un genere dal quale in molti non si aspettano più niente. La verità è che il risultato dell’ispirato songwriting della band, sublimato dalle grandi prestazioni dei musicisti, ha trovato nella voce di Corabi un elemento caratterizzante che è il vero valore aggiunto. Il cantante ha infatti saputo calarsi perfettamente nella band, tanto da sostituire in maniera permanente uno dei membri fondanti, senza farlo rimpiangere e anzi divenendo uomo-simbolo e baricentro della formazione. La sua voce roca, screziata e sofferta, dalla timbrica scura, è un vero trademark e si sposa alla perfezione all’hard rock potente, classico eppure estremamente dinamico dei Dead Daisies. Il risultato, così come per l’album precedente, è entusiasmante. I cinque riescono nel non semplice compito di confermare i livelli altissimi stabiliti con Make Same Noise, senza ricorrere ad effetti speciali e restando coerenti a livello stilistico, con una ulteriore maturazione delle composizioni. Non sarà difficile riconoscere un leggero rallentamento medio dei brani e, al tempo stesso, una cura ancora più evidente nella costruzione degli arrangiamenti e delle canzoni. Si noterà poi che le tracce più lunghe sono quasi tutte nella prima parte del disco, mentre le ultime sono anche le più brevi. Questa disposizione della tracklist ha un riflesso immediato, con una prima parte spettacolare, nella quale si concentrano tutte le migliori caratteristiche della proposta dei Dead Daisies: ritmo, potenza, dinamicità, composizioni classiche ma non banali, qualità strumentali di gran lunga sopra la media, personalità da vendere. La seconda parte del disco, invece, cala appena mediamente di intensità e ricercatezza, guadagnando in immediatezza e riservandosi almeno un paio di colpi di gran classe. I primi cinque brani sono una cavalcata di grandezza: giova ripetere che non c’è niente di nuovo, ma rimanere impassibili di fronte alla grandeur hard rock di Resurrected o Rise Up è semplicemente inconcepibile. La band sa essere pesante, aggressiva, potente e perfino moderna, ma al contempo è tutto così “facile” e naturale nelle mani di questi interpreti che l’ascolto è puro trionfo sonoro. Piace e convince quel retrogusto southern che resta impresso nel sound e nei riff della band, così come la fiera riproposizione di stilemi blues, che fanno la loro splendida figura in Burn It Down, titletrack perfetta, una sorta di ammodernamento degli Zeppelin tramite gli anni 80, con un assolo che sa di Aerosmith e di grande rock da arena. Compiacimento zero, sostanza a mille. Non paghi, i cinque tirano fuori subito un altro pezzo da novanta: Judgement Day, sin dall’apertura, è magia e anche in questo caso la differenza la fa il perfetto equilibrio tra potenza e melodia, classe esecutiva e carisma compositivo. Nessun calo neanche con la successiva What Goes Around, mentre Bitch sembra in effetti reggersi più sulla qualità dei musicisti che non sulle proprie gambe e quindi, dopo una leggera flessione, perché non sparare subito un altro pezzo da urlo? Ecco qua Set Me Free, scandita da un arpeggio hendrixiano -con tanto di progressione alla Hey Joe- e da una melodia che potrebbe ricordare perfino i Lynyrd Skynyrd. Molto piacevole anche Dead and Gone, dal refrain un po’ telefonato ma non per questo meno contagioso e con l’ennesimo ottimo assolo. Tutto funzionale e ridotto all’osso, di gran classe. Stesso discorso per la successiva Can’t Take It With You, classico brano rock saltellante, nel quale Castronovo si conferma perfetto nell’amalgamarsi al contesto. Chiude Leave Me Alone, altro pezzo di ottima fattura nel quale, come in molte linee melodiche dell’album, aleggia il fantasma degli Aerosmith anche a “causa” di Corabi che più volte va a stuzzicare il mostro sacro Tyler nello stile e nella timbrica. Eccoci così alla conclusione, dieci brani per circa quaranta minuti di grande musica.
Quella dei Dead Daisies è una bella conferma, che farà bene alla loro carriera, ma serve in maniera dannata anche all’intera scena rock americana. I fasti di un tempo non torneranno mai più e probabilmente non saranno questi cinque ex ragazzi a rilanciare l’hard rock a stelle e strisce nei piani alti delle classifiche, ma l’attenzione che stanno attirando è guadagnata a suon di musica di alto livello e tanto sudore. Burn It Down è un disco per intenditori, che piacerà probabilmente anche a molti neofiti del genere, perché ha tutte le qualità per spiccare nel mare delle uscite odierne: personalità, qualità individuali, scrittura di livello, una squadra di elementi eccelsi individualmente, che sanno però anche mettersi al servizio del collettivo. Rispetto a Make Some Noise si registra un ulteriore crescita della line up, nonostante i cambiamenti continui e una maggiore maturità di alcune tracce. L’album in compenso è compattissimo e inattaccabile, senza nessun autocompiacimento, ma tanta concretezza. Insomma, un acquisto obbligato e uno dei candidati fissi alla Top Ten di fine anno. E’ questa la qualità che deve fare da metro di paragone per chi si cimenta nella materia.
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18
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Come ho già scritto sotto l'altra recensione, buon disco. Un gradino sopra make some noise, Uno sotto Revolucion. |
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17
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....gran disco.....bel disco.....fantastico corabi.....di cui consiglio di recuperare la ristampa degli scream.....semplicemente eccezionale..... da qualche mese reperibile....... |
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16
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Broken Arrow, scusa ma tu cosa intendi per salvezza del rock? Non c'è un gruppo che può salvare il rock, semplicemente c'è molto pubblico che si ascolta musica di merda. Aldrich scarso? Beh a me piace di più John Sykes ad esempio, ma lui è un professionista che con la musica ci campa: tu? spero di si per te, a scanso di equivoci io non ho proventi ne dalla musica ne dal web. Questo è un buon album, sicuramente meritevole di essere ascoltato, la migliore per me è Leave me Alone, anche il testo, ricorda gli Scream di Corabi, disco da recuperare per me. La sezione ritmica Mendoza/Castronovo e di assoluta affidabilità |
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"... Bitch sembra in effetti reggersi più sulla qualità dei musicisti che non sulle proprie gambe..." beh certo, peccato sia una cover |
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Diciamo anche che musicisti di quel livello lì possono permettersi di suonare tutto, quindi se si buttano su un genere “vintage” e “fuori moda” come questo lo fanno sicuramente per passione pura e non per motivi economici perché la roba che attira le nuove generazioni non è certamente questa. |
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Aggiungo che gli Aerosmith sono più di vent'anni che non fanno un disco decente e se ci sono gruppi tipo i Daisies che ne prendono il sound ammodernandolo e facendo dischi più che buoni come questo che ha ricevuto unanimi consensi non vedo dove sia il problema ad esaltarsi. Poi che a qualcuno non piaccia è fuori discussione ma certi commenti lasciano il tempo che trovano. |
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@Tino: il no comment non era riferito a te, visto che sono quasi sempre in sintonia con i tuoi commenti, ma agli altri.
È la solita storia che solo pochi giorni fa ho discusso su un'altra recensione: nella musica odierna non si inventa niente; l'hard rock è questo se uno non vuole ascoltare nuovi o medi gruppi nuovi si fermi al 1990, gli altri vanno avanti. Questo è un buon disco con le sue influenze se piace bene se no si passa avanti |
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Guarda B.A. sono dentro all’ hard rock da oltre trent’anni ma non sono (ancora) un chitarrista quindi non posso cogliere sfumature che magari uno che sa suonare bene nota meglio. Quello che ho visto e sentito di aldrich mi ha sempre fatto impressione, basta guardare il solo che fa sul live dei whitesnake del 2006, inoltre qualche anno fa sono stato a una clinic di reb beach a parma e diversi dei presenti ne decantavano le lodi ma esaltavano l’altro (doug). Dal punto di vista stilistico preferisco altri chitarristi, ma per una questione di sonorità, non dal punto di vista tecnico perchè non sono in grado di valutarli, per capirci i miei solisti preferiti in assoluto sono Van halen, steve lukather, ace frehley, ihsahn, andy la roque, kim thayil, john norum, manni schimidt, alex skolnick, dave mustaine, alex lifeson, reb beach, jerry cantrell, e magari qualcun’altro. Insomma non c’è aldritch perché non sono un amante degli shredder puri e penso lui si possa collocare in quella nicchia lì. |
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10
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@Broken Arrow: Whitesnake, Dio, Lion, Bad Moon Rising, Hurricane, House of Lords, Burning Rain, Revolution Saints e The Dead Daisies. Questo è il curriculum di Aldrich, il quale ha suonato in circa 50 album ufficiali, oltre ad una ventina di tribute... se questo è uno di quelli criticati, siamo a posto. Nei Whitesnake era il primo chitarrista e giustamente come fa notare tino, Reb Beach faceva il "secondo". In Killing the Dragon con Dio sciorina una prestazione da urlo... può piacere o meno, non lo discuto e sicuramente possono non piacere i Dead Daisies, in questo caso si parla di gusti. Che sia un mero mesteriante, beh... la realtà dimostra che le cose non stanno proprio così e il rispetto degli altri musicisti è il primo segnale in questo senso. |
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9
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Possiamo discuterne invece ms, l’ultimo disco non l’ho ascoltato però penso di non aver detto niente di strano se dico che nel 2018 è difficile rimanere folgorati da un disco di hard rock, anche se fatto a regola d’arte. Penso che questo gruppo non sia comunque sopravvalutato perché i musicisti che ne fanno parte sono tutti dei fuoriclasse e le canzoni sono comunque belle, però in linea di massima propongono un genere che difficilmente farà breccia tra le nuove generazioni, viceversa crea quel (tremendo) effetto nostalgia nella gente over 40, che ricorda i vecchi tempi di gioventù con una musica che li evoca…musicisti in posa plastica, video clip “giusti” come quello di mexico, attitudine macho, evocazioni californiane, insomma quella roba lì. Dal punto di vista stilistico li trovo poco personali, mi sembrano troppo simili agli aerosmith, non che sia un difetto, però è una cosa che ho notato. |
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8
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Puoi commentare, Metal Shock, tranquillo, non detieni il primato delle orecchie d'oro, puoi dimostrare che questa roba è FRESCA? Non penso, quindi non fare quello che la sa lunga, ti piace e basta...se questo è un disco senza punti deboli, mi sa che ne hai ascoltati pochini. A me sta roba stufa, è trita e ritrita, gli Aerosmith piu scarsi a questi gli passano sopra. Mi va benissimo che piacciano, ma piantiamola di trattare sto dischetto di mestiere come la salvezza del rock. Tino, cmq se sei nel mondo hard rock come penso, saprai bene che Aldrich è da sempre MOLTO discusso, io sono tra quelli che lo considerano un buon mestierante, tutto qui |
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7
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......no comment (ai commenti sotto) |
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Non esageriamo, aldrich è un grandissimo chitarrista, di sopravvalutato a quei livelli non c’è nessuno che io conosca men che meno Doug. Teniamo presente che nei whitesnake un altro grandissimo come reb beach “accettava” di starsene un po’ defilato, insomma. Poi che il gruppo non sia niente di speciale ci sta, ma è anche il genere che è quello e non c’è niente di nuovo da inventare. Io penso che molto furbescamente si siano rifatti più o meno platealmente agli aerosmith, corabi nel gruppo mi sembra un clone di steven tyler. |
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5
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Bravini, ma concordo con D.T....è veramente uno dei gruppi più inspiegabilmente sopravvalutati degli ultimi anni...forse per la soggezione dei nomi presenti, boh...Aldrich poi è uno dei chitarristi più legnosi e sopravvalutati della storia, palloso coi Lion, palloso a morte coi Burning Rain, buono coi Whitesnake e ok, ma c'era Coverdale...riff sentiti MIGLIAIA di volte, ritornelli ripetitivi, poco incisivi, poco fantasiosi...ok prova strumentale tecnicamente di livello, Corabi buon vocalist, ma qui siamo su un hard rock blues trito, ritrito e ritritato ancora, il che non sarebbe un problema se ci fosse l'ispirazione...ma non c'è. Dai ragazzi, non scherziamo...carini |
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4
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Purtroppo dopo quasi un mese di ascolti devo dire che l'album risulta veramente noioso e quasi del tutto privo di spunti interessanti. Gli unici aspetti positivi riguardano le vocals di Corabi che sollevano lievemente la situazione. Prova decisamente sottotono di tutti gli altri con Doug che fornisce la prestazione più scialba della sua carriera... veramente nulla a che vedere con l'album precedente che era su altri livelli. |
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3
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Disco da paura! Purtroppo non potrò andare a vederli a Trezzo il 09.
Mi pare data neanche segnalata sul sito |
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2
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Completamente d'accordo con Lizard: grande band, anche se con troppi cambi, e grande disco di hard rock, è finalmente un po' di giustizia per un grande cantante e musicista come Corabi!!. Un disco senza punti deboli, molti alti fino alla fine e sicuramente uno dei dischi dell'anno nel genere. Voto 85. |
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1
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visti dal vivo qualche tempo fa.....una bomba!vado subito a cercare il cd.... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Resurrected 2. Rise Up 3. Burn It Down 4. Judgement Day 5. What Goes Around 6. Bitch 7. Set Me Free 8. Dead and Gone 9. Can't Take It With You 10. Leave Me Alone
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Line Up
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John Corabi (Voce, Chitarra) Doug Aldrich (Chitarra) David Lowy (Chitarra) Marco Mendoza (Basso) Deen Castronovo (Batteria)
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