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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Deinonychus - Warfare Machines
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Quando mi trovo a discutere di arte -anche se di solito queste discussioni riguardano più che altro il mondo dell’arte contemporanea, un’altra delle passioni del sottoscritto- mi scontro spesso con una posizione preconcetta che mi fa parecchio innervosire, quella di gente che volge uno sguardo distratto ad una certa opera, e, se questa non risulta immediatamente gradevole al suo occhio, dice: “E’ brutta, non mi piace”.
Quello che più mi da fastidio è che quasi sempre invece si dovrebbe partire da un più corretto: “Non lo capisco, quando avrò i mezzi per decodificare l’opera esprimerò il mio giudizio”.
Cosa c’entra tutto ciò con Warfare Machines, ultima opera del malsano progetto dell’olandese maledetto Mario Keheren? Presto detto, il rischio è che tanti potenziali ascoltatori, (ed è chiaro che non mi rivolgo a quelli che già seguono dall’inizio i Deinonychus), potrebbero escludere a priori l’ascolto di Warfare Machines solo perché questo è un prodotto poco standardizzato, non rispondente cioè a quei canoni di “già sentito”, di amichevolmente rassicurante, che spinge spesso ad interessarsi di certi dischi che piacciono perché sono proprio quello che ci aspettiamo che siano, perché ricalcano uno o più schemi che il nostro cervello riconosce come piacevoli, mancando così di interessarsi a quanto è “altro” da questi, ma che talvolta può invece racchiudere un’idea meritevole di essere attenzionata.
Il fatto è che un’idea per essere valida non deve necessariamente essere piacevole, bella nel senso strettamente estetico, ma può anche essere al limite anche sgradevole da questo punto di vista, ma intrinsecamente bella perché intelligente.
Questo è il caso dei trentatre minuti circa di Warfare Machines, quasi apparentemente sgradevole fin dall’inizio, con una Krematorium che quasi tutti avrebbero inserito altrove quale collegamento tra un brano e l’altro delegando l’apertura a cose come Nerve Agent, per poi passare a Carpet Bombing (il concept se non è chiaro è quello della guerra e delle armi impiegate) e via via gli altri, poco identificabili per genere, contenendo episodi Black, Doom, Death, Dark, spesso impastati all’interno dello stesso pezzo ed inscindibili l’uno dall’altro (Manoeuvre East, Napola e quella che probabilmente è la vetta dell’album, False Flag), e che conferiscono a Warfare Machines un sapore acido, malsano, malaticcio, velenoso, rumoroso e letale come l’MG-34 (citazione), che equipaggiava l’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale.
A coadiuvare Mario troviamo Jurgen Bartsh dei Bethlehem al basso e Giuseppe Orlando dei Novembre alla batteria, ambedue ben calati nell’atmosfera psicotica di Warfare Machines, un lavoro che fa alla mente l’effetto che il napalm fa al corpo e che poggia essenzialmente su una qualità che molti sembrano non tenere più in grandissimo conto: l’intelligenza, che, come vi ho già detto, è sempre, dico sempre, sinonimo di bellezza, anche quando non sembra.
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2
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già, durata "vinilica". |
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1
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A me è piciuto molto. Estremamente claustrofobico e particolare. Ottime vocals (ipereffettate) ed impatto ritmico. Zero melodia. Un unico appunto. 33 minuti sono un po' pochini per giustificare ** euro d'acquisto. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Krematorium 2. Carpet Bombing 3. Manoeuvre East 4. Napola 5. MG-34 6. False Flag 7. Nerve Agent 8. Morphium
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Line Up
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Marco Kehren - chitarra, voce Giuseppe Orlando - batteria Jurgen Bartsch - basso
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RECENSIONI |
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