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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Ram-Page - The Depths of Rage
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( 2021 letture )
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Per parlare dei Ram-Page dobbiamo spostarci nella fredda Russia, patria di questo quartetto formato nell’estate del 2010 dai fratelli Privalov, Vlad e Sergey, rispettivamente voce e chitarra e fautori delle scelte di Dmitriy Dolgov al basso e Kiril Kasatkin dietro le pelli; la caratteristica principale della band consiste in una miscela omogenea di elementi black e death su una base prettamente thrashy old school, come si può evincere già dal primo ascolto. In questi primi anni di carriera, i Ram-Page non hanno perso tempo tra una pubblicazione e l’altra cominciando dall’esordio The Keeper of Time del 2011, sino all’approdo all’attuale etichetta discografica ucraina Metal Scrap Records; sotto di essa è stato pubblicato il secondo disco Blooming Rust nel 2012 e il qui trattato The Depths of Rage. Nell’apprestarci all’ascolto di questo terzo disco della loro breve e prolifica discografia, ci si può attendere le classiche strutture di un thrash metal old school con qualche personalizzazione che, se sfruttata a dovere, potrebbe rendere lo stile della band decisamente caratteristico e di conseguenza renderli una realtà molto più interessante rispetto alle numerosissime band emulative sparse nel mondo.
Laceration apre le danze con un riff tipicamente heavy che rende subito evidente l’impronta acida dettata dalle scelte di produzione. Il suono della chitarra è sicuramente caratteristico, ma causa immediatamente la sensazione che, a lungo andare, potrebbe rendere l’ascolto quasi fastidioso; stesso discorso per il growl sfoggiato da Vlad Privalov, il quale tenta invano di rendere più aggressivo il sound della band con delle vocals grezzissime ma fortemente traballanti. Col prosieguo dei brani, l’impressione iniziale viene confermata più volte: la debolezza delle parti cantate risulta sempre più evidente, complice anche lo scarso apporto concesso dalla produzione. Brani come Show e Night dimostrano delle interessanti idee di fondo che, purtroppo, non vengono sfruttate a dovere per i dettagli negativi già trattati sopra; al contrario, pezzi come The Past e Way risultano completamente incolori anche dopo numerosi ascolti. Questa sensazione di delusione derivata dall’ascolto del disco viene ulteriormente incrementata quando si arriva a Fog, l’unico pezzo veramente valido del lotto in grado di unire una furia ceca a un gusto strumentale davvero sopra le righe: il basso di Dmitriy e la chitarra effettata di Sergey conversano su un calzante arpeggio introduttivo e la voce di Vlad riesce finalmente a farsi sentire in modo più convincente. L’impressione del brano - che riesce anche a catturare l’attenzione dell’ascoltatore come nessun altra canzone del lotto - è molto positiva: più di una volta ci si può domandare per quale motivo il combo russo non abbia messo in mostra tali potenzialità negli altri pezzi, gettandosi a capofitto in un piattume sonoro dagli elevati bpm. Quando Fog finisce, è quasi un peccato tornare alla realtà con i brani conclusivi che rispolverano il sound piatto e inconcludente di questo disco. La sensazione di fondo è che, se i quattro russi si fossero giocati meglio le carte a disposizione, avrebbero potuto raggiungere un livello ben più interessante e meritevole.
Tirando le somme, il disco non ha una qualità e una personalità tale da permettere l’assegnazione di una valutazione sufficiente. La scelta di produzione rende il sound delle chitarre estremamente acido e un po’ spiazzante per i primi ascolti, seppur esso non sia l’elemento determinante nell’insufficienza generale. Il fattore predisponente alla bocciatura del disco è principalmente rivolto a un songwriting poco ispirato e molto omogeneo: i riffs si ripetono, la voce è cattiva, crudele e furiosa, ma estremamente piatta nella sua performance e a tratti completamente fuori luogo; il fatto di venire poi relegata quasi in secondo piano dalla produzione, non aiuta la prestazione poco incisiva. Inoltre, pur procedendo nella riproduzione con numerosi ascolti dedicati, la quasi totalità dei brani non riesce a trasmettere una presa importante sull’ascoltatore. L’unico barlume di luce in questo contesto è dato dalla buona Fog che, tuttavia, non è nemmeno lontanamente sufficiente per bilanciare il resto della registrazione; per di più, le piacevoli linee soliste di Sergey sono troppo rade per farsi ricordare. Di relativamente positivo, oltre a una copertina più black e death che thrash, rimane l’apprezzabile tentativo di personalizzare il proprio sound a scapito di una sicurezza dettata dal classico sound old school. Probabilmente un momento di pausa riflessiva più lungo prima della pubblicazione del quarto album potrebbe dare ai Ram-Page il tempo di preparare del materiale più elaborato e soddisfacente. Rimandati al prossimo appello.
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Concordo su tutta la recensione ( e davvero bella recensione). Non ho ascoltato i due precedenti dischi della band, ma questo è veramente piatto... la prima song non è così male, ma il resto è troppo noioso da digerire... 50 è il voto giusto. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Laceration 2. Alert Dead 3. Show 4. The Past 5. Way 6. Night 7. Wind 8. Elevation 9. The Darkness 10. Fog 11. Ghost 12. Song of Night
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Line Up
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Vlad Privalov (Voce) Sergey Privalov (Chitarra) Dmitriy Dolgov (Basso) Kiril Kasatkin (Batteria)
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RECENSIONI |
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