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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Henning Pauly - Credit Where Credit Is Due
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( 2599 letture )
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Dopo le esperienze targate Chain e Frameshift, e il suo primo lavoro solista (“13 Days” del 2004), Henning Pauly fa il bis, sfornando un album tutto sommato godibile ma al più una volta solo. Un album sulla carta prog-rock, ma che purtroppo di prog ha pochino… o che in alternativa di semplice rock ha troppo. Ma è naturalmente una questione di gusti: come sempre capita in questi intrecci (o dichiarati tali) di generi, il giudizio dipende sempre da cosa ti aspetti dall’album, e non può che essere binario, al più con qualche riserva. Line-up minimale costituita da Juan Roos al microfono e da Pauly stesso in tutto il resto, dimostrandosi per questo dotato di intraprendenza e tecnica un po’ dovunque. Per quanto riguarda il comparto vocale, si ha davanti una voce che saltella su e giù nel prog e nel rock, adattandosi alla situazione ma non apparendo per nulla eccezionale. Buona, senza dubbio, ma priva di mordente in entrambi i casi, e che in alcuni tratti fatica troppo a raggiungere l’altezza desiderata, apparendo forzatamente ostentata. Per quanto riguarda il resto, da sottolineare una innegabile strizzatina d’occhio al nu (lampante nella seconda traccia “Cure the breach”), una batteria (elettronica e non) di una complessità e vivacità mediamente convincente, un utilizzo praticamente costante di inserti elettronici (in alcuni casi arriva ad assomigliare ad industrial metal o giù di lì), e una purtroppo piattissima chitarra (nel classico utilizzo nu, peraltro), quasi priva di assoli e fatta di accordi spalmati con l’intenzione d’essere heavy dall’ampli in su. Canzoni tutto sommato gradevoli qua e là, come le sfuriate nervose della prima traccia “Your mother is a trucker” o l’energetica “Scheisslautundhartwiedreck” (tra le migliori). Curioso l’utilizzo del banjo nella già accennata prima traccia e nella sesta, “Six”, a dare un retrogusto etnico all’heavy. Alcuni canzoni orecchiabili pop (soprattutto l’ottava “Radio sucks”), un paio di ballad tuttavia poco convincenti e prive di idee (“Three” e “Seven”). Alcune tracce addirittura simpatiche, come l’ultima “I like my video games” (“when I live into my realm I’m the spear of destiny, whore to 7 gigs of RAM, a half-life citizen I am”… grande) o come “Halo” (basata e ispirata sull’omonimo titolo Bungie). Infine una bonus track in tedesco che, qualsiasi cosa dica, sembra divertente e di sicuro sarebbe preferibile ad una puntata qualsiasi della Talpa. In definitiva, siamo di fronte ad un lavoro ben lontano dall’essere indimenticabile, magari gradevole ma troppo piatto per emergere dalla mischia. Troppe canzoni che passano inosservate, anche a causa delle chitarre, e che si scordano con facilità anche al secondo ascolto. Ma la mia valutazione è, come ripeto, di parte: in realtà, come sempre accade in questi casi, il gusto segue l’aspettativa, cioè dipende da quello che cercate in questo album. Per quanto riguarda i miei gusti, si classifica semplicemente come “niente di eccezionale”.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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01 - Your mother is a trucker 02 - Cure the Breach 03 - Three 04 - Scheisslautundhartwiedreck 05 - I don't wanna be rockstar 06 - Six 07 - Seven 08 - Radio Sucks 09 - Halo 10 - Copyright Conspiracy 11 - German Metalhead 12 - I like my video games
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Line Up
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Juan Roos (Vocals) Henning Pauly (All The Rest)
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RECENSIONI |
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