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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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13/10/2018
( 3082 letture )
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Accolti da sempre con una certa diffidenza dal grande pubblico, gli Stone Sour sono uno di quei rari casi di progetto parallelo nato prima del gruppo principale. Ebbene sì, così si può dire, dal momento che il gruppo fondato da Corey Taylor e dal batterista Joel Ekman nel lontano 1992 è unanimemente considerato alla stregua di un side project dei “cugini” Slipknot, la cui carriera ha avuto però inizio un anno più tardi. La storia degli Stone Sour assume così dei connotati ben più interessanti di quanto ci si potrebbe immaginare e narra di una band che è riuscita a tagliare il traguardo del primo studio album solamente dieci anni dopo la propria nascita. Fino al 2002, anno dell’uscita dell’omonimo disco d’esordio, la band si era mossa per trovare una certa stabilità in formazione, riuscendovi solamente in parte, poiché dopo l’ingresso di James Root, proprio quest’ultimo, insieme al cantante Corey Taylor, entrò a far parte degli Slipknot. La band, priva di questi due elementi, registrò comunque un album, che non venne mai pubblicato, ma portò il gruppo a firmare un contratto per la Roadrunner Records. Rimessa in piedi la formazione completa, gli Stone Sour riuscirono così a pubblicare il loro primo album, che, anche grazie al fondamentale supporto della major di cui sopra, ottenne un grande successo commerciale ed importanti riconoscimenti da parte della critica.
Chi ancora non ha sentito parlare degli Stone Sour o ne conosce il nome solo in quanto fan degli Slipknot, potrebbe essere portato a pensare che le due band abbiano molti punti in comune dal punto di vista stilistico (al di là ovviamente dei loro componenti), ma così non è. Se si prendono in esame soprattutto gli album successivi al primo, si noterà come il sound degli Stone Sour sia ben altra cosa rispetto a quello degli Slipknot, ammorbidito da certe soluzioni stilistiche che rendono merito all’eclettismo vocale di Corey Taylor e ne elevano le grandi potenzialità a livello interpretativo. In questo debut album, invece, il sound delle due band è spesso e volentieri meno distante, sia dal punto di vista strumentale che vocale, pur con tutte le differenze del caso. L’opener e singolo di successo Get Inside è l’esempio perfetto di ciò, grazie alle urla e alla rabbia sprigionate dalla voce di Taylor e ad una sezione ritmica a dir poco roboante. Con altri pezzi le somiglianze si fanno meno evidenti e a farla da padrone sono sonorità più vicine al nu metal e all’alternative metal, con la voce di Taylor capace di spaziare su più registri e differenti stati d’animo, mettendo in luce le sue già citate qualità interpretative. È il caso delle successive Orchids e Cold Reader, ma anche di pezzi quali Choose o Idle Hands, tutti brani qualitativamente non eccelsi ma lo stesso molto efficaci. A distinguersi sotto una luce estremamente positiva sono invece le varie Blotter e Tumult, canzoni dal forte impatto che risaltano le doti dei singoli musicisti, a partire dai chitarristi James Root e Josh Rand, senza dimenticare il grandissimo lavoro di Shawn Economaki al basso e la varietà espressa dalle pelli di Joel Ekman. Su un diverso livello d’intensità si posiziona invece l’ottima Inhale (terzo singolo di quest’album) e assolutamente nella media rientrano le varie Blue Study e Take a Number, mentre neanche a dirlo sul gradino più alto troviamo il singolone Bother, presente -come molti forse ricorderanno- nella colonna sonora di un film campione d’incassi come il primo Spider-Man diretto da Sam Raimi ed uscito nelle sale lo stesso anno dell’album degli Stone Sour. Accompagnato da un video altrettanto ben realizzato, Bother è senza ombra di dubbio il brano cardine dell’intero album, il pezzo di maggior successo, nonché quello che più di tutti rende merito all’intensità vocale del cantante statunitense.
Correlato da una copertina tutt’altro che d’impatto ed anzi estremamente essenziale, Stone Sour non è il miglior album pubblicato negli anni dalla band dell’Iowa, che avrebbe più avanti dato alle stampe lavori più interessanti tanto dal punto di vista qualitativo (Come What(ever) May) che contenutistico (House of Gold & Bones Part 1 e Part 2), ma di certo è una partenza col botto per una band spesso poco considerata o addirittura sconosciuta alla maggior parte dei metalheads. Se si pensa che questa formazione ha ad oggi oramai superato i venticinque anni dalla sua nascita e ha alle spalle sei dischi di tutto rispetto, pur tra gli immancabili alti e bassi a cui ogni band deve sopperire nel corso della propria carriera, forse allora si capirà che una maggiore considerazione da parte di noi appassionati sarebbe lecito attendersela. Quale miglior occasione dunque per riscoprire passo dopo passo tutte le tappe che gli Stone Sour hanno percorso nel tempo se non partendo proprio da questo album di debutto?
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5
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un buon disco interessante....potente e melodico.... |
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4
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Ottimo disco. Senza dubbio il loro migliore. Voto: 80. |
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3
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Mi ci avvicinai all'epoca curioso di sentire la voce di Corey in un contesto differente ma temendo la fregatura lo comprò un mio amico, che me lo fece anche ascoltare. Alla mi piacque e anche se lo ascolto praticamente da allora sento che potrebbe ancora piacermi. |
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2
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disco splendido, il migliore degli SS. |
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1
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ribadendo il concetto che secondo me è una band quasi inutile, questo disco l'avevo comprato ai tempi, spinto dalla curiosità di ascoltare "il progetto parallelo del cantante degli Slipknot"... manco a dirlo le mie preferite erano quelle più aggressive, su tutte l'opener "get inside", mentre invece "bother" mai sopportata... ma passato l'entusiasmo iniziale, me ne sono sbarazzato ben presto... parliamoci chiaro, i 'knot sono un'altra cosa... ma anche i Murderdolls di Joey Jordison erano meglio aggiungerei io, molto più spassosi e casinari... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Get Inside 2. Orchids 3. Cold Reader 4. Blotter 5. Choose 6. Monolith 7. Inhale 8. Bother 9. Blue Study 10. Take a Number 11. Idle Hands 12. Tumult 13. Omega
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Line Up
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Corey Taylor (Voce, Chitarra nella traccia 8, Piano nella traccia 12) James Root (Chitarra, Cori nelle tracce 1 e 7) Josh Rand (Chitarra) Shawn Economaki (Basso) Joel Ekman (Batteria)
Musicisti Ospiti Sid Wilson (Giradischi nelle tracce 2, 3 e 6) Denny Gibbs (Organo Hammond nella traccia 7)
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