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Aborym - With No Human Intervention
20/02/2021
( 1995 letture )
Quando si dice “un titolo azzeccato”; questo è proprio il caso di With No Human Intervention, terzo album degli Aborym pubblicato nel 2003 dopo il magnifico Kali Yuga Bizarre e l’exploit maggiormente elettronico di Fire Walk With Us. Se quest’ultimo disco aveva diviso in un primo momento la fan-base che la creatura di Malfeitor Fabban si era conquistata grazie al suo sound peculiare, dando maggiore risalto alla componente industrial e lasciando nelle retrovie quella black metal (processo che ad oggi possiamo definire totalmente compiuto), con With No Human Intervention si ritorna in una situazione di precario equilibrio destinata a trovare un bilanciamento più unico che raro.

Se la formazione della band rimane invariata rispetto ai due album precedenti, la grande novità sta nella presenza di ospiti di rilievo, tutti orbitanti intorno alla scena black metal norvegese: ad affiancare Attila Csihar alla voce infatti si alternano Nattefrost, cantante dei Carpathian Forest, che fornisce numerosi cori nella maggior parte dei brani e si occupa in prima persona del comparto vocale di The Alienation Of A Blackened Heart – brano dal sapore black’n’roll nel quale dietro le pelli siede Irrumatur, batterista degli inglesi Anaal Nathrakh – e Faust, batterista dei seminali Emperor, che offre il suo contributo al microfono con dei suggestivi interventi parlati. È sua l’idea del titolo del disco, nonché il testo della martellante Faustian Spirit Of The Earth. Le novità non finiscono di certo qui: sebbene nel 2002 Csihar venga trovato in possesso di droga e questo evento porterà ripercussioni sulla reputazione del gruppo, i musicisti non si lasciano frenare dalle critiche e decidono di dare un volto nuovo alla band, adottando un logo più moderno e un look derivante dalla cultura rave, con colori scintillanti che cozzano vistosamente con l’iconografia grigia e decadente rappresentata dal concept del disco. I temi portanti del nuovo corso diventano la distruzione del pianeta da parte dell’uomo, trasfigurata in uno scenario urbano cupo e asettico ben rappresentato nell’immagine di copertina, e la violenza in ogni sua forma.
E di violenza si colmano le note che compongono il disco, senza dubbio l’opera più cruenta e marziale mai prodotta dalla compagine nata a Taranto nel ’92. Come detto in apertura nell’ora abbondante di With No Human Intervention lo spirito black metal incarnato dallo screaming lancinante ed eclettico di Attila Csihar trova il perfetto equilibrio con la controparte elettronica imbastita da Malfeitor Fabban e dai suoi compagni, che parte indubbiamente da una base industrial prettamente percussiva e metallica, ma ingloba elementi tribali e schemi EBM particolarmente ficcanti. Il risultato finale lascia ancora oggi annichiliti e a fronte di una produzione legata al proprio tempo (le due ristampe però attualizzano leggermente questo aspetto), i singoli brani svolgono egregiamente il proprio lavoro scaricando dosi inumane di violenza cibernetica nei confronti dell’ascoltatore. Da lodare in ogni caso il lavoro del celebre Christian Ice dietro al mixer, capace di rendere organico un album dotato di ingredienti quasi impossibili da amalgamare. L’album scorre senza soluzione di continuità inanellando ben quattrodici episodi dai titoli programmatici, ma nel complesso è come se ci si trovasse al cospetto di un unico, immenso, monolite sonoro che deve essere affrontato nella sua totalità. Nelle parole dei musicisti la musica qui contenuta dovrebbe dare l’idea di non essere stata composta da esseri umani, ma da macchine e questa idea si riflette perfettamente nelle atmosfere gelide che permeano la maggior parte del disco. È vero però che a differenza dell’album precedente l’approccio qui adottato riprende in parte quello più fisico e viscerale del black metal che aveva reso grande il disco di debutto ed è qui la vera forza di With No Human Intervention: l’intervento umano è presente e cerca di emergere con rabbia sotto la pressione delle macchine e dell’elettronica, soccombendo tragicamente con un grido disperato. Dopo una brevissima introduzione il disco si apre con le ritmiche schizoidi della titletrack, la quale spiazza fin da subito con una drum machine che viaggia a velocità robotiche e che schiaccia senza pietà le chitarre in tremolo picking; le tastiere che colorano l’apparato puramente ritmico del brano rappresentano l’unico elemento melodico in gioco, ma in questi sei minuti si è immersi nel grigio, in scenari industriali che lasciano pochissimo spazio al respiro. L’aria però ha appena iniziato a farsi pesante.

Si prosegue su questa falsa riga per un quarto d’ora circa, con Attila Csihar che alterna inglese ed ungherese e dà spettacolo con il suo approccio vocale personalissimo; il cantante risulta forse fin troppo teatrale in qualche passaggio, ma l’essenza grottesca e disagiante della musica fa sì che anche questo aspetto diventi parte integrante degli ingranaggi dei brani ed anzi risulta come uno dei punti focali a livello compositivo.
L’elettronica fa capolino in Does Not Compute, intermezzo in bilico tra dark ambient e breakbeat, a cura del compositore Matt Jarman: quattro minuti che odorano di Venetian Snares, ma interpretati con un’intenzione decisamente più cupa e opprimente. Si possono usare gli stessi aggettivi per descrivere i brani che seguono, dove è però percepibile una tensione sempre più saliente, destinata a sciogliersi di lì a poco nell’episodio più affascinante del disco. Dopo mezz’ora esatta, a segnare la metà dell’opera, arrivano i dieci minuti di The Triumph, manifesto assoluto dell’intero album: il brano attraversa diverse sezioni iniziando con una cavalcata black metal puramente norvegese per poi interrompersi e lasciar spazio a un momento chitarristico particolarmente virtuoso su una base ora atmosferica e avvolgente. Lo screaming maligno di Attila Csihar si muove imperterrito lungo tutto lo svolgimento della composizione, facendosi ora più baritonale ora più acuto ed acido ed insieme alle chitarre rappresenta la componente umana che per tre quarti del pezzo prende il sopravvento su quella elettronica. Il finale invece è all’insegna dell’erotismo, con un sample ritmico estratto da Come To Daddy, brano aggrotech di fine anni ‘90 ad opera del tedesco Chris Poland, in arte Tumor, su cui si stagliano ulteriori samples di orgasmi femminili che esplodono con sempre maggior intensità. Si fa apprezzare anche un estratto da Conjure dei Project Pitchfork, altro brano electro-goth anni ’90 che gli Aborym utilizzano nella costruzione di The Triumph. Non siamo di fronte a un’idea innovativa, sia chiaro – basta ascoltare il bellissimo Cottonwood Hill degli in parte italiani Brainticket, datato 1971, per poter sentire un uso audace dell’orgasmo femminile in musica – ma il risultato è ottimo e nella sua sensualità deviata riesce al contempo ad ammaliare e ad infastidire terribilmente. L’alternanza uomo-macchina trova qui la sua ideale rappresentazione. Di fronte a un brano tanto impegnativo il resto dei brani che seguono impressionano meno, tornando su binari già calcati nella prima parte del disco, ma gli assi nella manica non sono terminati e di fronte all’assalto techno-house di Chernobyl Generation non si può fare a meno di muovere la testa. Si può obiettare riguardo l’adattabilità dello screaming in un contesto del genere, tuttavia questo rimane uno degli episodi più iconici dell’album, che ben si sposa con il face painting luminoso che i musicisti sfoggiano nel retro del disco. Quando si arriva agli ultimi secondi di With No Human Intervention – l’ultimo brano in scaletta originariamente durava poco meno di un minuto, nelle ristampe ne dura tre – si fatica a ritornare nella propria normale condizione mentale: l’ascolto del disco è alienante e a tratti al limite della sopportazione a causa delle sonorità glaciali e delle ritmiche asfissianti che non concedono tregua allo scorrere del minutaggio. Senza ombra di dubbio di dubbio questo album rimane unico nel suo (non) genere e per questo merita di essere celebrato oggi come e più di ieri: negli anni gli Aborym hanno riscosso più critiche che meriti, soprattutto in patria, ma dischi come questo sono qui per ricordare ancora a che livello di sperimentazione si potesse ambire (per non dire osare) in un ambiente come quello prettamente conservatore del black metal, senza per questo perdere credibilità ed anzi avvalendosi della collaborazione di autentiche colonne portanti del genere e della “mitologia” relativa ad esso.

Se la musica industriale e il metallo nero hanno trovato modo di incontrarsi in dischi più eleganti e raffinati di With No Human Intervention, però in questo caso lo spettro della musica elettronica viene esplorato e utilizzato con una visione nettamente più ampia, sforando in generi esterni all’industrial, come descritto in precedenza. Per questo motivo il terzo disco della band di Malfeitor Fabban rimane un caposaldo tutt’oggi e ascoltarlo risulta ancora fonte di ispirazione. Nella discografia del gruppo di Taranto questa opera si pone nel podio degli album migliori e continua a mantenere indiscusso il proprio fascino. Ultima chicca contenuta nel booklet del disco è la dedica a Jon Nödtveidt, frontman dei leggendari Dissection, che scomparirà solo tre anni più tardi. La curiosità? Il chitarrista degli Aborym Set Teitan 131 lascerà la band proprio dopo il disco del 2003 per entrare negli stessi Dissection. Anche Attila Csihar mollerà il gruppo per rientrare nei redivivi Mayhem nel 2004, lasciando di fatto la band nelle mani di Malfeitor Fabban e Nysrok Infernalien Sathanas, accompagnati alla batteria dal già presente Faust. Ma questa è un’altra storia.



VOTO RECENSORE
87
VOTO LETTORI
49.73 su 303 voti [ VOTA]
Punto Omega
Giovedì 25 Febbraio 2021, 13.46.37
5
Capolavoro dell'industrial black.
Zess
Domenica 21 Febbraio 2021, 20.03.36
4
Diverso dai due precedenti, ma per il resto lo ricordo poco. All'epoca lo comprai subito, dovrei riascoltarmelo.
Madlegion71
Sabato 20 Febbraio 2021, 17.24.15
3
Un album di una violenza unica, paragonabile a KYB, ma forse ancora più destabilizzante a livello sonoro. Peccato che il buon Fabban abbia rinnegato tutto ciò. Ad maiora.
God of Emptiness
Sabato 20 Febbraio 2021, 12.07.21
2
Il migliore della loro discografia: alienante e cibernetico. Cernobyl Generation lascia un senso di malessere indescrivibile. Voto 90.
Luca
Sabato 20 Febbraio 2021, 11.35.21
1
Quando ancora erano seri
INFORMAZIONI
2003
Code666 Records
Black
Tracklist
1. Antichristian Codec (Intro)
2. With No Human Intervention
3. U.V. Impaler
4. Humechanics-Virus
5. Does Not Compute
6. Faustian Spirit Of The Earth
7. Digital Coat Masque
8. The Triumph
9. Black Hole Spell
10. Me(n)tal Striken Terror Action 2
11. Out Of Shell
12. Chernobyl Generation
13. The Alienation Of A Blackened Heart
14. Automatik Rave'olution Aborym
Line Up
Attila Csihar (Voce, Cori)
Nysrok Infernalien Sathanas (Chitarra, Synth, Cori)
Malfeitor Fabban (Basso, Synth, Tastiere, Campionamenti, Cori)
Set Teitan 131 (Drum Machine, Chitarra, Campionamenti)

Musicisti ospiti
Faust (Spoken Word su tracce 2 e 6)
Nattefrost (Cori, Voce su traccia 13)
Matt Jarman (Programmazione)
Christian Ice (Drum Machine)
Irrumator (Batteria)

 
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Parla Malfeitor Fabban
 
 
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