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27/04/25
THE LUMINEERS
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The Wildhearts - 21st Century Love Songs
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23/09/2021
( 2054 letture )
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Follia, violenza, imprevedibilità, gusto (inaspettato) per la melodia. Chi ama la creatura di David Walls, a.k.a. Ginger Wildheart, sa bene quanto la mescola di questi elementi risulti assolutamente coerente con un’idea di musica che viene portata avanti da trentun anni con la stessa inalterata e inscalfibile volontà di oltrepassare i canoni del tradizionalismo alla ricerca di un sound originale, diverso, che insomma potesse quasi fare genere a sé stante. Inutile nascondere che la carriera dei Wildhearts non è stata sempre rose e fiori, vuoi per un destino beffardo che ha sempre impedito ai nostri di raggiungere una fetta di pubblico importante all’infuori dell’Inghilterra, vuoi per i tanti cambi di line-up con il solo Ginger ad occupare una posizione stabile nella formazione o ancora il lungo silenzio durato ben dieci anni durante i quali si erano ormai perse le tracce dei cagnacci di Newcastle, momentaneamente accantonati dal loro leader a favore di una lunga serie di collaborazioni e progetti paralleli. E' così che solo nel 2019 con l’ottimo Renaissance Man è stato possibile assistere a un ritrovato sodalizio fra i membri della formazione che definiremmo storica, con CJ tornato al posto che gli spetta alla sei corde, Danny McCormack al basso e Ritch Battersby alla batteria.
L’obiettivo da allora perseguito di recuperare e risvegliare lo spirito indomito dei Wildhearts con numerosi richiami al primo disco è stato raggiunto con buona pace di coloro che ritenevano la band morta e sepolta. Il decisivo passo in avanti nel recupero dell’identità sfaccettata e sfacciata del quartetto albionico ha coinciso con la pubblicazione di questo 21st Century Love Songs, album assai meno immediato del precedente e decisamente più violento ed aspro del disco al quale, per ammissione di Ginger, guarderebbe, ovverosia il capolavoro assoluto, quel P.H.U.Q. che ancora oggi non smette di sorprendere per innovazione, fantasia e assoluta impossibilità di catalogazione entro coordinate precise. Missione compiuta per Ginger & soci, ancora capaci di suonare un rock ‘n’ roll schizofrenico e anarchico che esalta e sorprende. A confermarlo lo dicono i numeri: 21st Century Love Songs è schizzato ai vertici delle charts UK con una velocità disarmante, andando a prendersi l’attenzione del pubblico in un momento storico nel quale i riflettori della critica britannica (e non solo) sono tutti puntati su Senjustu degli Iron Maiden, un nome mica da poco.
Sebbene il titolo, condito dall’immancabile humour, possa fuorviare alludendo ad una pacata e romantica successione di tracce sdolcinate, capiamo sin dalle prime note della titletrack quanto il marchio di fabbrica dei Wildhearts sia più vivo che mai, anzi persino ostentato. Il folle drumming di batteria accompagnato da un riff circolare sporco che si smacchia per qualche istante assumendo i contorni di una marcetta pomposa ci introduce in un impianto sonoro senza punti di riferimento, con la voce roca di Ginger che maltratta i versi e graffia le corde vocali mentre la progressione armonica strizza l’occhio all’hard rock, alla leziosità di un pop malefico e ad un punk scatenato, almeno prima dell’intermezzo che si inasprisce di nuovo e lambisce i territori del metal facendo venir voglia di fare headbanging e di alzare le corna in alto. In quasi 5 minuti le suggestioni evocate dai Wildhearts nascono, crescono e muoiono rispettando il proprio ciclo vitale con precisione scientifica in uno scenario ove in apparenza regnerebbe il caos più assoluto. L’abilità di sintetizzare le antitesi insite nella propria proposta musicale è ancora l’arma vincente della band che ritrova il punk anche nella successiva Remember These Days e lo sviscera aggiungendo i cori in background che ammorbidiscono la tensione e conferiscono la giusta dose di melodia e orecchiabilità, mai rinnegata dal buon Ginger, interprete intelligente di un rock suonato con frenesia e a 360 gradi. Bella anche la sperimentazione del bridge che, distesa su un tappeto incessante di note, mette insieme mattone su mattone un impianto a cappella con le voci dei protagonisti apprezzabili in un botta e risposta irresistibile. Splitter è una cavalcata hard ‘n’ heavy insozzata di punk e infarcita di stop ‘n’ go che non lasciano tregua, nella quale Ginger e CJ si danno spesso e volentieri il cambio quando si tratta di dettare i ritmi per far avvampare le sezioni solistiche e ritmiche. Torna ad emergere con prepotenza la componente metal in Institutional Submission, con fugaci visite nel thrash e nello speed. Il pezzo smantella con cattiveria ogni tentativo di accessibilità ad orecchie meno avvezze alle sonorità più dure e ogni membro picchia con ferocia bestiale, a partire dal basso di Danny McCormack, qui incessante e nevrotico tanto nelle accelerazioni quanto nei rari momenti di break. Sleepaway frena gli ardori, ripulisce le distorsioni e disegna un mosaico nel quale il ritornello riesce a stamparsi subito in mente prefigurandosi come accattivante e squillante ma la vera chicca sta nel fraseggio rockabilly che spiazza e fa sorridere confermando ancora una volta quanto l’imprevedibilità dei Wildhearts riesca sempre a manifestarsi quando meno la si aspetta. Arrivati al giro di boa, i nostri optano per quanto di più vicino l’attuale corso possa concepire l’idea di hard rock: You Do You, infatti, è un esempio di sferzate punk inglobate in una struttura ragionata e meno selvaggia e risulta essere la canzone più in linea con i lavori risalenti alla prima metà degli anni Novanta. Nulla a che vedere con la metallica A Physical Exorcism che omaggia in qualche modo un altro grande gruppo britannico quale i Motörhead nella struttura oppure con la conclusiva e anticonvenzionale My Head Wants me Dead, la quale riserva nel finale uno dei testi più interessanti dell full-length andando a toccare tematiche delicate quali la sanità mentale con il solito acume di chi nella contraddittorietà testuale e musicale ci sguazza a meraviglia.
Ma in fondo i Wildhearts sono stati, sono e saranno soprattutto questo: un pugno in pieno volto a conformisti e benpensanti, il punto di rottura, la voce fuori dal coro. Quanto ci erano mancati.
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5
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Ah: bella recensione Altered, come al solito direi. |
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4
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Chi non muore si rivede, è il caso di dire. Il pazzo Ginger ritorna con i suoi, e nostri, Cuori Selvaggi, con un disco sorprendente, aspro, duro, punk (ma anche melodico) ma soprattutto con una qualità che da anni non sentivo.
Come ritrovare un vecchio amico dai cosa vai ad ascoltare: anche se i primi lavori sono imbattibili, queste dieci canzoni ti stampano un sorriso, alla Joker, sulle labbra.
Welcome Home Wildhearts. |
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2
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Ricordo solo il nome, sempre che si tratti dello stesso gruppo. Spalla agli AC/DC, Bologna, Ballbreaker Tour. |
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1
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Album bellissimo come tutti quelli dei wildhearts
E anche ginger da solista o nei suoi progetti solisti è tanta roba , da avere questo è vero rock n' roll suonato da gente veramente rock n' roll |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. 21st Century Love Songs 2. Remember These Days 3. Splitter 4. Institutional Submission 5. Sleepaway 6. You Do You 7. Sort Your Fucking Shit Out 8. Directions 9. A Physical Exorcism 10. My Head Wants Me Dead
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Line Up
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Ginger Wildheart (Voce, Chitarra) C. J. Wildheart (Chitarra) Danny McCormack (Basso) Ritch Battersby (Batteria)
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RECENSIONI |
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