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Gandalf’s Owl - Who’s the Dreamer?
27/02/2019
( 1518 letture )
Ai lettori più appassionati di power metal sarà ben nota la realtà nostrana denominata Heimdall, soprattutto grazie a quell'Aeneid del 2013 che ricevette non pochi elogi da critica e pubblico. Il cantante Gandolfo Ferro, a distanza di ben tre anni dal sopraccitato disco, decise di pubblicare -nei panni di solista e sotto il nome Gandalf’s Owl- Winterfell, un EP le cui tre tracce anticipavano la prima release ufficiale Who’s the Dreamer?, uscito per l’etichetta di Club Inferno Entertainment il 4 gennaio 2019.

Le premesse sono realizzate ad hoc per far rizzare le orecchie agli appassionati del fantasy occidentale nudo e crudo. Le sonorità glaciali, senza tempo e senza luogo attingono infatti a piene mani dalle atmosfere dell’osannato Game of Thrones, il tutto condito da sprazzi di elettronica vecchio stampo e melodie psichedeliche. Quello che viene definito dall’autore stesso come progressive ambient rock altro non è che una sperimentazione portata all’estremo, un forte e ambizioso tentativo di rievocare quel tipo di atmosfere tipiche del genere e farlo nel modo più adimensionale possibile.
Sono poco più di 45 i minuti che ci ritroveremo davanti una volta iniziato l’ascolto, 45 minuti a dir poco eccentrici, differenti da tante concezioni di musica, forse troppo. Winterfell -la traccia d’apertura- spiazza da subito anche l’ascoltatore più aperto alla sperimentazione e lo spaesamento dinanzi alle sue tastiere, agli sfuggenti effetti e alle sonorità suggestive è causato per lo più dall’inconcludenza del brano stesso, dai suoi quasi quattro minuti e mezzo di obnubilamento musicale. Stesse problematiche presenti nella successiva e bipartita A Dwarf in the Lodge, che con i suoi quasi dieci minuti rinchiude chi ascolta in una gabbia di ripetizioni melodiche e di vuotezza contenutistica. È innegabile la presenza (seppur non perpetua) di una rievocazione emotiva nella psiche dell’ascoltatore, ma il tutto viene annichilito dal tentativo eccessivo di spingere quest’ultima oltre il possibile, cercando avidamente di creare qualcosa di talmente differente da risultare inspiegabile. L’ineffabilità non è qui però un fattore positivo, poiché non è causato da stupore di stampo epifanico bensì da una serie di domande a cui anche il più esperto di voli pindarici non troverebbe risposta. Le chitarre e la sezione vocale rendono il tutto più ancorato al mondo sensibile, riportando l’ascolto su qualcosa di più concreto e per certi versi apprezzabile, soffocate però dalle sezioni di puro ambient. La traccia probabilmente più riuscita è la successiva Garmonbozia, le cui macabre sonorità unite agli orgiastici versi animali e le belluine urla rendono questo brano qualcosa di raccapricciante, condito poi da dei lapidari rintocchi di campana sul concludersi dei secondi. Le atmosfere gotiche decorano Between Two Worlds, altro pezzo dimenticabilissimo nonostante le linee vocali di Gandolfo e gli spunti chitarristici in esso presenti. White Arbor e Sunset by the Moon ci portano invece su nuovi lidi, nel senso letterale del termine in quanto i barriti dei gabbiani e lo scrosciare delle onde ci immergono in sonorità meditative, toni romantici e speranzosi. Il livello qualitativo sembra alzarsi leggermente, e anche se i brani non raggiungono la ricercatezza di Garmonbozia il tutto sembra acquisire carattere. La conclusiva Coming Home ricade invece nel cacofonico, gli effetti fantascientifici dei primi anni ’80 risultano completamente fuori contesto, pretenziosi quanto il resto dell’opera (seppur con le dovute eccezioni summenzionate). Il vero e proprio brano conclusivo è però la cover della magnifica Il Vento, la Notte, il Cielo de Le Orme, cover riuscita purtroppo a metà in quanto le melodie sono state sì riprese a piè pari -per la gioia dei fan- dal brano originale, ma l’effettistica storpia il tutto con stridenti distorsioni che infliggono non poche ferite all’intero brano e in particolare allo splendido assolo.

Gettarsi in un’opera solista non è mai facile. L’intero processo creativo non è frammentato ma sublimato all’interno di una sola mente creatrice le cui capacità devono cooperare al fine di produrre nel migliore dei modi l’idea di partenza. Idea che in questo disco di certo non era fallimentare. La ricerca di qualcosa di unico è l’esternazione del desiderio di scrivere la storia, cambiarla e stravolgerla per aprire nuovi orizzonti (in questo caso musicali). Concluso l’ascolto sembra però ridondante il dubbio sulla propria capacità valutativa.Non si riesce distintamente a comprendere se la sensazione di vuotezza è causata dai beceri mezzi che l’ascoltatore si ritrova ad utilizzare in tale valutazione oppure è il disco a peccare in concept e in sound. Una cosa è certa, ossia che Who’s the Dreamer? è quello che potrebbe essere definito un disco avido: avido di sperimentazione, di ricercatezza, di profondità e di tanto altro. Le sue glaciali sonorità non riescono sempre a creare -e poi sorreggere- gli scenari di cui egli stesso vuole farsi fautore. La produzione è tutto sommato ben realizzata, così come le nebbiose ambientazioni della copertina, ma musicalmente non convince neanche il palato più sopraffino ed esigente il quale, in un genere così vasto e articolato come il progressive, riuscirà a trovare opere di pari eccentricità ma decisamente più umili nel loro voler strafare.



VOTO RECENSORE
50
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2019
Club Inferno Ent.
Prog Rock
Tracklist
1. Winterfell
2. A Dwarf in the Lodge Pt1
3. A Dwarf in the Lodge Pt2
4. Garmonbozia
5. Between Two Worlds
6. White Arbour (...the North Remembers)
7. Sunset by the Moon
8. Coming Home
9. Il Vento, la Notte, il Cielo (cover Le Orme)
Line Up
Gandolfo Ferro (Tutti gli strumenti)

Musicisti ospiti
Gaetano Fontanazza (Chitarra, Tastiere, Campane nelle tracce 1, 2, 3, 7)
Tony Colina (Tastiere, Organo nelle tracce 5, 7, 9)
 
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