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Enchant - The Great Divide
( 4105 letture )
Inesorabile, il tempo passa, dandoci e togliendoci continuamente gruppi di ogni genere: alcuni sono meteore che in pochi anni scrivono pagine indelebili della storia, altri rimangono perennemente nel mondo della mediocrità: ci sono fiumi di storie e di possibilità. Vi è poi una ristretta cerchia di artisti che ogni tanto appaiono e successivamente spariscono, lasciandoci un piacevole ricordo del loro transito, salvo riapparire senza preavviso dopo qualche tempo. Gli Enchant fanno parte proprio di quest'ultima categoria. Dopo una decade (1993-2003) di ottimi lavori, tra i numerosi impegni dei componenti (personali e musicali), il gruppo neo-progressive cade in un silenzio totale fino all'uscita del loro ultimo lavoro.
The Great Divide esce a undici anni di distanza da Tug of War, risultando incredibilmente fresco e coeso nonostante il lungo periodo di "letargo" dei nostri. Il rischio di ritrovarsi di fronte a un collage fatto di materiale accumulato nel tempo era abbastanza tangibile, ma fortunatamente non è stato così. Gli Enchant propongono un progressive metal dalla forte marcatura melodica, "sporcato" di diverse influenze prog rock che lo portano ad avvicinarsi in qualche modo al neo-prog della prima metà degli anni Novanta. Ho parlato poco fa di freschezza, cosa non scontata proprio per il genere che il gruppo va a trattare, poiché nonostante non scriva nuove pagine della storia della musica, The Great Divide è un platter che emoziona e convince appieno con delle melodie non schiave dei canoni del genere.

L'opener Circles mostra subito una sezione ritmica pesante e un sound delle chitarre orientato al metal, che si alterna con un buon lavoro delle tastiere, impegnate nella creazione di sonorità dal taglio quasi spaziale. L'uso d'effetti è copioso, anche sulla voce durante il ritornello. Il brano, nonostante non sia brutto, è quello probabilmente meno trainante dell'intero platter, poiché non ha mai un vero momento di autentico decollo. L'impressione che si ha è quella di una partenza un po' a rilento, forse anche per via di un refrain non propriamente azzeccato. Le nubi si diradano progressivamente insieme all'avanzare di Within an Inch, che presenta una struttura incredibilmente fluida, intervallata da un meraviglioso e lento bridge con pianoforte e chitarra. Le scale sia dell'uno che dell'altro strumento si inseguono su una sezione ritmica che crea un muro sonoro caldo e avvolgente. Il refrain, questa volta decisamente più azzeccato, costituisce un punto forte della canzone e nel finale viene eseguito con un'accelerazione notevole, che gli rende ancora più gloria. La tanto attesa title track è (come da copione) il brano più lungo del platter ed è anche quello in cui le influenze si miscelano meglio: dalle tastiere più vicine a quelle del prog rock alle armonie e strutture del neo-prog dei primi anni Novanta. La canzone presenta delle sezioni in cui chitarra e sintetizzatore fanno un corpo unico, personalizzando uno stile consolidato e piacevole. Spiccano fra tutte le parti in clean che creano un'atmosfera meditativa e che rispecchia perfettamente quello che poi è l'artwork in copertina: la contemplazione di due sponde divise da un mare violento ed agitato, accompagnato dalla pesantezza delle nuvole nere pronte alla tempesta e dal calore delle sfumature del cielo che tendono al rosso e all'arancione. Nella durata media delle tracce, che a parte un paio di casi si attesta intorno ai sette minuti, spiccano i quattro minuti di All Mixed Up. Fin da subito mi aspettavo, un po' in cattiva fede, il singolo commerciale del disco e invece ho avuto una grande sorpresa: la canzone è una delle migliori di The Great Divide ed esprime al meglio lo stile degli Enchant. L'introduzione dall'impronta metal lascia spazio ad intervalli costruiti su un meraviglioso giro di basso e sulle note della chitarra effettate con il flanger, che trova diversi impieghi nel disco senza mai essere di troppo. Gli assoli di Douglas A. Ott sono molto diversi, entrambi da pelle d'oca e circondano un bridge che mantiene sempre in salita il pezzo, grazie anche ad un cantato di Ted Leonard incredibilmente passionale e personale. La serie vincente di pezzi continua con Transparent Man, che presenta un buon tempo alternato e trascinante. Anche in questo brano gli assoli di chitarra sono melodicamente azzeccati, forse più accademici e negli schemi rispetto alle altre tracce, ma comunque godibili. Life in a Shadow è la ballad di turno, che nella sua semplicità scorre con leggerezza, senza annoiare e con degli arpeggi non di certo innovativi, ma semplicemente efficaci. Siamo oramai prossimi alla fine e Deserve to Feel riporta in auge il sound dei primi anni novanta, lasciando nell'aria una vaga sensazione, soprattutto nelle strofe, di Images and Words dei Dream Theater, sia per i tempi della batteria sia per i suoni della chitarra che rimandano molto a quelli di John Petrucci. A chiudere un disco del genere non poteva che esserci una delle punte di diamante: Here and Now. La canzone propone delle melodie veramente emozionanti, a tratti sognanti ed in altri maestose, grazie al grande lavoro alle tastiere e al pianoforte, che avvolgono caldamente l'ascoltatore in un turbine di sensazioni.

Il lavoro alla produzione è praticamente perfetto, privo di sbavature e frequenze in contrasto. La pulizia sonora è una gioia per le orecchie e contribuisce in qualche modo all'estrema ascoltabilità del platter in questione. Le performance dei musicisti sono quasi accademiche e risalta l'originale timbro di Ted Leonard, dotato di un buon range vocale. Credo di aver speso già sufficienti parole sulle chitarre e sicuramente una nota di merito va pure alla sezione ritmica, che in alcuni passaggi sembra sufficiente e far musica da sola senza gli altri strumenti, privilegio riservato a ben poche di esse.

The Great Divide non è di certo l'album che farà gridare al miracolo gli amanti del prog, senza innovare in nulla di particolare. Tuttavia qualora cerchiate un buon compromesso fra facilità d'ascolto, melodia e gusto tecnico, l'ultimo lavoro degli Enchant fa al caso vostro, offrendo tutte le raffinatezze del prog, senza scadere nella pesantezza e nel tecnicismo sfrenato. Per produrre qualcosa di emotivamente coinvolgente non bisogna per forza fare i salti mortali ed il rischio è quello di scadere nella scontatezza, tuttavia il gruppo per ora è sicuramente lontano da questo pericolo. Chiudo questa recensione, oltre che con il consiglio dell'ascolto, con la speranza di non dover attendere altri undici anni per un dignitoso seguito.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
83.37 su 8 voti [ VOTA]
Luka2112
Martedì 8 Dicembre 2020, 0.07.33
10
....dimenticavo anche il tastierista purtroppo è cambiato....
Luka 2112
Martedì 8 Dicembre 2020, 0.04.56
9
Mi sono sempre piaciuti prima di perdere il batterista originale nonché compositore, di gran lunga superiore al suo sostituto.
JC
Domenica 15 Settembre 2019, 14.15.55
8
Buonissimo disco, in passato hanno fatto anche meglio, gli vorremo comunque sempre bene. In a blink of an eye resta il mio preferito per motivi affettivi.
Aceshigh
Domenica 15 Settembre 2019, 13.59.25
7
Riascoltato stamattina, non rammentavo che fossero già passati 5 anni dalla sua pubblicazione. A questo punto mi chiedo se quest’album avrà mai un successore... Non il migliore della loro discografia, ma dopo 11 anni di assenza fui soddisfatto. Non tutti i pezzi mi prendono allo stesso modo, ma in tutti comunque appare evidente che ci troviamo di fronte a 5 musicisti d’eccezione. La classe negli arrangiamenti e l’equilibrio che c'è tra di loro sono caratteristiche molto rare. Miglior pezzo la title-track, veramente fantastica! Voto 82
roviston
Domenica 26 Novembre 2017, 10.57.50
6
Gli Enchant non hanno mai fatto album-capolavoro ma si sono sempre mantenuti su buoni livelli sia tecnici che creativi.Una band onesta che avrebbe meritato maggior successo."The great divide" è forse la loro prova migliore,lavoro che scorre bene ,elegante e ben suonato.E' un pò il riassunto di quello che hanno fatto in precedenza e con il passaggio del valido cantante Ted Leonard agli Spock'Beard,sarà ,forse, la loro l'ultima fatica.
mardonziak
Giovedì 7 Aprile 2016, 11.55.34
5
a me piacciono (e possiedo) i tre album precedenti a questo... ovvero "tug of war" "blink of an eye" (consigliatissimo!) e "juggling 9 or dropping 10" ma mi era proprio sfuggita questa notizia di un loro nuovo album! Anche perchè pensavo si fossero sciolti dopo una fase di stand-by durata oltre un decennio. Comunque benissimo vedo di darci subito un ascoltata e magari di acquistarlo anche se si attesta sui BUONI LIVELLI passati. ^_^
Max
Giovedì 7 Aprile 2016, 8.19.00
4
Ottimi musicisti e con una carriera costellata da album molto molto buoni , raffinati ma non troppo, puliti che si fanno ben ascoltare: un gruppo e un genere che ogni tanto fa bene sentire per staccare da tutto il resto. Consiglio tutta la loro discografia.
Cipmunk
Mercoledì 22 Ottobre 2014, 13.52.11
3
Un gradito ritorno...anche se "il già sentito" si ripete un po per tutto il disco....e cmq Stima Infinita per dei professionisti sempre un po troppo relegati in un angolino.....
Lizard
Lunedì 20 Ottobre 2014, 22.19.44
2
Grande band, spero di riuscire ad ascoltare questo disco.
entropy
Lunedì 20 Ottobre 2014, 18.29.00
1
Non lo so forse un po' di troppo entusiasmo nella recensione. Fa piacere anche a me che siano tornati a fare un album, ma insomma non è certo il loro migliore, e già in assoluto non possono definirsi un gruppo "leader" della scena. Insomma un buon album godibile, ma cmq inferiore ad altri lavori della band stessa (time lost ad esempio). Io sarei più per 70 striminzito !
INFORMAZIONI
2014
InsideOut Music
Prog Metal
Tracklist
1. Circles
2. Within an Inch
3. The Great Divide
4. All Mixed Up
5. Transparent Man
6. Life in a Shadow
7. Deserve To Feel
8. Here and Now
Line Up
Ted Leonard (Voce, Chitarra)
Douglas A. Ott (Chitarra, Mellotron, Cori)
Bill Jenkins (Tastiere, Organo, Pianoforte)
Ed Platt (Basso)
Sean Flanegan (Batteria, Percussioni)
 
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