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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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11/08/2022
( 2157 letture )
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Tornano quest’anno anche i tedeschi My Sleeping Karma, quartetto nato nel 2006 e che nel giro di pochi anni ha saputo creare attorno a sé un piccolo culto proveniente principalmente dall’universo heavy psych. Un contesto nel quale i quattro si inseriscono bene, seppure la propria proposta graviti da sempre attorno a una psichedelia morbida dai forti connotati atmosferici, spesso al limite con certo post rock. Se i primi tre album del gruppo avevano fatto alzare le antenne della critica più attenta all’underground, contribuendo di fatto a creare un alone mistico intorno ai tedeschi, la conseguente (e tuttora incomprensibile) firma con la nota label Napalm Records ha destato più di qualche dubbio, a partire da quel Soma del 2012 che ha fatto trasalire, in negativo, più di qualche fan. Il successivo Moksha (2015) non ha fatto altro che acuire le brutte sensazioni scaturite dal disco precedente ed è servito il live album Mela Ananda (2017) a calmare le acque, perché d’altronde i quattro dal vivo sanno pur sempre il fatto loro.
Quindi eccoci all’ultimo arrivato Atma, sempre distribuito dall’etichetta austriaca e atteso ormai da molti meno appassionati rispetto a dieci anni fa. Come da tradizione non mancano i soliti clichés che accompagnano le uscite dei tedeschi ed anche in questo caso abbiamo i soliti titoli in sanscrito ed un immaginario visivo orientale introdotto dal sempre presente Ganesh in copertina. Il titolo del disco fa riferimento al concetto induista di “anima”, da intendere sia in senso umano-individuale che universale, come è intuibile dal globo terrestre tenuto sul palmo del dio elefante. Che l’album parli di anima fa sorridere amaramente poiché di anima nei sei brani in scaletta non se ne trova nemmeno un po’. Diciamolo subito infatti: Atma è l’ennesimo brutto disco dei My Sleeping Karma, forse il più brutto in carriera. Quasi cinquanta minuti di musica superficialmente ben eseguita, ma di una piattezza ed omogeneità disarmanti; la ricerca dell’atmosfera spaziale e vagamente “stoned” a tutti i costi è ottenuta utilizzando praticamente sempre gli stessi bpm brano dopo brano e soluzioni armonico-melodiche che paiono essere continuamente riciclate e uguali a se stesse. La presenza dei sintetizzatori è costante, ma anche qui i suoni sono spesso identici in buona parte dei pezzi e il mix generale non fa mai risaltare la componente elettronica, mantenendola costantemente in secondo piano rispetto alla chitarra, mai così pigra e povera d’ispirazione come in questo disco. Eppure se pensiamo ad una band come gli Yawning Man non siamo poi così lontani, stilisticamente parlando, ma la capacità di coinvolgimento dei californiani è anni luce superiore a quella dei tedeschi. Qui entra in gioco anche la produzione però: Atma, come già detto, è un prodotto formalmente ottimo e anche i suoni non fanno eccezione; il problema però è la piattezza generale di tutta l’opera, che suona “finta” sin dalla prima nota e annoia dopo pochi minuti. La dinamica è praticamente inesistente, così come qualunque tocco di emotività, un aspetto decisamente non di secondo piano per il genere di riferimento della band. È un peccato parlarne in questi termini, ma Atma pare davvero essere uno di quei lavori che si ricercano con svogliatezza su YouTube per ascoltare qualcosa di nuovo, ma che poi si skippano completamente dopo nemmeno un paio di brani. Non è questione di poca concentrazione o poca profondità dell’ascoltatore, è che il prodotto è scadente, semplice.
Entrando per un attimo nello specifico dei singoli brani non c’è molto da dire: la linea generale del songwriting si appoggia sulla chitarra e sul delay sempre acceso di Seppi, che sembra conoscere solamente un suono, sia per le frasi lead che per i – pochissimi – riff d’ispirazione stoner, che suonano in questo modo sempre troppo vuoti e scarichi; il basso di Matte segue pedissequamente le linee della chitarra e quando prova a smarcarsi dal seminato per azzardare qualche momento solista viene penalizzato dal mix, scomparendo addirittura sotto i layer di sintetizzatori già bassi di volume. Se l’elettronica curata da Norman infatti è costantemente presente, essa però non è mai davvero essenziale in fase di scrittura e rimane una sorta di accessorio utile a dare qualche colore in più ai brani, ma di cui non si sente sinceramente la necessità. Concludiamo con la prova batteristica di Steffen, che più anonima di così non potrebbe essere: a livello di percussioni infatti siamo nella basilarità più mediocre, con zero inventiva e nessun momento memorabile. Certo, se le ambizioni della band sono quelle di creare atmosfera e spingere l’ascoltatore verso trip spaziali non si può pretendere che la batteria si lanci in chissà quali virtuosismi, ma anche qui gli stessi Yawning Man avrebbero qualcosa da dire a riguardo. Se dovessimo scegliere i brani che si distinguono maggiormente in scaletta punteremmo senza dubbio su Avatara, il pezzo più lungo del disco, che mostra una buona alternanza di umori pur non emozionando mai nemmeno per un secondo. Nonostante ciò, soprattutto nella seconda parte, il groove riesce a intrattenere e si percepisce un minimo di dinamica capace addirittura di far dondolare la testa. L’inciso centrale è di buon gusto e, anche se i sintetizzatori non sono protagonisti, il loro impiego ricorda a tratti i momenti più meditativi della discografia degli Hawkwind e dei più moderni Ozric Tentacles. Bene o male le stesse considerazioni si possono fare anche per la conclusiva Ananda, che ha dalla sua un bel riff iniziale, sepolto inspiegabilmente dai synth, e poi si snoda lungo sentieri più classicamente stoner/psych rovinati ad ogni modo dalla produzione sbilanciata. Sia chiaro, Atma non è un brutto disco esclusivamente per colpa della produzione, però essa è responsabile di alcune brutture come nel riff di Pralaya, ipoteticamente il più bel momento chitarristico dell’album, coperto da un synth simil-organistico che vorrebbe creare un effetto à la Deep Purple finendo però per rovinare tutto creando solamente un gran caos indistinguibile. Il riff viene fortunatamente riproposto sul finale, ma ormai l’effetto sorpresa è bello che svanito.
In generale la seconda parte dell’album è migliore della prima, dove si salva veramente poco, tra sincopi tooliane (Maya Shakti), qualche timido accenno hard rock troppo poco convinto (Prema) e chiusure di brani senza capo né coda (Mukti); ma questo non può essere sufficiente per promuovere un disco come Atma, prodotto da un gruppo con ormai una storia importante alle spalle e che poteva, già da anni, compiere un notevole salto di qualità. Ciò non è avvenuto e risulta ancora più paradossale che ad affossare i My Sleeping Karma sia stato il passaggio ad un’etichetta grande e con tante risorse come Napalm Records. Non sarebbe comunque il primo caso di questo tipo e chi si era innamorato degli Stoned Jesus di Seven Thunders Roar nel 2012 probabilmente sa a cosa mi riferisco. Probabilmente l’etichetta austriaca dovrebbe continuare ad occuparsi di band modern metal female-fronted e cavalcare questa onda piuttosto che accogliere nel proprio roster ottime realtà heavy psych per poi farle fallire dopo un paio di dischi. È una riflessione amarissima, ma è l’unica considerazione che viene da fare una volta terminato l’ascolto di Atma e per chi ha adorato all’epoca quel gioiellino di Satya (2008) sarà difficile ascoltare questo nuovo album senza provare nostalgia e rabbia. Ripetiamolo, a scanso di equivoci: Atma è un disco di buonissima fattura, dal punto di vista squisitamente formale, e c’è già chi lo sta idolatrando come il disco psichedelico del 2022, ma se si vuole analizzare la musica un po’ più in profondità ci si rende conto della pochezza di questi sei brani, composti da una band che sembrerebbe poco ispirata e con nessun interesse nel riprendere quel cammino onesto e fantasioso iniziato nel 2006 ed interrotto nel 2010. Sicuramente un peccato, ma se siete amanti di sonorità di questo genere vi posso assicurare che in giro, che sia su Bandcamp o su YouTube, c’è di meglio, molto di meglio.
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Premetto di non essere mai stato un loro fan e di non aver ascoltato quest'ultima uscita. Al netto di questa premessa, intervengo solo per dire cheil pregiudizio nei confronti della Napalm records è troppo marcato. Ricordiamoci che quest'etichetta è partita pubblicando dischi di Abigor, Summonig, Setherial, Vintersorg e che in anni recenti ha sì cavalcato detrminati trend, ma anche dato alle stampe album notevoli come Extinct, The Door To Doom, The Call of the Wretched Sea e quest'anno due album ottimi come Metanoia e Where Fear and Weapons Meet. Questo tanto per fare alcuni nomi. Scrivere che "’L'etichetta austriaca dovrebbe continuare ad occuparsi di band modern metal female-fronted e cavalcare questa onda piuttosto che accogliere nel proprio roster ottime realtà heavy psych per poi farle fallire dopo un paio di dischi." mi sembra un insulto bello e buono,vista la loro storia e visto che sono riusciti a valorizzare anche qualche band di stoner/doom/sludge come ad es. i Conan.Talvolta riescono anche a dare delle stampe delle chicche come gli Untamed land, pertanto queste critiche (per carità hanno fatto uscire anche pessimi dischi) mi sembrano del tutto gratuite. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Maya Shakti 2. Prema 3. Mukti 4. Avatara 5. Pralaya 6. Ananda
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Line Up
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Seppi (Chitarra) Matte (Basso) Norman (Synth) Steffen (Batteria)
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RECENSIONI |
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