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11/05/24
RISE FROM THE GRAVE FESTIVAL
CAMPUS INDUSTRY, LARGO FRANCESCO ANTONIO SIMONINI 1 + PARMA

11/05/24
GENUS ORDINIS DEI
CRAZY BULL - GENOVA

BRUTAL ASSAULT - Day 2 - Josefov, Repubblica Ceca, 09/08/2018
28/08/2018 (1090 letture)
DAY 2

BROKEN HOPE
Ritorno a Jaromer per la band death metal di Chicago: nonostante sia l’orario di pranzo, con tanto di sole a picco, una schiera nutrita di fan accorre per supportare la band di Jeremy Wagner, che da ormai diversi anni vede Damian Leski dei Gorgasm nelle vesti di cantante, con l’onore e l’onere di sostituire il compianto ed iconico Joe Ptacek. Nonostante il set duri una quarantina di minuti, non manca una ricca selezione di classici che si aggiunge al nuovo materiale, che definirei discreto (sebbene non altrettanto riconoscibile), con groove da US death metal e parti grind in egual misura, circa. Suoni (specialmente quelli di chitarra) ed esecuzione sono molto buoni, anche se ammetto di aver trovato la prestazione batteristica un po’ sottotono, quasi legnosa, rispetto al livello complessivo degli altri strumentisti. Leski è certamente un ottimo frontman, sebbene si possa passare ore a disquisire sul fatto che il suo stile vocale sia estremamente differente, alla fine, rispetto a quello del suo predecessore – cosa ovviamente non imputabile alla sua prestazione. - Nicko

EXHORDER
Uno dei tour thrash più attesi della stagione di festival del 2018 è certamente quella degli Exhorder, da New Orleans, noti ai più per aver pionierizzato quel tipo di thrash pesante e carico di groove che fece il successo dei vicini di casa Pantera (affermazione discussa e discutibile, nonostante le evidenti somiglianze, a partire già dallo stile vocale). Sopravvivono della line-up originale soltanto il cantante Kyle e il chitarrista Vinnie, fortunatamente i più “delicati” quando si tratta di non snaturare una band. Altri due membri sono invece presi in prestito dalla più celebre formazione thrash statunitense Heathen. Data l’esigua produzione discografica del gruppo, con due soli full-length (considerati dei classici del genere) ad inizio anni ’90, Slaughter In The Vatican e The Key, è abbastanza chiaro che gli estimatori degli Exhorder saranno soddisfatti dalla scelta della setlist. D’altra parte l’esecuzione è estremamente intensa, e scatena un movimento incessante davanti al palco durante tutta la durata dell’esibizione – non ai livelli dei Demolition Hammer l’anno precedente, che chiamo in causa per un minimo di accostabilità stilistica, certo, ma comunque molto soddisfacente per un nome essenzialmente relegato al passato. Sezione ritmica precisa, un’ottima forma vocale, ed è reso onore ai classici del gruppo. La più cupa (Cadence of) The Dirge è dedicata ai recentemente scomparsi Ralph Santolla e Bret Hoffman, ed è tra i pezzi più emozionanti di un set che per il resto si dimostra prettamente aggressivo, sempre sull’offensiva e certamente molto intenso. - Nicko

SETLIST EXHORDER
Death in Vain
Homicide
Unforgiven
Legions of Death
The Law
(Cadence of) The Dirge
Slaughter in the Vatican
Desecrator


MUNICIPAL WASTE
Il sole oggi picchia particolarmente forte e ogni tanto un automezzo passa a bagnarci le teste, scaricandoci addosso un po’ di acqua nebulizzata. Questo refrigerio sarà particolarmente utile dopo l’esibizione dei Municipal Waste, che si renderanno protagonisti di uno show veramente fisico e con una partecipazione molto sentita da parte di tutto il pubblico. A testimonianza dell’estremo caldo, ci sarà addirittura chi si lancerà nel mosh completamente nudo (guadagnandosi tanto di complimenti sarcastici da parte del frontman Tony Foresta, che lo nota proprio tra le prime fila). Per quanto non mi ritenga un’accanita fan della band, ero molto incuriosita di vederli per la prima volta dal vivo e devo ammettere che il loro crossover thrash mi ha trascinata moltissimo, oltre ogni mia aspettativa: era praticamente impossibile non buttarsi nella mischia per spintonarsi, anche se il momento sicuramente più geniale di tutto lo show è stato quando ad un certo punto, su incitazione dello stesso Foresta, la classica wall of death è stata sbeffeggiata per far spazio a quello che la band ha ribattezzato “the sea of death”. Durante Slime & Punishment, tratta dall’omonimo ultimo disco, assisto infatti divertita ad un lavoro corale di crowd surfing, in cui chiunque prende il proprio vicino e lo solleva per farlo nuotare sulle teste di tutti gli altri. È stato difficile rifiutare l’offerta (solo perché indossavo un vestito e ci sarebbero state conseguenze un po’ infelici durante il sollevamento…), ma dovete credermi quando vi dico che è stato sensazionale assistere ad uno spettacolo simile e che la tentazione irrefrenabile di buttarcisi in mezzo sarebbe venuta sicuramente anche a voi.
Il set sarà piuttosto old school, con molti pezzi tratti da Hazardous Mutation (come l’emblematica Terror Shark) e The Art of Partying: è proprio Born to Party a essere posta a sigillo del concerto, una perfetta conclusione che ci regala un’ultima scarica di adrenalina: “Municipal Waste is gonna fuck you up!!!
Indimenticabili. - Selenia

SETLIST MUNICIPAL WASTE
Breathe Grease
Mind Eraser
You're Cut Off
Unleash the Bastards
Sadistic Magician
Bourbon Discipline
Beer Pressure
Thrashing's My Business... And Business Is Good
I Want to Kill the President
Black Ice
Poison the Preacher
Amateur Sketch
Slime & Punishment
The Thrashin' of the Christ
Terror Shark
Pre-Game
The Art of Partying
Born to Party


BLOOD INCANTATION
Tra le band più seguite del panorama death metal underground globale, gli statunitensi Blood Incantation si distinguono per uno stile inusuale, pezzi destrutturati, lunghe sezioni strumentali, un approccio spesso atmosferico ed evocativo (alla The Chasm) ma che non snatura un death metal radicato nell’eredità dei gruppi più tecnici e “particolari” degli anni ’90, quali Demilich, Gorguts e i Morbid Angel dell’era Tucker. Per via delle tematiche liriche e dello stile contorto, ricco di cambi di tempo, sezioni doom-oriented e assoli, vengono definiti la versione odierna degli effimeri Timeghoul, una band dall’esistenza tanto episodica da rendere questo paragone tanto astruso quanto incredibilmente calzante. La rapida crescita della band l’ha portata a calcare quest’anno i principali palchi del metal estremo in Europa, e certamente il traguardo è meritato se consideriamo la qualità dell’esibizione che il quartetto del Colorado mette in atto. La preparazione tecnica di ciascuno dei musicisti è certamente eccezionale, e si palesa su composizioni complesse, in cui il concetto di canzone lascia spazio ad un fluire continuo di momenti chitarristici e ritmici diversi, spesso contrastanti, tra crescendo e decrescendo. Gli si potrebbe imputare, come a molte altre band di questa sotto-scena meno intransigente e più sperimentale del revival old school death metal, di aver tralasciato l’aspetto puramente compositivo e strutturale (quello che rende memorizzabile un pezzo) in favore di un modo di scrivere musica più inusuale, che non significa certo meno semplice, e sensazionalistico. Resta il fatto che ogni momento musicale presentato si distingue per unicità, singolarità ed originalità, a prescindere dalla facilità con cui si incollerà alla mente dell’ascoltatore. Nello specifico, il lavoro dei chitarristi è veramente fuori dalla norma, e dai cliché del genere in primis, lasciando spessissimo spazio ad arpeggi, così come assoli e virtuosismi, lead bagnati da una dose rilevante di riverbero, momenti più cupi. Non c’è da stupirsi che l’esibizione riesca facilmente a mantenere l’attenzione degli astanti per tutta la durata del set, senza che la band si scomodi in presentazioni o qualsiasi altro genere di espediente scenico. - Nicko

SETLIST BLOOD INCANTATION
Starspawn
Chaoplasm
The Vth Tablet (Of Enûma Eliš)
Obfuscating the Linear Threshold
Vitrification of Blood (Part 1)
Hidden Species (Vitrification of Blood Part 2)


MORTIIS
Viriamo su toni decisamente diversi con l’ingresso di Mortiis: dopo averlo visto in versione industrial nel 2011 di spalla ai Combichrist, avevo molta attesa di vederlo finalmente in versione meno danzereccia e più trasognante. Sarà infatti Født til å herske, il debutto del 1994, protagonista assoluto del concerto e saranno i due “brani” in esso contenuti a riecheggiare nel tendone del Metalgate. L’area è colma di gente che si lascia rapire dalle note del suo sintetizzatore e che lo osserva con rispettosa fascinazione: chi conosce la prima produzione dell’ex-Emperor lo sa, i due pezzi scelti sono delle vere e proprie opere, dove l’assenza di una voce narrante non si percepisce poiché è l’articolarsi sempre più intricato del synth a condurci verso quel mondo tolkeniano che è fulcro dei paesaggi sonori del musicista. È facile dipingerlo nella nostra immaginazione, accompagnati da una base musicale così ben studiata. Mentre il coinvolgimento nei confronti di ciò che ascolto diventa quasi ipnotico, ammiro la concentrazione e la fluidità con cui Mortiis passa da un tema all’altro per narrarci il suo racconto, dal sapore antico ed oscuro, proprio come i titoli di Visjoner av en eldgammel fremtid e En mørk horisont dichiarano. Ogni tanto le rapidissime frazioni di secondo che servono al nostro folletto/troll per modellarsi su nuove sfumature di uno stesso brano vengono scambiate per momenti di pausa, durante i quali il pubblico si lancia in un applauso: prontamente accolto da Mortiis, l’applauso allo stesso tempo viene fermato con un cenno della mano, che chiarisce ai presenti che non è affatto giunta la fine, piuttosto si tratta di un brevissimo respiro che serve a proseguire il viaggio con gli altri “atti” del suo dungeon synth. Venticinque e ventisette sono i minuti necessari a ciascuno dei due estratti per esaurirsi, non siamo abituati a lunghezze del genere e forse alcuni potranno aver accusato una certa pesantezza, ma personalmente ho goduto a pieno di una performance così eterea e magica, in cui sono riuscita molto facilmente ad immergermi e da cui ne sono uscita letteralmente incantata. - Selenia

SETLIST MORTIIS
En mørk horisont
Visjoner av en eldgammel fremtid


PALLBEARER
Una delle rivelazioni del doom metal degli ultimi anni, tanto da essere già approdati presso un gigante come Nuclear Blast, il quartetto dell’Arkansas propone un’interpretazione diventata via via più eterea del filone attuale a cui appartengono assieme a varie altre valide band statunitensi quali Elder e Khemmis. Al riff classico del doom si accompagnia un drumming più aperto, che lascia ampio, se non ampissimo, respiro agli accordi profondi di uno dei chitarristi, mentre l’altro vi intesse arpeggi e lead che si appoggiano sulla struttura del pezzo. I Pallbearer riescono a riempirci le orecchie, nulla si può imputare al lavoro dei fonici su un palco che ho imparato, alla quarta edizione a cui partecipo, essere il più delicato in fatto di mixaggio live - rispetto almeno a quelli principali. Davvero emozionante la voce principale, che ha un registro piuttosto acuto (sebbene non in un senso “metal”, ma più solenne) ed è spesso doppiata e armonizzata dalle voci secondarie. Nonostante la lentezza e la pesantezza dei riff granitici, la maestria degli arrangiamenti alleggeriscono le canzoni dando loro questo aspetto più evocativo e astrale, nonché rendendo catartici i momenti solistici e quelli vocali. Complessivamente, viene lasciato uno spazio di quasi un’ora al gruppo, che ha quindi modo di percorrere una scaletta standard permettendo una completa immersione agli ascoltatori (prima molto numerosi, e poi via via andati a scemare, forse per la sovrapposizione con i Dying Fetus, già visti diverse volte). Sebbene la band si mantenga compassata sul palco, anche vedendoli suonare, pur in una coltre di nebbia, si percepisce la tensione che sussiste tra i quattro e che contribuisce a rendere questa esecuzione, coesa e appassionata, praticamente magica. - Nicko

LAMIA VOX
Ci spostiamo per la prima volta nel piccolo palco K.A.L., allestito al chiuso in un’area interna alla fortezza: con luci soffuse ed un’atmosfera molto chill out per la presenza di divanetti o materassi, qui ci si può sedere/sdraiare per assorbire al meglio le vibrazioni sintetiche e rituali dei concerti che si susseguiranno sullo stage. Per chi avesse voglia di immergersi nel cliché boemo, c’è anche la possibilità di accompagnare l’ascolto con dell’assenzio fornito dal bancone del bar posto all’ingresso. Il K.A.L. è un mini-mondo allestito proprio per accogliere sonorità più intime e da trip, come quelle che la russa Lamia Vox ci regala quando guadagna il centro della postazione, avvolta negli sbuffi dell’incenso e semi-illuminata dalla fioca luce delle candele. Catturati dal suo dark ambient ritualistico, seguiamo le basi eteree inasprirsi talvolta con un drumming elettronico più marziale e ritmato, che dà quella cadenza utile a spezzare un flusso più “sospeso” e metafisico. Il monicker si fa portavoce della dualità maligna ed allo stesso tempo seducente che è racchiusa nel mito femminile della lamia, ma l’ho trovato un parallelismo metaforico particolarmente azzeccato anche per descrivere la struttura musicale dei brani. La manipolazione delle valvole si alterna infatti a momenti in cui Lamia Vox si avvicina al microfono ed al suo leggìo per recitare quelli che sembrano quasi sussurri subliminali o incantesimi, che hanno la forza di intrigare, proprio come solo una creatura soprannaturale è in grado di fare. - Selenia
Un set davvero molto intenso.

GRAVE PLEASURES
Nati come Beastmilk e poi reincarnati con il monicker attuale (decisamente più evocativo ed efficace del precedente), i finlandesi Grave Pleasures restano fedeli al verbo post-punk e movimentano il palco Oriental con sonorità dal sapore ‘80s, facendo ballare un po’ tutto il folto pubblico. Sembrano delle vere rockstar nel muoversi e nel tenere il palco con estrema disinvoltura e di certo si deve dar loro il grande merito di condurre uno show molto intenso, che sarà in grado di far sentire partecipi delle loro cadenze decadenti anche chi si è posizionato più infondo. Molta parte del merito va a Mat "Kvohst", molto a suo agio nell’intrattenere il pubblico, un frontman carismatico e con una precisione vocale che sorprende soprattutto nelle note più alte. Oltre ad una grossa fetta di pezzi tratti dal loro ultimo Motherblood, che con la sua orecchiabilità pop ci distacca dall’approccio decisamente più dark e gothic rock delle esperienze precedenti, i Grave Pleasures offriranno anche un omaggio agli affezionati dei Beastmilk, dei quali verrà eseguita Genocidal Crush.
Purtroppo sarà proprio nel clou del concerto, quando si esauriscono le ultime note del brano, che, tra luci bianche, cori di partecipazione ed applausi, un problema tecnico sancirà la fine inaspettata ed improvvisa della loro performance: quasi in maniera beffarda il blackout oscurerà tutto il palco e non ci sarà più il modo di recuperare in quanto, come ci avvertono gli organizzatori, il guasto dipende da un più diffuso problema al livello comunale che è impossibile risolvere. Nel dispiacere di aver spezzato in maniera così brusca il pathos, Kvohst inizierà a cantare a squarciagola, al buio, mostrando una grande capacità di sdrammatizzazione e guadagnandosi ancora più stima da parte dei suoi fan, ai quali sarà data la possibilità di dimenticare l’inconveniente con il recupero dell’intera esibizione prevista per il giorno seguente. - Selenia

SETLIST GRAVE PLEASURES
Death Reflects Us
Laughing Abyss
Doomsday Rainbows
You Are Now Under Our Control
Haunted Afterlife
Genocidal Crush
Atomic Christ
Love In a Cold World
Deadenders
Joy Through Death


VOID OV VOICES
Lo abbiamo visto la sera prima con i Tormentor e adesso torniamo al palco K.A.L. per sintonizzarci sulle ammorbanti frequenze del suo progetto solista: Attila Csihar, una volta abbandonate le vesti precedenti, fa il suo ingresso con una tunica sacerdotale e inietta la sala di un rosso infernale. Impugnando il microfono usa la sua voce come strumento principale per distorcerla, sussurrare o per stratificare in sequenze di loop i suoi canti a metà tra il liturgico e lo sciamanico. In effetti la sua dark ambient è molto intrisa di pattern vocali diversi che a volte convogliano in una vera e propria litanìa. In qualche modo è affascinante vederlo concentrato e assorto sul suo altare fatto di synth, teschi e candele, mentre rende sempre più intricate e inquietanti le sue tele musicali, fino ad assumere quasi un tono sacrale nel condurre il suo rito.
Forse sulla lunga durata un po’ difficile da seguire con attenzione e coinvolgimento, ma è stata una piacevole occasione per vedere Attila plasmare il suo personaggio sotto un’altra sfumatura. - Selenia

MOONSPELL
Sopraggiunti all’ultimo momento a causa del forfait dato dai Pain, sono ben più lieta (per gusti personali e formazione musicale) di avere modo di vedere invece i portoghesi Moonspell. Quando arrivo al main stage Fernando e compagni sono già sul palco ed il concerto è iniziato da poco, proprio mentre ero impegnata ad ascoltare la performance di VoV, per cui cerco di fiondarmi all’interno del mare di gente che affolla tutta l’area, per guadagnarmi una posizione il più possibile centrale. Ad accogliermi le note di Awake, dal bellissimo Irreligious del 1996: questo pezzo su di me ha proprio l’effetto di uno schiaffo, che però, anziché svegliarmi, mi porta molto indietro a quel tempo in cui la band portoghese era tra i miei ascolti abitudinari. Nonostante il gothic sia un genere che adesso ascolto poco, loro sono senza dubbio tra quei gruppi a cui più sono rimasta affezionata e, quando mi rendo conto che questa sera i Moonspell dedicheranno tutto il loro set esclusivamente a estratti di Irreligious (da cui trarrà ispirazione quasi tutta la scaletta, con ben sei pezzi eseguiti) e Wolfheart del 1995, la mia “me” adolescente prova profonda soddisfazione nel rendersi conto di essere, una volta tanto, al posto giusto ed al momento giusto.
La band è sicuramente ben accolta e supportarta dal parterre, per quanto si percepiscano qua e là commenti critici perché, si sa, l’immaginario del gruppo fa capo a tematiche legate a vampirismo, licantropia e tutta quella sfera gotico-romantica che forse causa un po’ di ironia tra i metallari più “incalliti”. La performance dei Moonspell ad ogni modo sarà perfetta, tanto nell’esecuzione musicale quanto nell’impatto scenico e nelle abilità vocali di Fernando. Di certo non avevo bisogno di vederlo di persona per averne la prova, ma devo ammettere che l’intensità della sua voce è ancora più profonda e toccante dal vivo, sia quando si interseca alle sinfonie acide di Mephisto, sia quando comincia il suo seducente viaggio con Vampiria: dall’incipit più recitato e spettrale si abbandona nello straziante e trionfante finale, dove ai rintocchi di campana segue quel terribile e indimenticabile urlo. L’epilogo del “transylvanian dream” in cui ci accompagnano i Moonspell è affidato ad una doppietta da sturbo: Alma Mater ci fa cantare a squarciagola in una rincorsa faticosa verso la “Glória Antiga”, mentre con Full Moon Madness ci facciamo quasi cullare dal volgere più epico, nonostante per un bizzarro scherzo del destino nello stesso istante in cui i Nostri inneggiano alla Luna piena, questa cerchi di nascondersi dietro l’ultimissimo spicchio della fase calante.
Un ottimo concerto insomma, un fuori-programma per il festival che in realtà lo ha innalzato ulteriormente. - Selenia

SETLIST MOONSPELL
Perverse... Almost Religious
Opium
Awake
For a Taste of Eternity
Wolfshade (A Werewolf Masquerade)
Vampiria
Mephisto
Herr Spiegelmann
Alma Mater
Full Moon Madness


LAIBACH
Gli sloveni Laibach sono un nome storico del panorama industrial, che desta curiosità nel mondo musicale e che per i diversi e complessi livelli concettuali che intercetta viene a volte frainteso o minimizzato. Vale quindi la pena fare un brevissimo quadro che chiarisca, a chi non avesse ancora avuto modo di conoscerli a dovere, i nodi salienti attorno a cui la loro pluriventennale carriera musicale si è costruita ed evoluta. Se ad un livello più superficiale, infatti, l’ultimo periodo compositivo dei Laibach può far pensare ad una band catchy e pop, è importante tenere a mente quanto al contrario siano molto stratificati al livello contenutistico, nonostante sia tutto giocato ad un grado di esasperazione molto sofisticato. Ciò che forse manda maggiormente fuori strada è l'emergere prepotente della loro dose di sarcasmo, che è evidente soprattutto in certe loro hit e che lascia in sospeso la chiave reale di comprensione del messaggio, relegandola ad un livello quasi subliminale.
Concettualmente il loro punto di forza è infatti l’aver intrecciato in maniera provocatoria le teorie dello psicanalista (e loro amico) Slavoj Žižek, allievo di Jacques Lacan, con l’estetica militare dei principali totalitarismi politici, distorcendo però il tutto in maniera aberrante e volta a scatenare un senso di perturbante in chi si avvicina per la prima volta ai loro testi ed ai loro campionamenti marziali e industriali.
Fatti questi doverosi appunti, anche se ci sarebbe da entrare molto più in profondità per capire meglio tutto l’impalcato su cui si regge la band, vi sarà facile immaginare come fossi estremamente in attesa di assistere finalmente ad una loro performance. Guidati dal carismatico e un po’ buffo frontman Eber, i Laibach fanno il loro ingresso sul palco del Brutal Assault e iniziano un set che si concentrerà su diversi brani anche del loro repertorio più classico (come Brat Moj dallo storico debutto Laibach del 1985) ma che sarà anche costellato di numerose cover. Vengono infatti chiarite fin da subito le loro origini old school con il tributo ad uno dei più grandi gruppi ebm, i D.A.F., dei quali verrà eseguita Alle Gegen Alle, per poi sfociare anche in cover più mainstream ma snaturate in maniera originale, come Geburt einer Nation, trasposizione in tedesco del noto pezzo dei Queen, One Vision. Con incursioni sporadiche di alcune coriste che accompagnano il gruppo, il live scorre in maniera quasi asettica, non per pecche dei musicisti, quanto proprio come effetto dell’eccentrica impenetrabilità, quasi parodistica freddezza, con cui vengono affrontati i pezzi e con cui lo stesso frontman interagisce con il pubblico: un caso esemplare accade quando, per introdurre l’iconica Tanz mit Laibach, con un accento appositamente rimarcato, cerca di coinvolgere i presenti in un coro che preannuncia la marcia industriale, sulla quale saremo tutti invitati a ballare in compagnia di democrazia, fascismo e anarchia in maniera indistinta.
Essere volutamente ambigui del resto è da sempre l'arma vincente dei Laibach, che ha permesso loro di portare avanti in tutti questi anni una missione di sovversione che si poggia sul paradosso, ma che al tempo stesso è stata in grado di conquistare sempre più pubblico grazie a delle strutture compositive molto orecchiabili.
Personalmente li trovo dei geni ed il loro concerto mi è piaciuto molto. - Selenia

SETLIST LAIBACH
Ti, ki izzivaš
Alle Gegen Alle (D.A.F. cover)
Leben - Tod
B Mashina (Siddharta cover)
Eurovision
The Whistleblowers
Resistance Is Futile
Brat Moj
God Is God (Juno Reactor cover)
Americana
Geburt einer Nation (Queen cover)
Now You Will Pay
Love on the Beat (Serge Gainsbourg cover)
See That My Grave Is Kept Clean (Blind Lemon Jefferson cover)
Tanz mit Laibach


MARDUK
Tra le band più presenti in fatto di festival (e di tour), sicuramente si annoverano i Marduk, ormai ascesi ad uno status che di certo non si può relegare al mainstream. La scelta delle loro scalette live per queste situazioni ha generalmente il solo scopo di annientare ascoltatore e concorrenza scegliendo quei cavalli da battaglia che più siano aggressivi, veloci e tirati. D’altra parte l’esecuzione è delle più professionali e precise, con una giusta dose di arroganza e un frontman dal carisma invidiabile come Mortuus. Aggiungerei anche che nel metal estremo “mainstream” (parola da interpretare come indice di successo e popolarità, senza nessuna accezione attitudinale) sono una delle band più costanti in termini qualitativi, con uscite discografiche puntuali, ben riuscite, ottimamente prodotte. Uno stesso pezzo come Blond Beast, che tanto aveva fatto discutere e storcere il naso, è un segnale di supremazia che quasi nessuna band estrema a 30 anni di attività è riuscita a lanciare. Allo stesso modo promuovo anche dal vivo gli estratti del recentemente pubblicato Viktoria, già molto convincente all’ascolto. Ma lusinghe a parte, resta da fare un plauso al batterista, l’ultimo ad aver fatto il proprio ingresso nei Marduk, che reinterpreta in maniera estrema (seppur con un certo coraggio) un classico non propriamente veloce, Burn My Coffin, rispolverata per l’occasione tra gli altri pezzi più attesi, come Throne of Rats e Panzer Division Marduk. Unica pecca dello show potrebbe essere l’orario, estremamente tardivo (concerto terminato oltre le 2 di notte) per una proposta del genere, ma fa parte delle dinamiche di un festival. - Nicko

SETLIST MARDUK
Panzer Division Marduk
Werwolf
Of Hell's Fire
The Levelling Dust
Cloven Hoof
The Blond Beast
Throne of Rats
Equestrian Bloodlust
Burn My Coffin
Into Utter Madness
Wolves



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