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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Grand Funk Railroad - Closer to Home
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24/03/2024
( 1263 letture )
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Probabilmente, negli anni tra la fine dei Sessanta e gli inizi dei Settanta del secolo scorso il tempo scorreva in maniera diversa. Almeno, doveva esserci qualcuno che aveva trovato il modo di dilatarlo o non si spiega come fosse possibile che molte band di quel periodo riuscissero, nello spazio di qualche mese, non solo a far uscire filotti di album che sono dei veri e propri Capolavori (citiamo a raffica Cream, Jimi Hendrix, The Doors, Creedance Clearwater Revival, solo per dirne alcuni), ma di conoscere anche una notevole evoluzione, tra un album e l’altro. Forse non tra i campioni di quest’ultima disciplina, ma sicuramente band che ha saputo aggiungere qualcosa alla propria musica di disco in disco, anche i Grand Funk Railroad, da Flint, Michigan, rientrano a pieno diritto tra i più veloci e instancabili "operai" del music business, se è vero, come è vero, che dal 1969 al 1976, anno del primo split, rilasciarono undici album in studio e due dal vivo. Naturalmente, andando costantemente in tour tra un disco e l’altro. E non parliamo di album "qualsiasi", dato che almeno fino a Shinin’ On, ottavo della serie, parliamo di dischi che oscillano tra il capolavoro e l’ottimo. Lavori che hanno fatto del gruppo uno dei caposaldi assoluti dell’hard rock americano e mondiale. E’ così che a dieci mesi (ripetiamolo, dieci mesi) dall’uscita del leggendario debutto On Time, la band ritorna col proprio terzo disco, Closer to Home, prodotto come sempre dal padre-padrone Terry Knight.
Registrato alla Cleveland Recording Company, Closer to Home fotografa una band al suo massimo livello, un gruppo che di lì a tre mesi sarebbe entrato definitivamente nella leggenda con la pubblicazione del proprio primo Live Album, coronando un anno incredibile, stupefacente. La compattezza che il gruppo ha raggiunto in questi mesi è praticamente perfetta, come l’amalgama musicale. La bellissima voce di Mark Farner, i suoi raid chitarristici, l’enorme suono di basso di Mel Schacher, la ruvida quanto potente e carica di groove prestazione alla batteria di Don Brewer e il suo lavoro come corista/cantante, caratterizzano in maniera indimenticabile anche questo terzo lavoro, nel quale, rispetto ai primi due, si registra un leggero quanto evidente cambiamento. Se i Grand Funk Railroad vanno giustamente ricordati come uno dei gruppi più potenti e carichi dei loro anni, delle vere e proprie belve affamate di distorsione e feedback dal vivo, la loro musica ha saputo accogliere nel proprio alveo tanta della produzione discografica statunitense, a partire dal blues e dal soul, con quel Funk già dichiarato nel nome che non è possibile omettere e sottovalutare. Ecco, quindi, che al terzo album il gruppo tira fuori un po’ di più di quest’anima e aggiunge alla propria musica, incendiaria e potente come sempre, una maggiore inflessione blues/soul, tirando in ballo anche ampie sezioni di organo e introducendo un coro gospel in Get In Together e Hooked on Love: espediente questo che raggiungerà il massimo livello nella clamorosa cover di Gimme Shelter che esalterà il successivo album Survival. L’evoluzione compiuta dalla band, insomma, lungi dall’essere rivoluzionaria, compie invece un leggero passo indietro, andando a recuperare delle sonorità se vogliamo più mainstream per l’epoca, integrandole in maniera appena più evidente nel loro potentissimo e ruvido hard rock. Il risultato è, neanche a dirlo, grandioso. Apertura clamorosa con Sin’s a Good Man’s Brother, una delle più belle canzoni scritte dalla band: chitarra acustica, poi l’apocalittica esplosione della distorsione che stravolge totalmente lo schema blues del brano e anticipa la Black Dog dei Led Zeppelin, con una ferocia e una veemenza elettrica che lascia storditi. Spettacolare come sempre il lavoro di Schacher al basso e di Brewer alla batteria, senza i quali questo brano semplicemente non potrebbe essere il monumento all’hard rock che è, ma qui è Farner a risultare dominatore assoluto, con la sua voce e l’incontenibile furore chitarristico. Dopo tanta potenza, la band rilancia con la successiva Aimless Lady, che invece punta tutto sul giro funky della chitarra e sullo spettacolare lavoro della ritmica, con uno Schacher semplicemente splendido e Brewer scatenatissimo sui piatti. Groove a non finire e ancora i selvaggi vocalizzi di Farner in salsa rock soul a condire un piatto saporitissimo e che invita ad alzare il volume oltre ogni limite di rispettabilità. Ma Nothing Is the Same non è certo da meno e qui è l’incalzante lavoro di Brewer assieme alla perfetta linea melodica e l’ancora irresistibile groove di Schacher, che spingono avanti il brano facendolo risultare molto più veloce e scattante di quanto non sia, per un risultato travolgente. Dopo una tripletta da pura esplosione atomica, ecco arrivare Mean Mistreater, una delle più spettacolari ballate del gruppo, assieme a Heartbreaker: wurlitzer e voce ed è pura magia, un feeling malinconico e toccante che non lascia scampo, sublimato poi dall’entrata della ritmica, che conduce a un clamoroso crescendo, fino al ritorno al silenzio e alla strofa iniziale. Da lacrime, con un finale tronco carico di tensione, indimenticabile. Get It Together vede come protagonista l’organo e un giro decisamente più solare di quello del brano precedente. Anche qua la ritmica entrante fa la differenza, ma a colpire è soprattutto il fatto che il brano risulti strumentale per i primi tre minuti, per poi lasciare spazio al coro gospel che intona il refrain, sul quale Farner si esibisce nel più classico controcanto; effetto complessivo grandioso, in ogni caso. L’immersione nel mondo blues/funk continua con la successiva I Don’t Have to Sing the Blues, sulla quale il giro funk della chitarra non fa che rilanciare la grandissima prova di Schacher al basso e di Brewer alla batteria: groove strepitoso, per un brano che cresce con il passare del minutaggio e degli ascolti, dall’iniziale atmosfera allegra e solare a brano irresistibile, tanto semplice quanto validissimo. Altro strepitoso giro di basso e Hooked on Love ci cattura immediatamente senza più lasciarci: incredibile come senza utilizzare chissà quali ingredienti i Grand Funk Railroad, col solo potere della musica e delle loro qualità di musicisti creino brani all’apparenza facilissimi e semplicissimi, eppure irresistibili, che poi piano piano mostrano invece tutti gli accorgimenti, le piccole quanto fondamentali variazioni, come l’armonizzazione del refrain, l’ingresso del coro, il botta e risposta vocale tra Farner e Brewer, la seconda incandescente parte del brano, che improvvisamente accelera e libera la tensione fin lì accumulata. Il risultato sono oltre sette minuti di grande musica che vanno via come acqua fresca. A chiusura arriva il capolavoro del disco: I’m Your Captain (Closer to Home) è uno degli anthem assoluti della band e uno dei loro brani più iconici. Diviso idealmente in due parti, indicate dal titolo, il brano non arriva certo a lambire territori prog, ma rivela una interessante costruzione, con una durata complessiva di quasi dieci minuti. Un brano epico, se vogliamo, che gira attorno a un riff il quale rende molto bene l’apparente atmosfera "marinara" del titolo, con il testo che gira attorno alla vicenda di questo capitano. Chitarra acustica ed elettrica, incroci con basso e batteria e il ritornante ritmo funky spingono il brano, con Farner che tira fuori l’ennesima linea melodica strepitosa. Man mano che la canzone avanza, però, la gioiosa e spensierata avventura marina acquisisce sempre più una tensione e una drammaticità incalzanti: il capitano sta chiamando i suoi marinai ma, a quanto pare, nessuno risponde, addirittura qualcuno sembra avergli rubato o volergli rubare la nave, e il capitano sempre più rivela la propria disperazione e solitudine. Con questa drammaticità anche il brano cresce di intensità, con un saliscendi emotivo continuo, nel quale il protagonista ci dice infine di essere gravemente malato e chiama i suoi marinai perché vengano ad aiutarlo e un misterioso sconosciuto sembra volerlo soffocare, nel suo letto. Improvvisamente, il rumore del mare sale e la canzone entra nella sua seconda parte, Closer to Home, che consiste in un ritmo molto più rilassato, scandito dalle onde del mare, dalla ripetizione ieratica del ritornello e dalle consuete bellissime incursioni strumentali del trio, per oltre cinque minuti di magia pura, tra diminuendo e crescendo, interventi di flauto e archi e una aura epica, che viaggia verso la leggenda. Metafora della morte o di un ritorno agognato quanto sofferto, I’m Your Captain (Closer to Home) è semplicemente un capolavoro assoluto, imperdibile, sugello di un disco ancora una volta stupendo.
L’evoluzione compiuta dai Grand Funk Railroad in pochi mesi è notevole: senza stravolgere il proprio approccio veemente e potente, il gruppo aumenta la componente soul della propria musica, utilizzando in maniera più evidente organo e cori e lavorando sul proprio interplay, cresciuto tantissimo e ora ai massimi livelli, in tutti e tre gli elementi. Ciascuno dei musicisti riesce a dare un contributo paritario alla riuscita del disco, portando la musica a uno dei livelli più alti toccati, in attesa della definitiva consacrazione, che arriverà con il Live. Closer to Home è un disco molto completo e bilanciato, che mostra tutte le sfumature della proposta musicale del trio. Meno ruvido, travolgente e aggressivo dei primi due, non risulta comunque meno coinvolgente e riuscito, con una maturazione che significa ulteriore compimento di un percorso già settato fin dal primo album. Semplicemente, un ulteriore capolavoro che va ad aggiungersi ai precedenti e che contribuì a innalzare il gruppo tra i maggiori in assoluto di un’epoca incredibile e mai più ripetuta.
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9
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Il mio preferito in assoluto.Un crescendo di canzoni memorabili. Sound perfetto. /// Consiglio a tutti gli appassionati di spararsi il video di I\'m Your Captain live at Shea Stadium dove si può vedere le balaustre dello stadio letteralmente piegarsi ed ondeggiare sotto il peso delle persone. La esibizione loro fu stupenda! Vedere per credere. |
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8
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Questo era gruppo bomba peccato vedere recensiti poco dei loro album. Voto giusto però preferisco E pluribus funk ma ne potrei menzionare molti altri tutti di livello alto. |
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7
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Cosa dire di questo strepitoso album dei cosiddetti \"ferrovieri\"? Favoloso dall\'inizio alla fine e non mi stanco davvero mai di riascoltarlo ripetutamente! Voto 90 complessivamente giusto. |
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6
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Non posso che associarmi ai commenti precedenti. Terzo album e terzo terremoto. Terremoto che poi ha trovato la sua massima espressione nel live successivo (a mio modesto parere tra i quattro cinque live più belli della storia) diventando un vero e proprio tsunami. Probabilmente il basso più potente (o tra i più) e sicuramente con più personalità che io ricordi in ambito hard rock. |
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5
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Capolavoro, fondamentale. |
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4
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Concordo con @Lizard e vado avanti di un anno. Sino al live Caught in the act la discografia è priva di sbavature. E con una evoluzione stilistica in cinque anni che non ha quasi paragone nella storia della musica. Sono praticamente due gruppi diversi. Che dire di un disco che ha al suo interno Mean Mistreater e I’m Your Captain? Niente. Lo si compera e lo si consuma. E poi inutile girarci intorno: Mark Farmer è il Grande Dimenticato di ogni classifica (se la gioca con Rik Emmet). Un cantante come ce ne sono stati pochi nella storia e chitarrista sopraffino. 80 |
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3
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Leggendario gruppo, poco da dire, il periodo con Terry Knight praticamente perfetto |
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2
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Scoperti grazie a Homer Simpson...non giudicatemi  |
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1
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...band spettacolare....tra le piu\' dure del periodo.....importantissimi per lo sviluppo del rock duro....🤟 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Sin's a Good Man's Brother 2. Aimless Lady 3. Nothing Is the Same 4. Mean Mistreater 5. Get It Together 6. I Don't Have to Sing the Blues 7. Hooked on Love 8. I’m Your Captain (Closer to Home)
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Line Up
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Mark Farner (Voce, Chitarra, Organo, Tastiera, Armonica) Mel Schacher (Basso) Don Brewer (Batteria, Voce)
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RECENSIONI |
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