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27/04/25
THE LUMINEERS
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Hebi Katana - Hebi Katana
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14/08/2021
( 1446 letture )
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Direttamente da Tokyo, come il monicker lascia facilmente presagire, il debut album degli Hebi Katana è il primo dei titoli rilasciati da Argonauta Records all’interno dell’inedita serie Argonauta LTD100, insieme di pubblicazioni dedicate alla promozione dell’underground internazionale, ovviamente a sfondo stoner/doom. Un’iniziativa più che lodevole dunque, che in questo specifico caso dona una veste estetica e fisica consona al primo album dei giapponesi, rilasciato originariamente la vigilia di Natale dello scorso anno in maniera indipendente nel bel mezzo della pandemia. Difatti la band si è formata in quello stesso periodo, registrando dapprima un demo solamente con l’ausilio di un iPhone, per poi dedicarsi al primo disco in maniera più professionale, demandando mix e master agli Earraid Music Studios di Brad McGuire in New Jersey.
Chiariamoci subito: come purtroppo capita sempre più spesso non è l’originalità a spiccare in questo album omonimo, che si difende comunque discretamente grazie a un buon eclettismo, ma che si basa sempre e comunque su stilemi più che noti all’interno del genere di riferimento. L’aspetto più curioso semmai è da ricercare nell’amalgama globale che racchiude tutte le influenze del trio, capaci di spaziare dal classico proto-doom sabbathiano al grunge, con sezioni hard rock e inaspettate pennellate glam. La voce di Nobu è invece il punto più debole del gruppo, dal momento che il timbro nasale del cantante, banalmente ispirato al solito Ozzy Osbourne, soffre in più di un’occasione di scarsa intonazione e poca personalità, conducendo le proprie linee vocali in maniera monocorde, sebbene si noti lo sforzo da parte del frontman nel creare intensità in certi passaggi melodici. Strumentalmente la band si comporta bene, senza mai strafare, ma limitandosi a scrivere brani diretti al punto con poche lungaggini e una patina psichedelica pressoché inesistente, il che non è banale per una proposta del genere. L’altro aspetto che salta subito all’orecchio è l’influenza fortissima che caratterizza tutto il disco e che ammanta quasi ogni brano della sua presenza: no, non stiamo parlando dei Black Sabbath, bensì dei Nirvana. Proprio la creatura di Kurt Cobain sembra essere presa come faro guida dai giapponesi che inaugurano l’album con Directions For Human Hearts, ovvero una rivisitazione stoner di In Bloom. Il “calco” è davvero spiazzante, dal momento che la prima parte del brano ripercorre quasi pedissequamente le linee vocali del pezzo dei Nirvana, incisi strumentali compresi, irrobustendo il sound generale, ma rimanendo più che fedeli alla propria ispirazione originaria. Vero è che il substrato doom salva il risultato finale dall’essere un plagio spudorato, ma sfido chiunque a non pensare subito a In Bloom dopo i primi trenta secondi di ascolto. La seconda parte del brano si muove invece su coordinate strumentali maggiormente hard rock ed anche la melodia vocale prende un’altra piega, lasciando presto spazio alla sola musica e ad un finale coinvolgente che riesce a coniugare un gusto chitarristico a metà tra Slash e Billy Corgan con una sezione ritmica sempre piuttosto grunge. I Nirvana tornano a bussare alla porta degli Hebi Katana anche in Desert Wind, che invece vocalmente si avvicina a Breed (brano contenuto sempre nello storico Nevermind), ma in maniera molto meno manieristica. Anche in questo caso l’ispirazione grunge riesce a mescolarsi a un afflato sleaze metal sporchissimo, ma melodicamente vincente, se non fosse per un assolo sul finale francamente evitabile. In generale tutto il disco si muove su coordinate simili, accentuando di tanto in tanto la componente stoner – come nella rocciosa Hidden Explosion – ma senza mai eccedere troppo coi suoni. Si può dire che la proposta della band rimanga ancorata ad un proto-doom settantiano con le influenze grunge e glam che abbiamo già descritto. Per trovare un pizzico di personalità in più bisogna rivolgersi ad episodi come Inu Song, dove è il tribalismo batteristico a fare da protagonista, insieme ad un mood strumentale più pacato del solito e ad una linea vocale tecnicamente impresentabile, ma perlomeno meno banale rispetto al resto del disco. Si percepiscono certe soluzioni vicine agli Alice In Chains, anche se per sentire chiaramente questa influenza bisogna ascoltare la precedente Northern Lights, dove compaiono le tipiche armonizzazioni vocali sdoganate ormai più di trent’anni fa da Jerry Cantrell e Layne Staley.
Non c’è molto altro da dire su un album che sicuramente è munito di tante buone intenzioni, ma non si discosta dalla media delle uscite del genere e a causa di ispirazioni fin troppo palesi e di un cantante impreciso e poco carismatico non riesce a raggiungere la sufficienza. Gli Hebi Katana sono certamente una band agli esordi e hanno bisogno di rodare ulteriormente la propria proposta, ma hanno come punto di forza la capacità di saper mescolare elementi apparentemente inconciliabili per un risultato coerente ed apprezzabile. Proprio su questa caratteristica potrebbero basare la loro evoluzione, presentandosi magari con un secondo disco più ambizioso e libero da riferimenti vistosi. Le premesse sono buone, vediamo cosa riusciranno a fare in futuro questi tre giapponesi.
P.S. Da menzionare l’artwork del disco, gradevole nel complesso, che sullo sfondo rivela il logo rovesciato della storica Vertigo Records, l’etichetta britannica da sempre legata ai Black Sabbath.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Directions For Human Hearts 2. Reptile Machine 3. Northern Lights High 4. Inu Song 5. Witch's Dance 6. Desert Wind 7. Hidden Explosion 8. Struggle With a Lie 9. Zephyer Phobia 10. Don't Know My Name
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Line Up
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Nobu (Voce, Chitarra) Yasuzo (Basso) Joey (Batteria)
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RECENSIONI |
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