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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Head Of The Demon - Head Of The Demon
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( 2037 letture )
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Studiare il passato per meglio conferire un significato al presente. Potrebbe essere questa la massima del trio svedese degli Head Of The Demon, attenti esegeti delle preziosissime testimonianze di uso del tritono in ambito metal ad opera di quel genio assoluto di Tony Iommi, ma, in contemporanea, conoscitori sia della spiritualità insita negli scritti del Solitario di Providence (ineguagliata fonte d’ispirazione) sia delle caratteristiche precipue della scena estrema scandinava, di cui, in tempi e modalità differenti, hanno fatto parte, soprattutto nell’ambito del death melodico (il chitarrista e bassista Konstantin invece proviene dai seminali Kaamos, oramai defunti). Non è una rivoluzione copernicana quella presentata nell’album omonimo della band oggi esaminata, piuttosto, tenendo fede alle prime parole della recensione, un ritorno a sonorità che sembravano sommersi sotto pletoriche coltri di polveri, obliate, talmente antiche da sembrare anacronistiche, tuttavia perfettamente in grado di sostenere un album interessante, il quale, pur non possedendo un arsenale ampio, ha risorse a sufficienza per accendere la scintilla della curiosità. Head Of The Demon è un platter incentrato sulle linee di sei corde, ribassate di almeno un tono come da canone, contrappuntate con frequenza regolare da una discreta sezione ritmica, abbastanza potente da non soccombere dinnanzi alla preponderanza delle parti di chitarre, un calco preciso delle atmosfere sulfuree costruite dal quartetto inglese capitanato dal Madman. Prima che vi siano incomprensioni, è bene mettere in risalto il talento compositivo dei tre musicisti: benché la base di partenza sia oltremodo visibile e, di conseguenza, scattino nella mente dell’appassionato un certo numero di considerazioni, il lavoro di arrangiamento è quantomeno impressionante, tanto quanto la certosina attenzione in fase di missaggio. Certo il rischio di trasformare un’opera dai molteplici piani di lettura in un tentativo maldestro di emulare antichi fasti è piuttosto tangibile, non avendo un’architettura fortemente ispirata alla fiamma nera atta ad assorbire eventuali contraddizioni o deficienze; nonostante ciò, l’aver preferito una produzione riverberata, tagliente, fumosa, però priva di forzature, restituisce i risultati di quest’ultimo sforzo potenziandone l’orizzonte emotivo suscitato dall’ascolto delle prime tracce del disco. Meno immediato è il comprendere i motivi che sottendono la decisione di appaltare la spina dorsale del plot ad un solo strumento, relegando anche la voce ad un ruolo subalterno; pochi sono, in generale, gli interventi del cantante, perennemente votato ad uno stile graffiato che poco condivide con l’acidità del tono black metal. Uno dei pilastri di Head Of The Demon è la sua natura scostante, perversa, umbratile, sensazioni che solo uno strumento manipolabile come la chitarra è adatto a richiamare tra gli archetipi primordiali umani, prima ipotesi. In secondo luogo avere un punto di riferimento al quale ancorare i movimenti del resto della strumentazione è un tratto fondamentale quando, in sede di composizione, si abbia l’intenzione di sfruttare la disorientante carica della psichedelia, più facilmente assimilabile se dotata di alcuni sostegni, permettendo all’ascoltatore di non soffrire della sindrome da “bad trip”, scoprendosi continuamente sballottato, confuso, disorientato, incapace di intravedere il termine del suo viaggio, smarrendo nel contempo le stesse prerogative per le quali il periplo era stato intrapreso (non tutti amano essere obbligati a ballare i passi insensati di Azathoth, il dio idiota e cieco che gorgoglia e bestemmia al centro dell’universo). Per evitare una simile disavventura, viene in aiuto l’ossessiva ripetizione, variata nelle piccole sfumature, delle progressioni di accordi portanti, raddoppiate sovente dal basso, spalla necessaria ad un dipanarsi scorrevole dei riff scarnificati. In questo contesto, la batteria si limita a fornire un accompagnamento non invadente, enfatizzando passaggi, ponendo accenti con magistrale buonsenso, palesando le qualità tecniche dell’uomo dietro le pelli: pronto a salire di livello ove richiesto, veloce a restare nell’ombra quando la minimalità è necessaria, evidenziando la stessa versatilità che distingue un batterista medio da colui il quale imprime, pur non essendone direttamente prim’attore, il proprio marchio indiscutibile su un’uscita. Proseguendo l’analisi, intelligentemente concepito è l’uso dei tom, impiegati non solo nelle vesti di alternativa allo snare, ma anche come unici protagonisti della sezione, in binomio con crash o hi-hat. Se la conoscenza di buona parte del ciclo di racconti di Lovecraft agevola la lettura del disco, essa non è una pregiudiziale: ovviamente essere avvezzi allo straniamento vissuto dai personaggi inventati da Howard permette fin dall’inizio di attribuire significato all’andamento claudicante dell’opera, ai suoi passaggi avvolti in un’oscurità appartenente ad universi lontani millenni dal nostro (per citare uno dei topos preferiti dallo scrittore americano), però i brani non dimostrano una complessità tematica (od un interesse rigorosamente riversato solo all’evocazione di paesaggi abitati dalle grottesche figure dei Grandi Antichi) tale da dissuadere chi di Nyarlathotep o di Cthulhu non abbia mai sentito parlare. Ciò è rilevante nell’ottica dell’incontro causale con Head Of The Demon, in quel periodo in cui la prima impressione, l’istantanea inconscia scattata alla musica dei tre di Stoccolma, ha buon gioco nei confronti della razionalità. Fifth House Of The Mausoleum o The Lie In Wait-Riding The Waste spalancano i loro polverosi cancelli, dando all’ascoltatore il permesso per scrutare negli abissi turbinosi ben prima che questi si accorga o formi un’idea consapevole della derivazione lovecraftiana dei temi trattati dagli episodi, ponendo in primo piano piuttosto la pesantezza pachidermica e paralizzante del doom di qualità, venato da flebili correnti di suadenti melodie armonizzate su scale dallo spiccato sapore orientale, allacciando un collegamento con l’essenza dispotica degli Antichi, principi di un regno le cui forme richiamano le orride e sanguinarie divinità babilonesi.
Terminando, Head Of The Demon ha in sé quella scintilla che alberga solo negli album baciati dal dono della conservazione nel tempo, essendo un’opera concettualmente classica, fedele suddita di stilemi riconoscibili dalla maggioranza degli appassionati in possesso di una cultura musicale media, a cui, tuttavia, hanno elargito vita nuova, oppure, attraverso un processo amato da Lovecraft, hanno semplicemente permesso di destarsi da un sonno durato eoni.
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3
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Stuzzicante... grazie Jacopo, lo ascolterò |
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2
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Vabbè, Jacopo è una garanzia, e visti i toni della recensione questa sera lo ascolterò senza indugio!  |
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1
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Beh, complimenti per la recensione! Non hai idea di quanto tu mi abbia invogliato ad ascoltare questo lavoro. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. By Titan Hand 2. They Lie In Wait - Riding The Waste 3. Phantasmagoria 4. The Man From Foreign Land 5. The Key 6. Fifth House Of The Mausoleum 7. Wraith From The Unknown (Bonus Track)
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Line Up
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Saibot (voce) Konstantin (chitarre,basso) Thomas (batteria, percussioni)
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