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Nastrond - Toteslaut
12/04/2025
( 396 letture )
I Nåstrond non sono certo uno dei primi nomi che vengono in mente quando si parla di black made in Sweden. L’elusivo duo di Gothenburg, attivo già negli anni Novanta, aveva infatti poco da spartire anche musicalmente con i suoi conterranei dell’epoca e forse anche per questo ha sempre agito in secondo piano rispetto ai gruppi più celebri.

Per la verità le prime prove demo e l’EP Digerdöden avevano mostrato una band dal sound non troppo peculiare, che si sostanziava fondamentalmente in un black velocissimo e raw costruito sulla continua alternanza tra melodia e dissonanza, ma senza che si distanziasse appunto dal più classico sound scandinavo e svedese. In pieno periodo di boom del genere, questo fu sufficiente per guadagnarsi un contratto con la Napalm Records che permise loro di pubblicare il loro primo lavoro sulla lunga distanza, Toteslaut.
In questo debutto, anche grazie ad una qualità sonora finalmente decente, le vere coordinate artistiche della band ebbero modo di emergere. La copertina e il titolo, traducibile come “il suono della morte”, non lasciano scampo a interpretazioni: Karl NE e Arganas intesero creare un disco dalle atmosfere occulte e mortuarie, che più che sull’aggressività pura (comunque ancora presente) puntava sull’evocare gli scenari ricercati. Tale obiettivo era raggiunto tramite il ripensamento della dinamica di alternanza dissonanza – melodia all’interno di un black meno irruento ma dalle tinte orrorifiche, in cui non di rado i tempi rallentano, le chitarre col loro sound marcio e il riffing malevolo rendono l’aria malsana e gli inquietanti synth si fanno strada furtivamente quasi a voler far esalare miasmi cimiteriali. Se un occhio era rimasto aperto sulla tradizione nord europea, l’altro era decisamente rivolto al Mediterraneo, nello specifica alla Grecia di Rotting Christ e soprattutto Necromantia e al loro black primordiale e vampiresco.

Dopo il breve incipit strumentale Xolotl, En Sång Från en Pestbesmittad Grav ci introduce subito alle sonorità del disco: un synth dal feeling ultraterreno lascia spazio ad un inizio arrembante, caratterizzato da un riffing scarno ma efficace, in tremolo monocorda, e poi a sezioni mid-tempo in cui le influenze greche hanno subito modo di manifestarsi. La prestazione dei singoli, soprattutto nel reparto percussioni, può lasciare vagamente a desiderare in quanto a precisione, ma il tutto risulta in fondo quasi coerente con l’approccio primitivo e brutale della band. Il sound è generalmente ancora molto grezzo ma consente quantomeno di distinguere tutti gli strumenti e le melodie e conferisce un’aura particolarmente bestiale al disco. Non a caso a seguire in questa discesa nelle tombe più dimenticate, troviamo Lord of the Woods, brano a tema licantropia, tendenzialmente veloce, senza scrupoli, cui il synth conferisce quella giusta atmosfera sovrannaturale, prima che il simil-ritornello faccia la sua comparsa con accenni di clean vocals, riffing dissonanti e ritmiche più lente. Akhkaru (The Grave Dweller) inverte invece le dinamiche, iniziando con un riff veloce, ma nervoso e dissonante, che si alterna con sezioni mid-tempo più melodiche in cui riemergono i synth pad, quasi a voler simulare dei cori degli inferi.
Neuntoter (Yo Soy el Roy!) ci accoglie con melodie che sembrano voler strizzare l’occhio alla scuola norvegese, tanto nelle parti veloci quanto in quelle più posate, per un brano generalmente meno teso rispetto agli altri. May the Rotten Bones Absorb Life Again, brano dalle atmosfere negromantiche per eccellenza, è un perfetto esempio del songwriting più caratteristico della band: sotto un tappeto di blast-beat e doppia cassa si svolge un riff allo stesso tempo melodico e cacofonico, in cui dissonanza e melodia evocativa tipica del black metal si incontrano, creando un effetto abbastanza straniante ma affascinante. Sul finire del disco, tra le brevi, più dirette e veloci A Black Hearse Clad in Human Bones and Skulls e Gravestench, si apre Jai Ma Kali, in cui la band sperimenta ancora con la sovrapposizione di melodia e dissonanza ma stavolta giocando addirittura con una partitura per sitar su cui si staglia minaccioso il synth e una voce che declama invocazioni alle divinità indù. La chiusura infine, è affidata alla breve titletrack in cui quasi in sottofondo ad un synth inquietante e a dei timpani lenti e inesorabili, una voce femminile da film horror sussurra delle storie occulte di Nosferatu.

Toteslaut si presentava dunque come un disco piuttosto peculiare per l’epoca, ancora quasi primordiale se paragonato ad altre proposte coeve, eppure caratteristico nel saper evocare atmosfere ritualistiche e nel dosare le dissonanze che giocano un ruolo fondamentale nel sound e che già con il successivo Age of Fire verranno quasi del tutto accantonate. La band infatti, dopo il debutto, diede vita a una discografia parecchio discontinua e in cui, nonostante i toni occulti rimanessero presenti, furono esplorate nuove strade. Il debutto dei Nåstrond rimane quindi un esempio forse unico di questo stile che tutt’ora, o forse ancor di più che all’epoca dell’uscita, affascina e merita di essere riscoperto.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
53 su 2 voti [ VOTA]
Dopethrone
Lunedì 14 Aprile 2025, 18.19.33
1
gran disco!
INFORMAZIONI
1995
Napalm Records
Black
Tracklist
1. Xolotl
2. En sång från en pestbesmittad grav
3. Lord of the Woods
4. Akhkharu (The Grave Dweller)
5. Neuntoter (Yo soy el roy!)
6. May the Rotten Bones Absorb Life Again
7. A Black Hearse Clad in Human Bones and Skulls
8. Jai Ma Kali
9. Gravestench
10. Toteslaut
Line Up
Karl NE (Voce, Chitarra, Basso, Tastiera)
Arganas (Batteria)
 
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