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Audrey Horne - Devil’s Bell
09/07/2022
( 1182 letture )
Non c’è niente da fare: gli artisti che giungono dai paesi nordici si riconoscono dalle prime note. Quale che sia il genere, c’è qualcosa di indefinibile che li caratterizza, una sorta di “trademark” nascosto, che fa sì che subito un attento ascoltatore sia in grado di battezzarli immediatamente. Il bello è che questo avviene a prescindere dal genere suonato, quasi che ci sia una sorta di “modus operandi” tipico delle band o degli artisti scandinavi, comune a tutti.
Forse non è un’unica caratteristica, ma un insieme di aspetti: prima di tutto la produzione “cristallina” e sempre molto ben definita, poi le linee vocali molto melodiche, e spesso in primo piano, ad esaltare i numerosi ottimi vocalist che provengono da queste zone. L’assoluta aderenza, quasi filologica, ai dettami dei generi scelti, e la quasi totale assenza di “contaminazioni” di qualsiasi tipo è un’altra caratteristica comune; ma questa può anche essere una pericolosa arma a doppio taglio, in quanto, se la vena compositiva non è particolarmente ispirata, il rischio è di ritrovarsi in mano una “copia moderna” di dischi prodotti venti, trenta o quaranta anni fa. A volte, una bellissima copia, intendiamoci; ma gli originali hanno sempre, come è giusto che sia, un altro fascino.
Questo discorso calza a pennello anche per i nostri Audrey Horne, veterani norvegesi giunti alla settima prova discografica, e composti da alcuni musicisti che vantano esperienze in ambiti ben più estremi (Enslaved, per dire un nome). I nostri infatti propongono un heavy metal classico “che più classico non si può”, che prende ispirazione a piene mani da tutto quanto di buono (e non era poco…) è stato composto e suonato nella prima metà degli anni ’80, dagli Iron Maiden ai Judas Priest, dagli UFO ai Thin Lizzy.
La qualità delle composizioni e l’esecuzione dei brani sono ineccepibili – come si diceva sopra, tipico delle band scandinave – e perfettamente esaltati da una produzione tagliente e potente, esattamente come se un disco, diciamo, del 1983 fosse registrato oggi con i mezzi e le conoscenze attuali.
Il continuo e incessante assalto sonoro, guidato dalle chitarre di Arve Isdal e Thomas Tofthagen, è sostenuto dalla possente sezione ritmica composta da Espen Lien e Kjetil Greve; a coronare il tutto la vocalità potente e il timbro particolare di Torkjell “Toschie” Rød, impeccabile nell’esecuzione di parti vocali assolutamente riuscite.
I nove brani presenti, mediamente lunghi (il disco supera i 45 minuti di durata), sono quanto di meglio possa trovare oggi sul mercato chi sia, ancora oggi, perdutamente innamorato di un certo modo di suonare metal classico, ossia quello della “golden age” corrispondente agli anni ’80, in particolar modo il primo lustro: dalla potente e rabbiosa opener Ashes to Ashes, che dopo un lungo intro strumentale incalza con un ritornello indovinato, ad una Break Out che appare decisamente ispirata dall’Ozzy dei primi album solisti.
Return to Grave Valley, un pezzo strumentale, è chiaramente maideniana (i duetti delle due chitarre sono inequivocabili), mentre è decisamente concepita per l’esecuzione dal vivo Danse Macabre, alla quale fa seguito il trascinante hard rock melodico della title track, un interessante fusione fra chitarre maideniane/lizzyane e chorus più melodico e “americano”. Ancora Maiden, quelli di Somewhere In Time, ispirano All Is Lost, che però se ne distanzia nel chorus (più alla Blaze Bayley che alla Dickinson, e non è detto che sia un male…).
Nuova cavalcata rock/metal arriva con Toxic Twins, prima della conclusiva From Darkness, altro brano complesso e articolato , che richiama alla mente molti grandi nomi dell’epoca, da Ozzy ai Thin Lizzy.

Il disco, in sintesi, non è niente male: ben composto, (molto) ben suonato, (molto) ben prodotto. Cosa manca allora? Volendo essere filosofici, manca l’anima.
Detto più prosaicamente, ci troviamo di fronte ad un insieme di validi brani, ma nessuno di essi ha quel “quid” in più che permetta loro di spiccare e di differenziarsi, sia dai loro “avversari” di oggi, sia, soprattutto, dai numi tutelari del passato.
In altri termini: se lo si guarda in modo criticamente costruttivo, questo disco può sembrare una sorta di “greatest hits” attualizzato dei vari Maiden, Ozzy, Priest, ecc.; con la differenza, sostanziale e fondamentale, che loro queste cose le hanno già fatte trentacinque anni fa, e oltretutto le hanno fatte meglio. Chiaramente un giudizio del genere è ingeneroso verso gli Audrey Horne, che il loro lo hanno fatto con tutti i mezzi e con tutte le capacità di cui sono dotati, che non sono poche.
Più che altro occorre forse ragionare più ad ampio spettro su cosa oggi offre il mercato discografico: la mia sensazione, che mi auguro – per loro – errata, è che un disco del genere rischi già in origine un destino di rapido passaggio nel dimenticatoio, in quanto non si capisce chi, ad eccezione degli iper completisti del genere, dovrebbe dar la precedenza a Devil’s Bell rispetto a quanto di buono è stato prodotto dai grandi nomi (e non solo) negli anni ’80; oltretutto oggi, dopo diversi anni di oblio completo, gran parte della produzione del periodo è ritornata facilmente reperibile grazie alle piattaforme di condivisione.
Forse, in un mercato musicale così saturo, un maggior coraggio e una ricerca di personalità più spiccata potrebbe essere molto utile ai nostri, e aprire loro tutte le possibilità che il loro talento merita.



VOTO RECENSORE
73
VOTO LETTORI
90 su 1 voti [ VOTA]
inflames69
Martedì 12 Luglio 2022, 13.37.01
3
Personalmente recensione sin troppo severa. UNO DEI MIGLIORI DISCHI DI QUESTO 2022. E comunque sul fatto che sia una sorta di “greatest hits” attualizzato dei vari Maiden, Ozzy, Priest, ecc.;.... la differenza per me sostanziale e fondamentale e che i norvegesi al momento queste cose le stanno facendo ADESSO meglio di chi le ha già fatte in modo inarrivabile trentacinque anni fa. Non saranno origniali ma ispirati e cazzutissimi. Mio parere personale ovviamente
Terzadose
Martedì 12 Luglio 2022, 10.28.27
2
L'album devo ancora ascoltarlo, comunque copertina stupenda, una delle più belle viste di recente. Capita giusto in questi giorni che ho visto The Lighthouse.
Shock
Domenica 10 Luglio 2022, 16.42.40
1
Come detto nella recensione, tutto bello, ben fatto, ben suonato, ben cantato, ma........manca l'anima. Una manciata di canzoni che si fa ben ascoltare, ma finisce lì, nessun picco, nessun esaltazione.
INFORMAZIONI
2022
Napalm Records
Heavy
Tracklist
1. Ashes to Ashes
2. Animal
3. Break Out
4. Return to Grave Valley
5. Danse Macabre
6. Devil’s Bell
7. All Is Lost
8. Toxic Twins
9. From Darkness
Line Up
Torkjell “Toschie” Rød (voce)
Arve Isdal (chitarra)
Thomas Tofthagen (chitarra)
Espen Lien (basso)
Kjetil Greve (batteria)
 
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