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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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( 2436 letture )
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E’ dal 2004 che i belgi Maudlin non danno cenno di voler arrestare il loro iter di ricerca avanguardistica e di multi espessione nell’ambito dello psychedelic rock e dello sludge: il nuovo, atteso lavoro, A Sign of Time, sembra confermare questa impressione, a partire dal significato intrinseco al titolo scelto per il loro secondo album. I Maudlin si pongono, a livello di sonorità, in un limbo capace di racchiudere tutte le principali fonti d’ispirazione del sestetto: Kyuss, Neurosis; Acid Bath, High on Fire, ma anche Kylesa, Mastodon, Red Fang. L’approccio a questa matassa ispirativa è sempre stato portato avanti dalla band in maniera personale, intelligente e decisamente orientata verso un complicato ma efficace incastro tra riff violenti e melodia, tra mid tempo e arpeggi trasognati. Questo approccio deriva certamente dalla loro prima prova, ovvero Ionesco, targato 2008 e interamente basato sulla storia di un caso di lobotomia avvenuto nel 1940; sullo stesso tema principale si pone anche A Sign of Time, all’interno del quale il paziente di Ionesco, ormai prossimo alla morte, ripercorre tutta la sua vita attraverso i ricordi dei luoghi in cui ha vissuto e delle persone che ha conosciuto.
Un lungo e intenso viaggio che la band riesce a interpretare musicalmente in maniera molto forte e nel contempo delicata, seguendo la lezione di Ligeti: le sonorità devono necessariamente andare di pari passo con la potenza espressiva delle immagini e del contenuto della storia che si intende spiegare. Nei nove brani che compongono A Sign of Time non è quindi difficile rintracciare atmosfere allucinate, certamente vicine ai primi lavori dei Pink Floyd dell’era Syd Barrett, verso i quali i Maudlin nutrono rispetto e profonda ammirazione. A conferma di questo abbiamo la opening track, la struggente Hours, che ci conduce attraverso melodie tenui, supportate da un cantato sussurrato, in una dimensione altra, dove, tuttavia, la seconda traccia (She Whispers Treason) irrompe con una scarica di mid tempo claustofobici e violenti, tipici del genere doom, dando bella mostra dell’esperienza e della capacità dei chitarristi Jasper Bullynck e Kris Vannecke e dell’ottimo bassista Yannick Dumarey, che apre in maniera solenne il pezzo. A farsi varco tra melodie e parti furiose c’è l’estroversa voce di Davy De Schrooder, in grado di arricchire i brani senza sembrare mai eccessiva o ridondante: pezzi come Lilith o A Perfect Sky of Black mostrano senza dubbio una certa, innegabile vicinanza ai Type O’ Negative, ma il suono della band dimostra di sapersi liberare dalle catene dei maestri per correre incontro alla psichedelia più genuina (Goddess of the Flame e Chasing Shades ne sono un confortante esempio). A mio avviso, l’unico brano debole risulta essere Turn to Seconds, a tratti troppo macchinoso.
In conclusione, un album come A Sign of Time riesce non solo ad emozionare, ma anche a fornire continua ispirazione.
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Ma come fa a essere "a tratti troppo macchinoso" un pezzo che dura 35 second? |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Hours 2. She Whispers Treason 3. Lilith 4. A Perfect Sky of Black 5. Become Minutes 6. Ride the Second Wave 7. Goddess of the Flame 8. Chasing Shades 9. Turn to Seconds
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Line Up
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Jasper Bullynck (chitarra e voce) Kris Vannecke (chitarra e voce) Yannick Dumarey (basso) Davy Vandenbroecke (batteria) Davy De Schrooder (voce e samples)
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RECENSIONI |
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