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Broken Hope - Omen of Disease
( 3514 letture )
Dopo una decina d’anni di assenza dalle scene, e la speranza della reunion affossata quasi totalmente dalla morte del singer Joe Ptacek nel 2010, i Broken Hope, rinnovata la line-up originale, che mantiene ora solo il fondatore Jeremy Wagner ed il bassista Shaun Glass, ritornano inaspettatamente all’attacco con un nuovo album, che si presenta con il titolo di Omen of Disease ed una copertina dal classico gusto macabro e quasi surrealista già tracciato con l’artwork del loro capolavoro Loathing. Questo disco rappresenta non solo il ritorno di una delle band più interessanti della scena brutal death americana, ma anche un tentativo di riscatto dal poco considerato Grotesque Blessing, dal quale sono passati ormai 14 anni.

A fronte di tale proposito, la nuova formazione di Wagner e soci si è messa all’opera per sintetizzare l’esperienza passata dei Broken Hope e del death metal brutale e putrescente che la band sviluppò negli anni, abbandonando forse in parte le ambizioni più tecniche di Loathing ed optando per uno svecchiamento del songwriting diretto e pesante dei loro album migliori, attraverso un approccio più moderno, sebbene strettamente legato alle radici del gruppo, nonché ad una produzione più pulita e chiara. L’accoppiata chitarristica delinea riff carichi di groove ed impatto senza perdere di linearità, e semplificando le strutture dei pezzi rispetto a Loathing, ancora una volta termine di paragone per questo Omen of Disease. E’ stata decisamente ampliata la sezione solistica, a fronte dell’ingresso del nuovo chitarrista Chuck Wepfer, che propone lead ben studiati, non privi di una componente melodica (già riscontabile nello scheletro ritmico dei pezzi), e che mostrano una preparazione tecnica veramente eccellente. La sezione ritmica di basso e batteria propone stilemi conformi alla componente old school del gruppo, non solo forgiando un suono robusto e poderoso, ma soprattutto costruendo patterns diretti, d’impatto e decisamente efficaci. Una menzione particolare deve necessariamente essere fatta circa il vocalist, che ha assunto l’onere e l’onore di sostituire Ptacek, e che in fondo non ha nemmeno bisogno di presentazioni: trattasi di Tom Leski, ben oliata gola dei Gorgasm, che sfoggia una prestazione assolutamente all’altezza, ma con una timbrica molto più gutturale e grassa rispetto alla voce solforosa del cantato originale del gruppo, forse più adatto, in fin dei conti, ai suoi Broken Hope.

I dodici pezzi proposti dal quintetto dell’Illinois seguono senza troppe sorprese i caratteri della mia disamina; alcuni riprendono più intensamente le radici sonore dei primi Broken Hope, con forti riferimenti alla scena brutal death americana degli anni ’90, con rimandi ai riff articolati e contorti dei Suffocation, quelli intensi e corposi dei Pyrexia o quelli più rotondi e diretti dei Cannibal Corpse, adeguatamente filtrati dall’evidente influenza da parte di gruppi dell’ondata estrema successiva, quali in primis i Dying Fetus, che più di tutti avevano incorporato i groove che gli stessi Broken Hope avevano delineato con i loro primi lavori, e che ora si trovano riproposti e rispolverati in pezzi come l’opener Womb of Horrors, che gioca su un incededere cadenzato e pesante assolutamente irresistibile. Più vicino ai suoni moderni di gruppi come gli Aborted è invece l’ottima The Flesh Mechanic, che consta di riff più tecnici ed articolati, dietro ai quali si costruisce anche uno scheletro melodico più intellegibile, sebbene distante, fortunatamente, dall’orecchiabilità o dalla banalità, ma ben sviluppato, per esempio, nel discorso solistico e nei riff portanti. Innegabile è certamente anche l’influenza più marcia ed opprimente proveniente da gruppi brutal death metal più oscuri e malsani, come gli stessi Gorgasm di Leski, che rivivono decisamente nelle sue vocals gutturali e disumane, o i primi Deeds of Flesh; il tutto, però, senza che l’essenza centrale del suono dei Broken Hope sia messa in secondo piano: i pezzi mantengono tutti un taglio diretto, riff pieni e carichi di groove ben bilanciati tra ritmo e velocità, grazie all’interpretazione del batterista Mike Miczek vicina ai canoni più riconoscibili del genere, senza risultare scontata, ma assolutamente adatta al martellamento delle tempie. Ne è riprova la breve ed intensa The Docking Dead, che rappresenta uno degli episodi più ricchi di variazioni ritmiche, tra blast, cassa e frequenti fill che si modellano sulle chitarre. In generale, lo standard tempistico del disco non è troppo elevato per un album brutal death; a ciò si aggiungono azzeccati breakdown che irrompono crudi e compatti nella composizione. La brevità del disco, nonché di ogni singolo pezzo, allontana il rischio di filler che aleggia spesso sui lavori recenti, ma il discorso di ogni traccia si esaurisce nel giusto mezzo, benché è abbastanza considerevole la sensazione che certe canzoni siano meglio riuscite di altre, invece più anonime.

Il ritorno dei Broken Hope segna la rinascita di un gruppo death metal a lungo passato quasi in sordina e che potrebbe, come mi auguro, ritrovare la giusta visibilità con questo intenso come-back; come si potrà evincere da quanto ho scritto, non si tratta propriamente di un lavoro eccezionale rispetto alla carriera dei Broken Hope, ma è di per sé molto solido, ottimamente suonato e ben prodotto, caratteristica che permette l’apprezzabilità dell’intero arsenale strumentale della band. Pezzi ispirati e trascinanti non mancano, tanto è vero che anche dopo diversi ascolti, Omen of Disease si riconferma molto apprezzabile. La speranza, questa volta non più "rotta", è che continuino da questo dignitosissimo punto di ripresa.



VOTO RECENSORE
76
VOTO LETTORI
75.33 su 3 voti [ VOTA]
azaghtoth84
Sabato 27 Aprile 2024, 16.42.43
7
Sarebbe bello una rece di mutilation and assimilation, un disco almeno da 80 in su!!!! Non c\' è una traccia che annoia, anzi si viene rapiti da quel disco!!!
Andrea
Lunedì 10 Marzo 2014, 16.03.31
6
Bella mazzata di classico Brutal ignorante all' americana.
satanasso
Lunedì 11 Novembre 2013, 10.09.21
5
...considerando le vicissitudini e il tempo passato non mi pare un fatto clamoroso che la band suoni diversa dai lavori precedenti... il disco non è certo un capolavoro, ma i dischi brutti sono ben altri...
Blackout
Lunedì 11 Novembre 2013, 0.01.54
4
Sì, concordo con Undercover. I Broken Hope erano tutt'altra cosa, sembra appunto un'altra band.
Kriegsphilosophie
Domenica 10 Novembre 2013, 19.54.49
3
Buonissimo rientro in scena secondo me. Non un capolavoro, non un disco spettacolare, ma lo trovo molto piacevole. Penso possa essere un buon punto di ripartenza, staremo a vedere che faranno più avanti.
Undercover
Domenica 10 Novembre 2013, 16.28.40
2
Brutto, decisamente brutto, non sono i Broken Hope, sembrano un'altra band... onestamente è una delusione.
MrFreddy
Domenica 10 Novembre 2013, 13.53.09
1
Recensione molto buona con cui mi ritrovo totalmente. Un buon ritorno, in linea con quanto fatto in passato dalla band. Per me è sempre un piacere sentire Tom dietro al microfono.
INFORMAZIONI
2013
Century Media Records
Brutal
Tracklist
1. Septic Premonitions
2. Womb of Horrors
3. Ghastly
4. The Flesh Mechanic
5. Rendered Into Lard
6. Omen of Disease
7. The Docking Dead
8. Give Me the Bottom Half
9. Predacious Poltergeist
10. Blood Gullet
11. Carnage Genesis
12. Chocked Out and Castrated
13. Incinerated
Line Up
Damian "Tom" Leski (Voce)
Jeremy Wagner (Chitarra ritmica)
Chuck Wepfer (Chitarra solista)
Shaun Glass (Basso)
Mike Miczek (Batteria)
 
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