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27/04/25
THE LUMINEERS
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Rolo Tomassi - Where Myth Becomes Memory
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01/04/2022
( 1133 letture )
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Quando il mito fluisce nella memoria la percezione dei riferimenti temporali si altera e perdendo equilibrio dà il via a una spirale frammentata in cui passato, presente e impercettibili echi di futuro si compenetrano sotto l’egida del cambiamento. Ripetizioni cicliche, il rifiorire delle stagioni, momenti che sembrano infiniti e l’incommensurabile bellezza di una geometria sempiterna coronano la presa di coscienza di una fine che non ci sarà, in sua vece il movimento e i ricordi sapranno ricondurre ogni cosa al fiume metaforico del Panta Rei eracliteo.
Coordinate concettuali impegnative e stimolanti quelle disegnate dai poliedrici Rolo Tomassi in Where Myth Becomes Memory, sesta prova in studio per una delle formazioni che più ha scompaginato il post-hardcore dell’ultimo decennio. Abbeveratisi alla fonte dei Dillinger Escape Plan, gli inglesi hanno messo a punto una formula sonora eccentrica ma assolutamente geniale (un po’ come gli iwrestledabearonce) basata sulle aritmie di un mathcore ossessivo/compulsivo incubante digressioni jazzistiche e “videoludici” apporti di un’elettronica riconducibile al Nintendocore per l’uso degli 8-bit synth. Il cantato di conseguenza non può rinunciare ad una valenza dicotomica altrettanto marcata e infatti Eva Spence ha la capacità di sobillare l’ascoltatore mediante un timbro estremo tangente al grindcore e poi, in un battito di ciglia, riesce ad ammaliare con delle clean vocals munite di una sensibilità onirica sul modello di Elizabeth Fraser e Bilinda Butcher. Avanguardia o sperimentalismo fuori dagli schemi poco importa, Hysterics e Cosmology sono album che di certo non passano inosservati mentre Astraea, pur annoverando ulteriori spunti, perde quel pizzico di follia accasandosi su binari più facilmente collegabili all’accezione di un rettilineo scevro di curve anomale. Il processo di “regolarizzazione” (tra virgolette perché l’ordinario non è affare della band) continua in Grievances, dove l’elettronica freak cede il passo a una riverenza nei confronti di un classicismo espresso tramite un atteggiamento contemplativo e austero, con il pianoforte e la componente melodica pronti a reclamare maggiore spazio. Il successivo Time Will Die and Love Will Bury It (2018), potenziale vertice della loro filosofia musicale, è una tavolozza policroma dipinta da una mano che aggiunge all’impasto già in uso mirabili tonalità di post-rock e progressive: i brani, oltre al minutaggio crescente, rappresentano la perfetta coesistenza delle diverse anime del gruppo convogliate all’interno di un songwriting emozionale, maturo e pressoché esente da difetti.
Del nuovo Where Myth Becomes Memory, ultimo capitolo della trilogia iniziata a metà anni ’10, sorprendono in particolare l’approccio “minimale” e la scelta di procedere per sottrazione: l’imprevedibilità del mathcore evapora insieme alle ambiziose lungaggini prog, sostituite da un riffing post-hardcore più quadrato che risente di inaspettate influenze djent e perfino alternative. Di contro, aumentano in maniera esponenziale gli approdi sulla sponda dream pop, in molte circostanze protagonista assoluta tanto da ridurre l’ampiezza del dialogo con la nemesi hc: un tempo questa dualità costituiva l’ossatura del sound targato RT, ma ora la ricerca dei cinque mira a scindere i due poli favorendo un imprinting meno facinoroso dove la melodia, accompagnata dal garbo del pianoforte e da sintetizzatori atmosferici, rischia di fagocitare la controparte -core, non certo incatenata eppure in un certo qual modo ammansita e non raffrontabile con l’attitudine sregolata degli altri lavori.
Ad accoglierci vi è l’estasi dream pop di Almost Always, sei eterei minuti in balia degli intarsi melodici di Eva Spence, alle prese con un vocalismo di evanescente bellezza alla Cocteau Twins con il pianoforte nel ruolo di accompagnatore principale; la strumentazione rock invece entra in punta di piedi, quasi non volesse disperdere l’aura magica andatasi a creare nella prima metà del brano. Il marchio di fabbrica post-hardcore comincia a manifestarsi nel trittico seguente anche se già nei riff di Cloaked si avvertono inedite sensazioni alternative/nu metal, di certo non pronosticabili solo ai tempi di Time Will Die. Più “canonica” Mutual Ruin, traccia nella quale il bifrontismo canoro viene accostato alle colte punteggiature del piano e a un break jazzato mentre Labyrinthine, rinfocolata dai contro-canti in growl di James, cede nuovamente agli influssi alternativi disegnando un episodio di post-core ibrido al di là degli schemi prefissati. Il fascino ammaliante di carattere dream pop fa volare alto la soave Closer per poi rinchiudersi in una conversazione intima con il piano nella toccante Stumbling, una delle performance migliori di Eva in virtù di un timbro così fragile ed emozionante da instillare un naturale quanto doveroso sentimento empatico. Questa componente melodica va poi a smorzare la ribollente acredine di pezzi tirati come Drip e To Resist Forgetting, accomunati dalla virulenza delle harsh vocals di un’efferata e implacabile Eva. Prescience, unica eccezione della tracklist, si mostra invece esente dall’abbraccio del cantato pulito e punta tutto su un post-hardcore che non ha paura di compromettersi con un’attitudine djent mai prima d’ora così esplicita. L’impraticabile postulato di The End of Eternity chiude infine il cerchio riproponendo le caratteristiche salienti già affrontate, dalle eleganti soluzioni melodiche (stavolta appoggiate su un placido tappeto post-rock) all’ardore dello scream fino alla leggiadria del pianoforte.
Where Myth Becomes Memory non raggiunge le inaccessibili vette del predecessore ma non per questo va erroneamente considerato un finale sottotono della trilogia. Il detto “Less Is More” ben si confà agli attuali Rolo Tomassi, ormai lontani dall’estrosità delle release di inizio carriera e acclimatatisi su lidi improntati a un‘interiorità profonda e morigerata, fattore che ha portato a un notevole decremento della trasgressione a tinte -core. L’album perde imprevedibilità ma è tutto fuorché scolastico o troppo edulcorato, semplicemente propone un’angolazione del gruppo “insolita” alla quale bisogna abituarsi con gli ascolti: se si avrà la pazienza di farlo (evitando paragoni ingombranti con Time Will Die) vedrete che i cinque hanno regalato per l’ennesima volta un’esperienza post-hardcore originale e inimitabile.
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3
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Benissimo, dopo aver visto definire "GENIALI" gli iwrestledabearonce, dire che con questo ambiente musicale "moderno" non ho proprio più nulla da spartire |
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2
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Ho ascoltato il precedente e mi è piaciuto abbastanza; peccato sia andato esaurito, attendo una ristampa su cd per l'acquisto. Questo nuovo devo ascoltarlo bene, però mi sembra meno riuscito. |
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1
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L'album precedente una metamorfosi superlativa, mi fa piacere vedere che si sono riconfermati. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Almost Always 2. Cloaked 3. Mutual Ruin 4. Labyrinthine 5. Closer 6. Drip 7. Prescience 8. Stumbling 9. To Resist Forgetting 10. The End of Eternity
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Line Up
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Eva Spence (Voce) James Spence (Voce, Tastiera, Sintetizzatore, Pianoforte) Chris Cayford (Chitarra) Nathan Fairweather (Basso) Al Pott (Batteria)
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RECENSIONI |
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