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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Enchant - Blink of an Eye
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13/04/2024
( 642 letture )
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Giunti al sesto album, quinto sotto l’egida dell’etichetta più importante del mondo progressive, la Inside Out Music, gli Enchant hanno raggiunto ampia maturità stilistica e compositiva. L’apice però è già stato raggiunto con i precedenti lavori e Blink Of An Eye è il segnale di una discesa rapida e inesorabile che porterà il gruppo statunitense a prendersi una lunghissima pausa dopo il rilascio del successivo Tug Of War. Nei primi anni 2000 non si fatica affatto a trovare sugli scaffali un buon disco prog metal e questo lavoro soffre proprio il confronto con la pletora di uscite che hanno costellato quel floridissimo periodo: dai capolavori assoluti dell’olimpo progressivo come The Perfect Element dei Pain Of Salvation, Six Degrees Of Inner Turbulence dei Dream Theater, The Odyssey dei Symphony X e Snow degli Spock’s Beard agli album di assoluto livello di band meno blasonate come Critical Mass dei Threshold, Beyond Daylight dei Vanden Plas e Celestial Entrance dei Pagan’s Mind. Questo solo limitandoci al 2002 in un genere estremamente circoscritto e si potrebbe andare avanti per lunghe liste per ore ed ore. Questo Blink Of An Eye purtroppo è reo di un tempo dove la qualità era estrema e semplicemente non può tenere il passo con la media altissima del periodo.
Tuffandoci nell’ascolto, il riff dreamtheateriano di Under Fire ci accoglie sull’uscio facendoci subito sentire a casa, tra ritmi a noi cari, poco ispirati forse, ma estremamente sicuri di fare centro. Refrain forse già sentito ma estremamente cantabile grazie al bel lavoro di Ted Leonard alla voce per un’opener non brillantissima ma ficcante e ben bilanciata. Il forte tributo ai Dream Theater nella seconda traccia si sposta invece verso i già citati Pain Of Salvation mescolati al neo prog degli Spock’s Beard in cui Ted Leonard allora non faceva ancora parte. La durata delle canzoni è medio lunga, sempre attorno ai sei/sette minuti, ma ogni pezzo sembra tendere ad un climax, un’esplosione che tarda ad arrivare e che in molti casi appunto non arriva mai. La copertina allo stesso modo fotografa bene questo lavoro fuori fuoco degli Enchant con una figura femminile che tiene il volto tra le mani che pare appiccicata sopra lo sfondo, cioè una sbiadita immagine in secondo piano di un orologio. Molto ispirato invece l’assolo di Douglas Ott a metà del brano Seeds Of Hate, rapido, tecnico e incisivo, ad innalzare nettamente la qualità di un pezzo altrimenti abbastanza anonimo. Una ventata di freschezza la portano anche le tastiere, sempre del polistrumentista Douglas Ott, che costellano Flat Line. Dopo una buona ma non memorabile ballad accompagnata delicatamente dalla batteria di Sean Flanegan, Follow The Sun, troviamo gli otto minuti di Ultimate Gift, sempre sulla falsa riga della power ballad con pochi spunti strumentali interessanti e trainati dalla voce di Ted Leonard. Una durata troppo importante per una traccia annacquata, che arriva a questo minutaggio come quando a scuola si cerca di allungare il tema sul foglio protocollo, aumentando il carattere e l’interlinea. Un guizzo di creatività e tecnica, assolutamente gradita, spazza via questa stanchezza compositiva nel mezzo di My Everafter, un bell’assolo alternato di chitarra e tastiere (qui suonate invece da Phil Bennett) con il basso di Ed Platt per la prima volta ben presente a sostenere la melodia. Sottotono e skippabile Invisible, con un riff stranamente ripetitivo, non all’altezza del nome degli Enchant, ci porta ad una breve e più variegata Despicable, anche qui non memorabile ma senza la percezione di “già sentito” che pervade un pò tutto l’album. Concludiamo il viaggio in quello che non sarà ricordato come miglior lavoro del combo statunitense, con una traccia che invece sì, merita di stare nella cerchia delle loro migliori canzoni, ricca di tecnica, grandissimo valore strumentale e tantissima qualità compositiva. Prognosis è il pezzo che stavamo aspettando dal primo istante del disco, da quando abbiamo premuto play, l’alchimia strumentale è massima e si percepisce tutta l’amalgama dei cinque musicisti in questo pezzo da novanta, con Ted Leonard non costretto a disperdere le sue energie alla voce, per un brano strumentale che conclude magistralmente un album altrimenti troppo sottotono, e ci fa apprezzare appieno il lavoro di musicisti eccellenti, salvati in corner dall’indiscussa e indiscutibile bravura tecnica.
Sono bravi ma non si applicano. Quante volte abbiamo sentito queste parole, ma dopo una sufficienza risicata durante tutto l’anno scolastico, decidiamo di studiare per quell’ultima importante verifica, per fare in modo che il nostro ultimo lavoro venga apprezzato e ricordato in sede di valutazione finale, e il sei in pagella diventa alla fine un sette, grazie alla nostra ultima e perfetta verifica. Ecco ciò che hanno deciso di fare gli Enchant che, dopo nove brani poco a fuoco e decisamente stanchi e fiacchi, incidono una perla memorabile, dal bagliore accecante, in decima posizione, a spazzare via ogni dubbio riguardo le loro capacità compositive. Quindi niente bocciatura, neanche un richiamo a settembre, una promozione che arriva grazie ad un capolavoro finale e qualche traccia di ottimo valore dispensata qui e là con sapienza all’interno di un album imperfetto. Ma gli Enchant sono pur sempre gli Enchant.
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5
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@Vicarious, grazie per il tuo commento e ancor più per la recensione. Così almeno ogni tanto di questo gruppo ce ne ricordiamo; questi album meritano di essere rispolverati, a prescindere dai confronti con altre realtà coeve. Ovviamente nessuno può essere completamente imparziale: ma chiaramente la questione pesa in modo diverso per chi scrive una recensione rispetto a chi la legge e commenta. Però alla fine le differenze di vedute possono dar luogo a discussioni stimolanti, che mi piace pensare intavolate come se si fosse al pub tra amici. 🍻 Io quest’album lo preferisco a tanti che hai citato (che sono grandissimi album, intendiamoci), ma magari è solo perché su di me gli Enchant hanno un effetto particolare. Capisco che sono meno “pirotecnici” rispetto ad altri e magari non colpiscono allo stesso modo. Poi chiaramente se mi cali l’asso The Perfect Element allora mi arrendo… ma lì siamo veramente ai massimi livelli (quello è un album praticamente da 100 per me). |
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4
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Ciao @Aceshigh, intanto è sempre un piacere leggerti e leggere commenti ben strutturati, che definirei quasi di critica, ci si può confrontare e si impara sempre qualcosa. Non è mai facile essere totalmente imparziali, ci si prova e a volte ci si riesce anche, ma l\'opinione personale alla fine fa sempre capolino nella recensione. Come si sarà capito dai miei ascolti, dalle mie recensioni e dalle mie analisi, quel prog da chi ce l\'ha più lungo è un pò il mio stile inequivocabile, quello dei gruppi e degli album che ho citato, tranne forse \"The perfect element\", non che manchi la tecnica. Per questo ho posto questo disco un gradino sotto, mi pare non regga il confronto con quelle uscite lì. Ma è un\'opinione, per quanto imparziale al massimo, rimane un\'opinione, argomentata per arrivare al voto finale, che sia chiaro, non è una stroncatura. Fa piacere confrontarsi sugli Enchant, un gruppo che si fa fatica a non amare |
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3
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Ho bellissimi ricordi di questo disco e del periodo in cui uscì. Ultimate gift splendida. Il voto non lo dó, non saprei se darlo alle canzoni o ai ricordi. Comunque, bello. |
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2
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Da avere solo x Ultimate Gift, song memorabile, voto 10. All\'album non meno di 80. Band fantastica.
....e poi Doug Ott è stratosferico....ma che chitarrista è? |
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1
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Allora… parto dicendo che gli Enchant mi sono sempre piaciuti da morire, e trovo che quest’album sia uno degli apici della loro non troppo folta discografia. Va da sé che il mio punto di vista si discosti parecchio da quello della recensione (assolutamente ben fatta, alla fine credo sia una questione di gusti). Ho sempre pensato che le influenze di altre band fossero molto evidenti nei primi due (comunque splendidi) album e che poi gli Enchant, a partire dal terzo, avessero intrapreso un percorso finalizzato proprio ad una personalizzazione dello stile, traguardo raggiunto anche qualitativamente a mio modo di vedere proprio in Blink of an Eye (sebbene pure il precedente Juggling 9 or Dropping 10 non scherzi). Un prog spesso e volentieri molto solare nelle armonie, anche a volte malinconico, rilassato, e molto più lineare rispetto a quello di altre band prog dell’epoca. La tecnica mai soverchiante: i musicisti ne hanno (sentire per esempio My Everafter), ma la mettono in mostra solo se necessaria ad un reale miglioramento del pezzo. Sintomo di gran personalità e convinzione nei propri mezzi compositivi, roba da musicisti con la M maiuscola. Mi verrebbe da dire che in un momento in cui nel prog si faceva anche un po’ a gara a chi ce l’aveva più lungo (chi faceva il pezzo più complicato, chi la suite più lunga, chi il concept più figo, chi l’assolo più difficile, ecc…) loro procedevano proprio in direzione contraria (non solo loro ovviamente). In quest’album per me - tranne Invisible - i pezzi sono tutti splendidi, dotati di riff e refrain assolutamente vincenti. Sinking Sand, Monday, Despicable possono valere da esempio. Nel gruppo di dischi citati a inizio recensione io questo degli Enchant ce lo metto senza problemi (e lo trovo anche migliore di alcuni). Scusate il papiro… però voto 91. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Under Fire 2. Monday 3. Seeds of Hate 4. Flat Line 5. Follow the Sun 6. Ultimate Gift 7. My Everafter 8. Invisible 9. Despicable 10. Prognosis
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Line Up
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Ted Leonard (Voce, Chitarra) Douglas Ott (Chitarra, Tastiera, Basso) Phil Bennett (Tastiera) Ed Platt (Basso) Sean Flanegan (Batteria)
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RECENSIONI |
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