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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Sono molte le cose di cui ammettiamo l’esistenza, ma ignoriamo quali siano le loro qualità. (Lucio Anneo Seneca)
Esistono vie apparentemente precluse al volere umano che a tal punto lo gettano negli abissi dell’incertezza da far sì che egli dubiti delle proprie opere, le medesime delle quali è stato un tempo abile artefice. Esiste una coscienza coerente che sospinge poi gli eventi ed in un modo che definire casuale parrebbe improprio, queste stesse opere a trovare un ragguaglio, una continuazione che ne legittimi la presenza. Evidentemente, esiste anche un luogo ove la vita e la morte altro non sono che un concetto immateriale, partorito dalla mente di una specie la cui fredda maschera di verità si rivela impossibile da sostenere, un tarlo fastidioso al quale è preferibile anteporre un caos calmo, controllato e pervaso da una magniloquente quanto ingenua spensieratezza. Ed è senza dubbio tra l’essere ed il non-essere che deve essersi trovata per anni la creatura dell’ex-bassista/cofondatore Fabrizio Colussi, la cui presenza oramai puramente spirituale negli equilibri della band non può non tradirne una certa affezione e chissà che non sia stata proprio una connaturata e sincera forma di amore occorsa durante il passaggio del testimone alla chitarra di Paolo Puppo a riportare alla luce la realtà nostrana dei Will'o'Wisp, che con il loro emblematico Kosmo giungono ad ora al terzo full-length. Ma andiamo con ordine.
DOVE ERAVAMO RIMASTI? E’ un viaggio indietro nel tempo quello che siamo portati a compiere, un viaggio doveroso e funzionale al contesto, tanto quello trascorso quanto il più prossimo entro cui i quattro muovono nuovamente i primi passi. Era il 1994 ed alle manifestazioni più oltranziste e dirette evidenziatesi sul tramontare del decennio appena passato venivano affiancandosi nuove forme di concepimento della materia estrema. Il death metal senza fronzoli, tritaossa e dal miasma profondamente marcio che tanti avrebbero continuato ad ingurgitare in dosi massiccie, taluni mai distaccandosene, lasciava prepotentemente spazio ad un netto stravolgimento di prospettiva, sia da un punto di osservazione prettamente estetico quanto più lirico e tematico: via le budella, gli smembramenti di ogni risma possibile ed (in)immaginabile, fuori anche le veraci figure di zombie, non-morti e scene di necrofilia ad essi collegate, aspetti che tradivano in gran parte l’affetto, se così si può dire, che i visionari mondi di un Carpenter o di un Romero non mancavano di suscitare nei diretti interessati. In modo più o meno graduale, alle fondamenta di base confluivano per fissione elementi sperimentali, pur se appartenenti a derive così ampiamente slegate dalla matrice che ne costituiva l’ossatura, vedasi il jazz o la fusion. A questa tendenza ed a rafforzare ancora una volta le velleità espressive dei singoli musicisti, si affiancava un tessuto tecnico e progressivo dalla fine intelaiatura, che mai come in alcuni episodi richiese diverse prove prima di potersi considerare compiuto, uno su tutti quello degli statunitensi Death. Compianto dai molti, despota malcelato agli occhi dei più scrupolosi, non vi è ragione di non credere che il giovane Chuck Schuldiner portasse con sé i germi dello sviluppo e la consapevolezza di poterne attuare in musica una disamina completa, iniziata ad ampio respiro sulla scia di Spiritual Healing per poi culminare nella maestosità austera di quel The Sound of Perseverance la cui impronta fa scuola ed è per certi versi, insuperata ad oggi. Con i riflettori abbassati, ma la cui onda lunga si protrarrà e sarà destinata ad una più solida fruizione nel corso degli anni, arrivano poi i Cynic dell’era “ Focus “. Stiamo parlando con molta schiettezza di una delle produzioni più complesse in termini di struttura, sound, stile ed intenti che siano mai state partorite da un ventre duro e persino a seguito di numerosi ascolti risulta ostico inquadrarne i tratti salienti, poiché immersi in un coacervo di influenze a loro volta rielaborate secondo il gusto personale del combo della Florida. Accadeva in America…
Nel nostro stivale e più precisamente nella genovese Rapallo, prendeva forma così un’espressione genuina e vagamente oscura di ciò che i Will'o'Wisp sarebbero stati per la prima parte della loro carriera, ed è con un ottimo riscontro di critica che a quel Nocturnal Whispers seguitarono dapprima l’opera completa di Enchiridion “, il cui eco risonante permise ad una più giovane band di ambire ad una release postuma, che risponde al nome di Unseen. Titolo forse profetico, quest’ultimo, poiché di loro avevamo da troppo a lungo perso ogni traccia.
MARE COSMICO Con quest’ultima fatica i liguri vogliono raggiungere un doppio intento: non tradire le proprie origini ma nemmeno restarne troppo ancorati ed al contempo porre nuova linfa per quella che nelle speranze collettive possa essere una futura e consapevole risalita. Un proposito ambizioso e a giudizio del sottoscritto, pienamente metabolizzato. Approcciarsi ad un lavoro partorito così come era negli intenti dei suoi fabbri, non sempre viene preso in considerazione e questo comporta inevitabilmente un’incongruenza di fondo, ma altrettanto poco congruo sarebbe guardarlo con dei filtri che non ne mostrano la dicotomia reale: sulle vicende del Bardo Thodol (tibetano per Libro dei Morti, ndr) e della sua natura ascritta alla religione buddhista, si riconosce in primo luogo ciò che è stato il percorso dei Will'o'Wisp, le cui strade si sono ritrovate appunto ad un binario cieco ed in uno stadio intermedio di quasi-rinascita, a dirsi non più vivi, ma oltrepassata la morte costipati in un limbo in attesa della reincarnazione.
Conseguentemente, è la materia musicale con la sua voluttuosa essenza a prendere forma e lo fa per le ragioni di cui sopra con un taglio orientaleggiante, quanto mai poco invasivo e sempre relegato alla propria funzionalità all’interno dell’apparato, ad ordire uno scheletro già di per sé fortemente orientato al mutare ed al porre enfasi su un aspetto piuttosto che un altro al cambiamento stesso del momento tematico affrontato. Il deus ex machina a rendere il platter estremamente fruibile non è lo sforzo di uno solo bensì di quattro artisti “ impegnati “: per cominciare, un tappeto ritmico di tutto rispetto ai voleri della versatilità di Oinos (Australwave, ex-Thy Nature, ex-Alice In Darkland, ma ancor più ex-Node/Sadist), ben coadiuvato dal jamming intelligente di Jacopo Rossi (Antropofagus, Nerve, Dogma) e, ciliegina sulla torta, la prova al vetriolo di Deimos (ex-Revenant); a spiazzare del tutto è però l’egregia rilevanza che lo stesso Paolo si ritaglia nelle composizioni, generalmente molto ispirate e pregne di gusto chitarristico vivace e dalle tonalità personali, seppur inevitabilmente ed in parte tributarie di una ben inquadrata corrente.
Si badi bene, linee guida al dipanarsi delle singole composizioni ce ne sono eccome, un po’ come se a concorrere allo sviluppo finale di queste ultime fosse intervenuta una mano invisibile, che porta principalmente la firma di due dei più influenti esponenti del genere, se non coloro che fuor di modestia alcuna ne hanno ossidato nel tempo la giusta chiave di lettura: stiamo parlando di Sean Reinert e Paul Masvidal. E chi altri se non gli ideatori della svolta più cervellotica dei Death a fare da battistrada per le scelte stilistiche del prog-death made in Genova: pur se non esasperati sono infatti evidenti i rimandi alla seconda era, quella molto tecnica e soprattutto ispiratamente onirica di Human per la parte più classicamente heavy metal, quanto la prevalenza in fase sperimentale delle soluzioni adottate nel debutto Cynic, ora rielaborate secondo un preciso volere personale.Kosmo è pure un’opera multiforme e come tale non si accontenta di mostrare una sola sfaccettatura di sé: è innegabile un certo richiamo estremo a fare da collante alle partiture ritmiche, che tanto sanno di speed-thrash e tanto devono al sound partorito anzitempo dagli Slayer. Con leggero margine di rischio, ma lo dicono i fatti, premiati per questo coraggio, i nostri mescolano alle fondamenta di partenza ora una natura industrial dalla tinte forti ora uno space mood sognante, prospiciente la distesa universale che sembra stagliarsi agli occhi dell’ascoltatore.
Se da un lato questo aspetto comporta un riavvicinamento a quelli che furono i primi Voivod ed al loro peculiare modo di fondere una natura hardcore a velleità che sanno di apocalisse cibernetica, le diramazioni che l’album acquista in più frangenti od intere porzioni di pezzo sanno di tribale ed ancestrale, un po’ come accadde per i Sadist di Tribe. Non è un caso infatti che dietro alla produzione del neonato ci sia Tommy Talamanca (Sadist, Morgana) e che una buona fetta della riuscita del puzzle si debba all’ottimo lavoro svolto in sede di rifinitura ai Nadir Studios.
Il risultato è un’opera composita, equilibrata nel mostrare e portare a realizzazione le numerose ambizioni insite in essa, pressoché priva di cali di intensità. Strumentalmente parlando ci troviamo di fronte ad un disco maturo poiché maturo è l’approccio che i Will'o'Wisp adottano per darne una direzione ben definita: chitarre corpose ed aggressive, dal feeling allucinogeno, una batteria duttile e creativa che spicca per intensità tanto da esaltare dal più banale filler alla sfuriata più intensa di doppio pedale, l’ossequioso e minuzioso apporto del basso che si dimostra più che semplice parentesi di contorno, vocals sostenute e decisamente taglienti e a chiudere l’onnipresente contributo di Oinos alle tastiere, le cui sezioni beneficiano all’occorrenza di effetti ad hoc a rendere l’atmosfera ora tesa e gelida, vedasi a tal proposito la seconda parte di Going Back (My Samsara), ora robotica, sull’eclissarsi della title-track. Parlare nel dettaglio di ogni pezzo vorrebbe dire privarsi delle genuine impressioni che solo l’esperienza concreta può veicolare, questo perché il prodotto si dimostra costantemente fluido e scorrevole. A voler fare i pignoli, è il caso di rimarcare alcune scelte di stile del tutto singolari: l’utilizzo del sitar, che sin dall’intro balena ai nostri timpani per poi ripetersi in Om Mani Pad Me Hum e successivamente nella digressione elettronica di Bardo Thodol; la presenza sul calare di Sutratma-Buddhi di una controparte femminile dagli esiti vocali lirici e sinfonici, a spezzare la gravosità del cantato di Deimos accorre la guest Maethelyiah (Blooding Mask, The Danse Society) e lo fa su un tessuto ritmico dissonante, di Meshuggha-iana ed Obzen-iana memoria.
Ci sono voluti ben quattordici lunghissimi anni ed è sin dal lontano 2008 che questo Kosmo era in gestazione, al seguito di varie vicissitudini che ci portano ora ad ammirare la creatura nella sua forma più completa. Un calcio al cerchio, o per meglio dire al circolo vizioso che aveva riportato la band al punto di origine, ed uno ben più forte alla botte, cha racchiude mai come in questo momento la carriera di un act italiano di rinnovato spessore, il cui più grande e prossimo ostacolo è forse quello di dover bissare sé stesso. Un concept dal sapore orientale, ben adeso alla matrice musicale sulla quale poggia, un solido e possente incontro di ragionata brutalità death ed acuta sperimentazione dalla vena industriale pervaso da un clima di generale asfissia e mutevolezza. Dalle viscere più innominabili ai remoti anfratti stellari. Ma Kosmo è una supernova.
Welcome back!
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Io li ho conosciuti con 'Inusto' e devo ammettere che ultimamente pochi gruppi sono stati così "sorprendenti" per perizia tecnica e compositiva. W l'Italia  |
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Freedom@Si,ci può stare,Filippo è stato drummer dei Sadist,poi sunando anche chitarra,tastiere ecc.il sound ne può risentire,lo ricordo con quella strepitosa band che erano i Thy Nature,circa nel 1995,faceva cose strepitose,ed ora idem con questo gran gruppo. |
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vai d.r.i.! @freedom: ho capito quello che intendi, considera anche che il batterista ha suonato con i sadist, quindi alla fine si parla di influenze che ci possono.stare, ecco. poi come già detto queste atmosfere non fanno più parte del.sadist sound diciamo. tutto qui |
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Azz, me li sono persi! Visti i commenti e chi li fa meritano un ascolto!!! |
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Andy '71: No figurati, grazie per la precisazione. Volevo proprio dire che forse il gruppo in questione si ispira un po' troppo ai Sadist, senza nulla togliere alla bravura dei musicisti coinvolti. |
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Freedom@Scusa se mi intrometto,primo demo 1991,"Above the Light! 1993!Ciao! |
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Er Trucido: Scusa il ritardo nella risposta...ma il primo dei Sadist non è del '93? |
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Disco strepitoso,almeno da 90,per me! |
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@freedom: se è per questo c'erano pure loro dato che il primo demo è del 1994 e son pure loro di Genova. Insomma come dire che i Dismember non servono perchè ci sono gli Entombed Scherzi a parte, io sinceramente le atmosfere che ci sono in questo disco secondo me non appartengono più ai Sadist da tempo (più o meno da Tribe) reputarlo poco originale per me è un errore, ma almeno hai provato ad ascoltarlo |
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Tutto fatto molto bene, ben suonato e ottimamente prodotto, ma non c'erano già i Sadist a fare questo genere? Senza offesa, ma lo reputo un lavoro poco originale. |
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Ho avuto l'onore di collaborare con questi meravigliosi musicisti come ospite nella traccia Sumatra-Buddhi. Posso testimoniare che il disco e' bellissimo, di ottima manifattura, curato nei minimi dettagli. Hanno un talento innegabile e sono anche persone estremamente piacevoli, nonche' la squadra ideale con cui lavorare. Insomma, ottimo disco, ottimi musicisti. Che volete di piu'? gustatevelo saluti inglesi xx |
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Un discone. Chiaramente non per chi ascolta cose standard, ma a mio avviso questa band porta veramente il concetto di prog nel death!!! Interessantissimi. Grandi! |
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4
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alla fine l'ho comprato l'altra sera, disco enorme a mio parere con bellissime atmosfere. Come è ormai abitudine abbiamo un'abbondante promozione di un gruppo italiano e 4 commenti in croce. Questo si che è supporto! |
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Devo ancora sentirlo, ma sono fiducioso, zena rules  |
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Sono rimasto a bocca aperta quando l'ho ascoltato la prima volta! Un disco fantastico! Questo è il Technical Death (si si c'è anche del prog...) che mi piace. Tecnica, ma "core"....E qui si sente. Bellissimo. Sarà che, senza offesa per nessuno, le derive tech alla Obscura, Spawn of Possessione compagnia bella cominciano a farmi sbadigliare. Spero ardentemente che non scompaiano nuovamente |
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1
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Ottimo lavoro, Edoardo! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Mrtyu (Instrumental) 2. Five Colours 3. Six Forms Of Existence 4. Persecutions 5. Choose My Matrix 6. Going Back (My Samsara) Part 1 (Mauna) Part 2 (Garuda) 7. Kosmo 8. Om Mani Pad Me Hum 9. A Place Of Rebirth 10. Bardo Thodol (Instrumental) 11. The Thoroughness Of Thought 12. Sumatra-Buddhi
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Line Up
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Deimos (Voce) Paolo Puppo (Chitarra) Jacopo Rossi (Basso) Oinos (Batteria/Keyboards)
Guest:
Maethelyiah (Voce su Sumatra-Buddhi)
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RECENSIONI |
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