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Blood Ceremony - The Old Ways Remain
21/05/2023
( 1598 letture )
Uno dei settori che più naturalmente ha accolto l’avvento delle nuove star al femminile è senz’altro quello composto dal doom e dall’occult rock. Quest’ultimo, in particolare, forte del precedente di tutt’altra che secondaria importanza di Jynx Dawson dei Coven, ancora imbattuta Regina dell’occulto in musica, ha aperto le proprie porte a tutta una serie di nuove Sacerdotesse dell’Oscuro, tra le quali, oltre alla mai troppo ricordata Jex Thoth non è difficile citare Alia O’Brien, carismatica voce e polistrumentista dei Blood Ceremony. La band viaggia ormai per i quindici anni di vita e in forza dei primi due magnifici album di doom occulto, ampiamente innervato di folk/prog Settantiano, ha conquistato i cuori di molti, anche grazie alla presenza di Alia e al fascino del suo apporto tra voce, flauto e organo. Da The Eldritch Dark in poi, la band ha un po’ allentato la vena doom, lasciando che a prendere il sopravvento fosse appunto la componente folk/prog/occult rock, il che ha un po’ scontentato alcuni, senza però che lo status raggiunto dalla band ne risentisse poi molto. Sono ben sette gli anni che separano la quinta uscita, molto programmaticamente intitolata The Old Ways Remain, da Lord of Misrule. Un lasso di tempo che ha generato enormi aspettative, che la band è ora chiamata a soddisfare: quale sarà la strada prescelta?

Cominciamo col dire che, come in passato, la vena compositiva resta saldamente nelle mani del chitarrista Sean Kennedy, autore di tutti i brani, da solo o in compagnia degli altri membri del gruppo, con la sola eccezione della traccia Hecate, composta in toto dalla O’Brien. Un elemento di continuità che ci dice quanto lo spostamento musicale del gruppo sia in realtà condiviso da tutti e non dettato dalla vena della cantante. Perché, tanto per dirla subito chiara, The Old Ways Remain conferma in toto la strada intrapresa con The Eldritch Dark e, anzi, se possibile la amplifica ancora di più. Del doom iniziale resta gran poco e prevale senza dubbio la vena hard rock/folk/prog, con brani variegati e totalmente dedicati liricamente a tematiche occulte, che innervano e caratterizzano l’atmosfera. Il che comporta una dimensione sicuramente meno "pesante" e ossessiva della proposta del gruppo, senza che questo ne sollevi minimamente l’oscura dannazione, che anzi continua a essere elemento costitutivo dell’identità dei Blood Ceremony. La differenza sta tutta nello strumento attraverso il quale questo messaggio viene portato, meno esplicito, ma forse proprio per questo più insidioso, perché appunto “naturale” e capace di penetrare la realtà di tutti i giorni, con le sue immagini pagane e demoniache. Basta leggere appunto i testi, anche questi in gran parte opera di Kennedy, per rendersene conto: riti misterici e leggende tenebrose sono il pane di cui è composto l’intero album e, volendo, a costituire elemento di interesse sono proprio questi, più che il forse scontato riferimento della opener al celeberrimo The Hellfire Club. Il brano di per sé recupera l’approccio più duro e rovente dei dischi precedenti, ma lo stacco prog/folk centrale ci sposta già verso sonorità meno aggressive, che resteranno a lungo, in particolare nella prima parte del disco. Ipsissimus infatti parte nuovamente su un riff potente e ossessivo, che richiama i Witchcraft, ma le nervature del flauto di Alia e il refrain con tanto di ritmo surf rock, che ricorda vagamente anche i Ghost ci spostano di peso negli anni Sessanta. Si nota subito, peraltro, come la qualità strumentale dei quattro sia cresciuta negli anni: tutti i musicisti suonano a livelli di interplay molto alti e trovano un proprio spazio nelle trame strumentali dei brani, facendo risaltare le proprie qualità individuali ed elevando lo spessore delle singole tracce, che ascoltate a ripetizione rivelano sempre nuovi particolari e intrecci. In tal senso, la ridotta importanza dei riff a favore di un maggior apporto da parte di tutti va visto come elemento positivo, come la comparsa di congas e di un approccio quasi psichedelico, che ben si presta a rendere un brano come Eugene, apparentemente innocuo e quasi allegro, con flauto e chitarra a dettare gli intramezzi e il cantato di Alia, mai così impegnata nell’interpretazione e nella caratterizzazione delle linee melodiche, a contribuire da par suo. La parte più interessante del brano comunque è senz’altro quella strumentale, con l’intervento del sassofono a duettare con l’organo. Dopo una partenza diciamo in tono più soft di quanto atteso, il gruppo piazza la ottima e dinamica Lolly Willows, caratterizzata dai continui break di batteria, dalla riuscitissima linea melodica sessantiana del cantato e dagli intermezzi strumentali carichi di fascino dettati dal flauto. La suggestione sessantiana resta primaria anche in Powers of Darkness che, a dispetto del temibile titolo, si rivela traccia piuttosto allegra -nel perfetto principio di occultare nella luce-, con un bell’assolo di un sempre ottimo Kennedy e un refrain da intonare nella Summer of Love per evocare gli spiriti delle tenebre.
Curiosamente, quasi che il disco fosse diviso in due parti, da The Bonfires of Belloc Coombe in poi l’atmosfera del disco cambia: se si mantiene una certa predominanza delle influenze folk/prog e psichedeliche, le canzoni riprendono decisamente un tessuto più robusto e aggressivo, a partire proprio dalla sesta traccia squassata dal riff spezzato simil-The Wizard (Black Sabbath, of course) della strofa e dalla spettacolare apertura rallentata del refrain, terreno di conquista per Alia, la quale prende il proscenio anche col suo flauto preparando il gran finale del brano, finalmente all’altezza delle aspettative che il nome Blood Ceremony si porta dietro. Widdershins tiene fede al titolo ed è movimentata e potente, apparentemente più semplice e diretta delle altre, con un refrain contagioso e l’ennesimo ottimo break condotto dal flauto. Hecate, unica traccia del disco composta interamente da Alia O’Brien, sembra quasi una canzone di Burt Bacharach, col suo pop raffinato e senz’altro ammaliante; il risultato è un po’ straniante, in effetti, spezza l’andamento appena ripreso dal disco e costituisce un segmento a se stante, affatto sgradevole, ma un po’ incoerente con quello che i Blood Ceremony sono stati finora. Il finale ci riserva comunque due tracce tra le più belle del disco: Mossy Wood nasce da una leggenda e infatti si struttura su un andamento tipico da chansonnier, che ben si addice alla venatura folk della band e ai suoi richiami ai Jethro Tull, con una bellissima parte strumentale centrale che, se distorta, avrebbe riportato ai fasti degli Skyclad, mentre sul finale esplode il moog. Song of the Morrow è il capolavoro atteso dell’album, né più né meno. Stavolta la venatura folk si presta a un brano struggente e maledetto, lento e malinconico nell’incedere, sul quale i cori e le tastiere giocano un ruolo fondamentale assieme al bellissimo arpeggio conduttore. Impossibile resistere al fascino del refrain che ci assorbe totalmente e ci prepara alla spettacolare parte strumentale. Il punto più alto del disco e uno dei massimi della carriera della band.

Siamo insomma di fronte a un disco per certi versi spiazzante, che non è il capolavoro nel quale in molti speravano, ma è un ottimo album: da un lato la miglior prestazione strumentale della band, matura e cresciuta in tutti i suoi componenti e nella sicurezza interpretativa di Alia in primis. Dall’altra, una ancor più evidente riduzione della componente doom a favore di quella folk/prog occulta. Di per sé non è un male, anzi, ma certo chi sperava in un ritorno ai fasti dei primi dischi potrebbe restarne deluso. Il risultato è un lavoro quasi diviso in due, tra una parte meno ruggente e una più aggressiva, con i brani più interessanti comunque posizionati nella seconda e un paio di composizioni -Powers of Darkness ed Hecate- che fanno un po' storcere la bocca, in particolare la prima. Che la band abbia intenzionalmente intrapreso questo cammino ce lo conferma proprio l’intervallo di tempo necessario alla scrittura del disco, che non ha portato ad alcun ripensamento rispetto a quanto impostato nei due dischi precedenti.
Giunti al quinto album, i Blood Ceremony confermano comunque la loro statura, con l’ennesimo ottimo disco, dal quale, specialmente in ragione di alcuni brani di assoluta qualità, si esce comunque colpiti. E’ vero che dopo tutto questo tempo, a prescindere da quale fosse la scelta stilistica intrapresa, era lecito attendersi qualcosa in più. The Old Ways Remain resta comunque carico di fascino e merita un ascolto ripetuto, a ragione di arrangiamenti ricercati e molto validi e di una capacità di scrittura ancora una volta superiore alla media, che consacra i Blood Ceremony tra i massimi interpreti odierni del genere.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
87.2 su 5 voti [ VOTA]
Pete over the world
Giovedì 6 Febbraio 2025, 12.10.19
11
Grazie a chi mi ha dato indicazioni per la copertina o meglio il dipinto. Lo ascolto a iosa, album fantastico.
Spirit Of The Forest
Venerdì 19 Gennaio 2024, 19.16.30
10
Infatti oggi nessuno può più inventare nulla,compresi i MA,la differenza la fà la personalità e il tocco intimo,come del folk celtico in un contesto già proposto.La mia era solo una constatazione,non una critica,e cmq ho l'ardire da sentire nei MA uno stile assolutamente personale(gli assoli,il celtico,il songwriting)ed emozionale nel panorama prog rock.
DaveHC
Venerdì 19 Gennaio 2024, 18.51.08
9
Questo disco è uno dei miei preferiti tra quelli usciti nel 2023 e penso che questo disco, come scritto già nel primo commento, mi piaccia anche di più dei primi. Quelli sono si ottimi, ma è in questo disco che sono riusciti a dare al loro sound una personalità che li distingue e li caratterizza. Poi certo suonano meno metal, ma in tutta la loro discografia credo che questo sia il disco in cui meno di tutti possono essere accusati di essere troppo derivativi. Poi certo non inventano nulla... Ma se è per questo sono veramente in pochi a farlo al giorno d'oggi e sicuramente non lo fanno i mostly autumn che hanno fatto bei dischi, ma fanno le cose di 50 anni fa (tipo Genesis degli anni 70 x capirci ) condite in salsa folk celtico.
Spirit Of The Forest
Venerdì 19 Gennaio 2024, 16.20.10
8
Se devo fare un nome nel folk prog dico solo Mostly Autumn. Alcuni albums eccezzionali.
Legalisedrugsandmurder
Venerdì 19 Gennaio 2024, 15.02.52
7
@spirit vero, ma la lezione l'hanno imparata bene e la cantante è decisamente brava
Spirit Of The Forest
Venerdì 19 Gennaio 2024, 12.29.57
6
Nulla che non sia già stato proposto in modo altamente più egregio 50anni fà da altri.
Lele 13,5 DiAnnṏ
Venerdì 19 Gennaio 2024, 10.23.50
5
Sì, la morte di Artù
No Fun
Venerdì 19 Gennaio 2024, 8.13.38
4
@Pete, a vedere lo stile dovrebbe essere qualche lavoro di Aubrey Beardsley, artista di fine ottocento morto molto giovane ma autore di disegni bellissimi (soprattutto quelli per la Salomè di Oscar Wilde).
Pete over the World
Martedì 13 Giugno 2023, 7.44.55
3
Li avevo ascoltati al debutto poi boh, li avevo persi, riprenderò da dove ho lasciato! Jex Thoth va ricordata sempre! Bravo! Si sa chi ha fatto la copertina? Non ho trovato nulla online.
Danielino
Lunedì 22 Maggio 2023, 11.50.15
2
Sono in totale accordo con DaveHC, musicalmente sono cresciuti e molto. Manca la pesantezza dei primi riff ma nel complesso l\'album è un mix riuscitissimo.
DaveHC
Domenica 21 Maggio 2023, 20.59.03
1
Non concordo con la conclusione della recensione... Secondo me è il disco che più si avvicina ai bellissimi primi due in quanto a qualità della proposta musicale. Certo il Doom degli esordi ormai è solo una delle diverse influenze che contribuiscono a creare il sound dei Blood Ceremony, ma credo che proprio l\'essere riusciti a trovare una dimensione davvero unica e personale nel mix di influenze che vanno dalla psichedelia, al prog rock, al Doom, allo Stoner, al pop, al folk sia il loro punto di forza. Per me un bellissimo disco, per certi versi forse anche superiore agli esordi.
INFORMAZIONI
2023
Rise Above Records
Doom
Tracklist
1. The Hellfire Club
2. Ipsissimus
3. Eugene
4. Lolly Willows
5. Powers of Darkness
6. The Bonfires of Belloc Coombe
7. Widdershins
8. Hecate
9. Mossy Wood
10. Song of the Morrow
Line Up
Alia O'Brien (Voce, Flauto traverso, Moog, Organo, Piano)
Sean Kennedy (Chitarra, Cori)
Lucas Gadke (Basso)
Michael Carrillo (Batteria, Congas, Percussioni)

Musicisti Ospiti
Laura Bates (Violino su tracce 6,9)
Joseph Shabason (Sassofono su traccia 3)
Michael Eckert (Pedal Steel su traccia 8)
Finch Griffin (Violino su traccia 9)
 
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