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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Camel - Stationary Traveller
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19/11/2022
( 1622 letture )
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Non è desueto o erroneo considerare i Camel una realtà unica nel loro genere. Non tanto per l’eccelsa -e fin troppo nota- qualità delle loro release più blasonate, quanto piuttosto per l’incredibile costanza nel proporre dischi che, anche nelle peggiori condizioni per la loro nascita, non hanno mai abbassato drasticamente l’asticella qualitativa della discografia. Detto in altri termini: i Camel non hanno mai commesso un passo falso, non nel senso stretto del termine almeno. Non è nemmeno desueto, né incomprensibile, d’altro canto, il sentire un leggero malcontento nei fan di lunga a causa dello scaglione di dischi in cui Latimer funge da last man standing. È d’altronde a lui che andrebbe attribuita un’eventuale colpa di aver adattato troppo il sound della band a climi più amichevoli e accomodanti, meno visionari rispetto al primo periodo dei ’70, meno intricati per coloro i quali la ricercatezza e la complessità fungono da fattore x per il buon progressive.
Stationary Traveller segue indubbiamente questo filone summenzionato di “semplificazione” made in Camel, seppur il concept allo sfondo sia tutt’altro che blando. Parliamo difatti di un percorso atmosferico tra le strade di una Berlino divisa, di uomini privati della speranza o, probabilmente, alla ricerca di essa. Ma gli inglesi mostrano nichilismo alcuno nel loro songwriting, rimanendo fedeli, anzi, a una formula compositiva che fa del calore la propria cifra stilistica -e l’attacco strumentale dato da Pressure Points ne è un perfetto esempio. Ed è così che il disco, perdendo buona parte delle incursioni e dei fraseggi inarrivabili di un Mirage, sa rimanere comunque in climi avvolgenti, caldi, mantenendo la personalità del progetto originale nonostante si senta che qualcosa “non suoni più come prima”, purtroppo.
Data per lapalissiana già dal primo ascolto l’assenza di un tocco di genio che soddisfi l’orecchio più esigente -sarà per colpa della drum machine o di strofe mediamente più radiofoniche-, Stationary Traveller sfodera comunque gli artigli delle solide basi su cui poggia, come la preziosa capacità di condurre per mano in giri il più delle volte semplici e agilmente leggibili, ma coerenti con il concept ed elegantemente magici. Sarà impossibile non sentire i groove più “cameliani” in Refugee, non sentirsi coccolati da pezzi avvolgenti come Vopos o la magnifica strumentale Missing, in cui il romantico sax fa da protagonista. Questo a dimostrazione del fatto che sì, la band ritorna sui suoi passi e sulle formule del passato, ma senza limitarsi a adattarle al pubblico e alle sonorità squisitamente anni ’80 del tempo. La title track infatti parla chiaro: i Camel sanno chi sono, o meglio, Latimer fornisce la prova di poter -e saper- comporre pezzi di una classe rara, dove i solismi di chitarra partoriscono viaggi melodici e atmosferici di prim’ordine, arricchiti poi da linee di basso che non fungono mai da mero accompagnamento ritmico dei groove, ma che arricchiscono e, al contempo, ammorbidiscono l’intero songwriting.
Il lavoro di flauto, gli inserti di synth, tutto riesce a cooperare per portare alla conclusiva Long Goodbyes con le idee chiare, consci insomma di non ritrovarsi tra le mani un prodotto scadente, invero, nemmeno eccessivamente semplificato -seppur sia chiara l’intenzione del gruppo di tenersi sul mercato. I Camel, con questa decima release, hanno semplicemente proposto della musica intrattenente nell’accezione più genuina del termine, incantevole, pur sacrificando e spogliandosi di tutte quelle sfumature che resero enorme le prime release degli inglesi. Un passo indietro dunque? Sì. Un passo falso? Assolutamente no.
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6
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Condivido i commenti ma non la recensione. Cosa vuole dire "semplificazione"? Certo, nel 1984 c'era Three of a Perfect Pair dei King Crimson ma se parliamo di prog, cos'altro c'era di meno "semplificato"? Fare composizioni bellissime (per me Stationary Traveller, After Words (cosa si può evocare con alcune note di piano...) e Long Goodbyes con l'eccellente assolo finale di chitarra, sono vere e proprie gemme!) significa fare musica "semplificata"? Naturalmente i pezzi sono più diretti di quelli dei primi album, meno Canterburyani (e meno male...) ma siamo sempre su livelli più che eccelsi. Voto tiratino, per una delle migliori band progressive in assoluto. Disco che consiglio a tutti quelli che vogliono iniziare ad ascoltare i Camel. Per me è un capolavoro, come tutto quanto fatto dai Camel. Opinione "semplificata" e non difficile da dare. Au revoir. |
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5
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Come detto prima di me, con questa band si può andare ad occhi chiusi, album brutti non ce ne sono, men che meno questo. Siamo nell’84, ci sono nuove correnti in giro, nuove sonorità, e i Camel (come anche altri storici gruppi prog) ne prendono atto. Penso alla bellissima Vopos per esempio, che odora di new wave. Un disco diverso da quelli di dieci anni prima, ma sempre di alta qualità, d’altra parte stiamo parlando di musicisti/compositori fuori categoria. La conclusiva Long Goodbyes pezzo da pelle d’oca. Voto 85 |
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4
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Condivido in pieno sia la recensione che i commenti, voto 80 |
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3
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I Camel si amano e basta. Non hanno mai fatto un disco brutto. Questo è ottimo, con la solita struggente atmosfera. |
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2
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Detto in altri termini: i Camel non hanno mai commesso un passo falso, questa frase detta dal recensore corrisponde alla verità assoluta!!!!
I CAMEL non hanno mai sbagliato un colpo che sia uno, band immensa & Andrew Latimer un genio assoluto!!!!!
Per me tutta la discografia dei Camel parte come voto minimo dal 85 in su senza mai scendere sotto l'ottimo.
Potrei citare: "MIRAGE" - ''THE SNOW GOOSE'' - ''MOONMADNESS'' - ''RAIN DANCES'' - ''BREATHLESS'' - ''I CAN SEE YOUR HOUSE FROM HERE'' - ''NUDE'' - ''THE SINGLE FACTOR'' - ''DUST AND DREAMS'' - ''HARBOUR OF TEARS'' - ''RAJAZ'' - (''A LIVE RECORD'' - ''NEVER LET GO'' - ''PRESSURE POINTS'' - ''COMING OF AGE'':Live eccezionali e fondamentali). CAMEL omonimo album......
p.s. voto a Stationary Traveller 85
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1
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Ho approfondito la conoscenza dei Camel (che si basava sostanzialmente sui primi 3 album) in tempi relativamente recenti colmando quella che ho sempre considerato un'importante lacuna. E devo dire che Stationary Traveller, che fa un po' storia a sé all'interno della loro discografia, è un album musicalmente bellissimo contestualizzato al periodo in cui fu pubblicato. A tratti molto angoscioso (a partire dalla copertina), come richiedevano le tematiche affrontate. La classe è intatta e la si avverte, eccome. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Pressure Points 2. Refugee 3. Vopos 4. Cloak and Dagger Man 5. Stationary Traveller 6. West Berlin 7. Fingertips 8. Missing 9. After Words 10. Long Goodbyes
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Line Up
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Andrew Latimer (Voce, Chitarra, Flauto, Tastiera, Basso, Drum machine, Sintetizzatore) Tom Scherpenzeel (Organo, Piano, Sintetizzatore) Paul Burgess (Percussioni, Batteria)
Musicisti ospiti Chris Rainbow (Voce nelle tracce 4, 10) Mel Collins (Sassofono) David Paton (Basso, Cori) Haydn Bendall (Sintetizzatore)
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RECENSIONI |
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