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KULA SHAKER - Barezzi Festival, Teatro Regio di Parma (PR), 15/12/2022
26/12/2022 (874 letture)
Barezzi Festival è ormai una certezza in quel di Parma fin dal lontano 2007: l’evento nasce ispirandosi all’esempio di Antonio Barezzi, signore di Busseto e mecenate di Giuseppe Verdi, il quale poté studiare e progredire come compositore proprio grazie al sostegno economico di Barezzi. In questo senso il festival si è sempre posto l’obiettivo di sostenere la musica di qualità unendo il mondo classico e quello contemporaneo attraverso proposte artistiche stimolanti ospitate nei luoghi adibiti alla cultura più alta, come i teatri classici. Negli anni sono passati a Parma nomi altisonanti come quelli di Franco Battiato, Brad Mehldau, Philip Glass ed Herbie Hancock, insieme ad esponenti più affini al genere da noi amato come Ulver, Echo & The Bunnymen e The Notwist. Per ultimi, proprio quest’anno e a grande sorpresa sono stati annunciati i Kula Shaker. Ora, per me questa band significa veramente moltissimo e ho sempre ritenuto un peccato il loro mancato successo e ancora di più la loro scarsa considerazione, quasi sempre relegata al ruolo di meteora della musica pop/rock. Ovviamente il cataclisma provocato dall’album di debutto del gruppo – quel K uscito nel 1996 – non è mai stato replicato né mai nemmeno sfiorato, però il quartetto guidato dal biondissimo Crispian Mills ha continuato a pubblicare sempre musica di buonissimo livello ed è sbagliato non riconoscerlo. Al di là di questa considerazione era dal 2016 che gli inglesi non passavano dall’Italia e all’annuncio della data parmense ho fatto in modo di accaparrarmi subito i biglietti (il concerto andrà sold-out in poco tempo) per non perdermi l’unica data italica del tour.

ALLIEVI DEL CONSERVATORIO ARRIGO BOITO DI PARMA
È una serata fredda e piovosa quella in cui io e Luca arriviamo a Parma, direzione Teatro Regio; non proprio l’ideale per un concerto all’insegna della solarità, ma fortunatamente il bellissimo teatro ci accoglie nella maniera più confortevole possibile e, dopo aver appoggiato giacche e ombrelli e aver fatto la consueta capatina al banco del merch (purtroppo non molto fornito e piuttosto “improvvisato”), ci prendiamo un attimo per godere della magnificenza del luogo che ospita l’evento di stasera. Ormai assistere ad un concerto rock in un luogo da sempre adibito alla musica colta non è una novità, ma lascia sempre con quel misto di soggezione e fascinazione che non può essere trovato in un club o in un palazzetto. Ci sediamo ai nostri posti in platea, esattamente nell’ultima fila centrale proprio davanti al banco mixer, una posizione che si rivelerà ottimale in quanto a resa sonora e non solo. Puntuali come orologi svizzeri si presentano sul palco cinque allievi del Conservatorio di Musica Arrigo Boito di Parma, che si esibiranno per una mezz’oretta con un repertorio di noti brani pop arrangiati per quartetto d’archi e fisarmonica. Lodevole l’iniziativa, forse un po’ meno il risultato, che riscuote un tiepido entusiasmo: si riconosce l’impegno nella resa interessante di classici come 4 Marzo 1943 di Lucio Dalla o Bitter Sweet Symphony dei Verve, ma alla fine si continua a guardare insistentemente l’orologio e a chiedersi quanto sia stato azzeccato inserire questa esibizione all’interno di una serata che palesemente richiama un pubblico lontano da sonorità come quelle proposte. Lo abbiamo detto in apertura: il Barezzi Festival punta alla commistione tra classico e contemporaneo, ma stavolta ci sentiamo di dire che il connubio non è perfettamente riuscito. Appena terminato il concerto dei ragazzi del Conservatorio sale sul palco il presentatore del festival che, immedesimandosi in Antonio Barezzi in persona, si lancia in una presentazione dell’evento tra il serio e il faceto, con tanto di cicchetto bevuto sul palco (Barezzi in vita era commerciante di liquori), e infine annuncia i grandi ospiti di stasera in maniera a dir poco “claudicante”; non abbiamo idea di quanto questa scenetta sia volutamente così goffa oppure no, ma ormai è arrivato il momento tanto atteso e dalle casse inizia a risuonare il famigliare suono di un sitar…

KULA SHAKER
Mancano ancora una manciata di minuti alle 21:00 e intorno a noi si respira una certa eccitazione, alimentata dalla riproduzione di annunci pre-registrati che si ricollegano agli intermezzi in spoken-word contenuti nell’ultimo album della band inglese, quel 1st Congregational Church of Eternal Love (and Free Hugs) uscito nel giugno di quest’anno e passato totalmente – e ingiustamente – in sordina. Alcuni brani anni ’60 scaldano l’atmosfera mentre ai lati della batteria montata sul palco vengono accesi alcuni incensi, infine è proprio l’introduzione dell’ultimo disco che fa spegnere le luci, permettendo a Crispian Mills e ai suoi compagni di entrare in scena tra un mare di applausi. Imbracciati gli strumenti i quattro non si perdono in convenevoli e iniziano con una breve e rumorosa jam che lascia spazio all’avvio inconfondibile di Hey Dude. La platea esplode in un boato mentre i quattro, visibilmente divertiti, si lanciano in una performance strumentalmente perfetta che rende giustizia al brano introduttivo di K, che pare non essere invecchiato di una virgola sebbene suoni così esageratamente anni ’90. Mills non si ferma un attimo e la sua esibizione è di quelle da rockstar scafata, con mossette, corse e salti a non finire, che inizialmente minano – e non poco – la sua prova vocale. Soprattutto nella successiva Sound of Drums le stecche non mancheranno, ma forse il frontman ha solo bisogno di riscaldarsi un po’. Scenicamente invece funziona tutto, con un bell’impianto luci a sottolineare le evoluzioni psichedeliche di un brano come Grateful When You’re Dead/Jerry Was There e una resa sonora al limite della perfezione, sebbene manchi un po’ di “botta” e in generale di volume. La band sembra aver ritrovato da qualche anno una nuova giovinezza e il concerto di stasera lo dimostra: Paul Winterhart alla batteria, munito di berretto d’ordinanza, fornisce una prova solida ed essenziale insieme al bassista Alonza Bevan – per il sottoscritto la vera arma segreta del gruppo – che gode di suoni stupendi e dietro al microfono si rivela fondamentale con le sue seconde voci puntuali e intonatissime; Crispian Mills, costantemente al centro dell’attenzione con una kurta tradizionale rossa e la sua Stratocaster colorata, sembra un eterno ragazzino eppure è alla soglia dei cinquant’anni. Infine alle tastiere e all’organo siede Jay Darlington, tornato proprio poco tempo fa in formazione dopo ben ventitré anni – passati in larga parte insieme agli Oasis – e introdotto con entusiasmo dallo stesso Mills. La scaletta presentata a Parma è dichiaratamente un compendio della carriera dei Kula Shaker, che pesca a piene mani dal disco di debutto (con sei brani totali) e tocca praticamente tutta la discografia della band tralasciando solamente il bistrattato Pilgrims Progress del 2010. Dall’ultimo album vengono estratti i brani più vicini al sound “classico” del gruppo, con Whatever It Is (I'm Against It) che non sfigura affatto al fianco di canzoni ben più note e Farewell Beautiful Dreamer che trasporta tutti i presenti nel cuore di una favola antica mentre Mills invita il pubblico a cantare il fanciullesco ritornello. Com’è ovvio intuire però sono altri i pezzi che riscuotono maggior successo: Into the Deep viene cantata a squarciagola da chiunque ed è difficile trattenere le emozioni sul suo ritornello, così come avviene per 303 e i suoi stop ‘n go letali. È un gran peccato che da K 2.0 (2016) venga suonata solo Infinite Sun – e ho avuto l’impressione di essere l’unico a cantare il suo testo ipnotico – poiché ritengo quel disco un serbatoio di ottime canzone e in più fa storcere il naso il ricorso alle basi per l’introduzione del brano, anche se inevitabili (d’altronde non è così scontato portarsi in tour sitar, tabla, tamboura e relativi musicisti aggiuntivi). Non suscita troppo entusiasmo nemmeno la cover di Gimme Some Truth di John Lennon, rilasciata come singolo dal quartetto lo scorso novembre, a conferma di come la maggior parte del pubblico di stasera sia qui praticamente solo per ascoltare i brani di K. Song of Love/Narayana – estratta dal brillante Strangefolk (2007) – conduce verso la conclusione del concerto con il suo potente mantra Om Namah Narayana, prima di lasciare spazio all’iconica Tattva: introduzione misticheggiante, voce salmodiante e un ritornello inconfondibile; la sala esplode e anche se tutti rimangono seduti le mani in aria e i telefonini intenti a riprendere (anche io lo farò decisamente più del solito, lo ammetto) ora non si contano. Quando si pensa all’incompatibilità di certe lingue a discapito di altre non si considerano esempi divenuti popolari come in questo caso: non è scontato ascoltare un intero teatro cantare parole come Acintya Bheda Abheda Tattva; che poi siano in pochi a comprenderle veramente o addirittura a condividerne il significato è un altro discorso, ma è curioso e bellissimo assistere e vivere in prima persona tutto questo. La coda strumentale del brano viene allungata per un bel po’ di minuti, con un Mills scatenato che con la chitarra se la cava decisamente bene e ci regala tonnellate di assoli classic-rock sempre legati ad un forte immaginario psichedelico. Ultimo ed esplosivo sussulto per l’immancabile Hush, cover di Joe South e resa già immortale dai Deep Purple nel 1968; trent’anni dopo ci hanno pensato i Kula Shaker a rinfrescare il pezzo, donandogli una veste anni ’90 che ancora oggi fa ballare e cantare tutti quanti. Il pubblico è soddisfatto, ma ovviamente manca l’ultimo grande classico e, una volta uscita di scena, la band torna sul palco invitando i presenti ad alzarsi in piedi; Mills ringrazia in italiano e poi via al gran finale con la doppietta da urlo Great Hosannah/Govinda: la prima – scelta all’ultimo minuto al posto della poco conosciuta, ma stupenda, Gokula – è ottima per ballare grazie al suo ritmo funk incendiario, mentre la seconda non ha bisogno di presentazioni, essendo il brano più famoso in assoluto degli inglesi: tutti sono in piedi e cantano in sanscrito il testo inneggiante Kṛṣṇa, mentre la band scarica le ultime cartucce non risparmiandosi nemmeno un attimo. La folla sovrasta la voce del cantante, che si lascia avvolgere dall’entusiasmo e a questo punto le emozioni sono fortissime, almeno per il sottoscritto. L’ultimo Re maggiore viene suonato con potenza prima che i quattro salutino definitivamente gli astanti e le luci si riaccendano, spegnendo per un attimo la magia.

SETLIST KULA SHAKER:
1. Hey Dude
2. Sound of Drums
3. Whatever It Is (I'm Against It)
4. Infinite Sun
5. Gaslight
6. Grateful When You're Dead / Jerry Was There
7. Gimme Some Truth (
John Lennon cover)
8. Into the Deep
10. Farewell Beautiful Dreamer
11. Taxes
12. Gingerbread Man
13. Song of Love/Narayana
14. 303
15. Tattva
16. Hush (
Joe South cover)
---Encore---
17. Great Hosannah
18. Govinda


CONCLUSIONE
Il tempo di rendersi conto che il concerto è finito e Luca si gira verso il fonico della band per recuperare una scaletta della serata, debitamente conservata a casa mia. Personalmente sono rimasto molto contento e ho coronato il sogno di vedere dal vivo un gruppo che, fino a pochi anni fa, non avrei nemmeno immaginato ricominciasse a suonare in giro. I Kula Shaker con questo live hanno cementificato ancora di più in me la convinzione che questa band avrebbe meritato davvero una considerazione maggiore da parte della critica e del pubblico e se confrontiamo la produzione degli inglesi con la maggior parte delle pubblicazioni retro-rock degli ultimi anni penso proprio che Crispian Mills non abbia nulla da invidiare a nessuno, anzi. L’ultimo album ne è una dimostrazione lampante in questo senso e lo consiglio a chiunque ami belle melodie e un sound sì vintage, ma mai forzatamente nostalgico. Certo che assistere a un concerto di questo tipo stando seduto e lontano dal palco è un po’ una tortura e in futuro mi auguro di poter rivedere il quartetto in un contesto più propriamente rock, ma l’esperienza può essere senza dubbio definita in termini positivi, con l’unico dubbio relativo al prezzo: vero che il Teatro Regio di Parma non è paragonabile ad un live-club periferico di una grande città, però i 40€ (più prevendita) richiesti per il posto in platea non sono proprio così banali. I posti sui balconcini costavano meno, ma questo rimane un prezzo importante e – detto con una forte dose di cinismo – forse un po’ fuori scala per una band come i Kula Shaker, soprattutto nel 2022. Nessun pentimento ad ogni modo, solo una riflessione a freddo. In conclusione: se pensate che questa band sia solamente una meteora partorita dalla scena brit-pop negli anni ’90 spero di avervi perlomeno stimolato un po’ di curiosità nei loro confronti, magari spingendovi a recuperare qualche disco successivo a K; se invece già conoscevate e apprezzavate Mills e compagni vi saluto con un caldo e sentito Hari Bol!



vascomistaisulcazzo
Lunedì 2 Gennaio 2023, 13.51.01
9
Stima infinita per i KS ma li vidi ad Asolo nel 2016 e, personalmente, mi sono abbondantemente spiegato il perchè di un successo relativo, dal vivo buoni ma nulla più. Sul prezzo faccio notare che un teatro non è un club, i costi inevitabilmente salgono e non di poco.
Galilee
Venerdì 30 Dicembre 2022, 15.36.06
8
Secondo me questo Strange folk è migliore rispetto al suo predecessore. Ricalca le sonorità del primo disco a differenza di \"peasants pings and..\" che era troppo influenzato dal brit pop. Canadians? Li cerco. Io di Italiano ho scoperto da poco moongazer dei Tenebra. Davvero fico.
Rob Fleming
Venerdì 30 Dicembre 2022, 10.09.16
7
@Galilee: fatto. Bello. Grazie per la dritta. Effettivamente è bello, me lo son perso (ma nel 2007 ero troppo impegnato a bearmi delle sonorità \"solari\" di Antimatter, Ulver e OM. Sul fronte pop ascoltavo un casino i Canadians: un gruppo...ehm...italiano). Se lo trovo in formato fisico a poco procedo anche all\'acquisto.
Rob Fleming
Mercoledì 28 Dicembre 2022, 22.26.13
6
Ok @Galilee, domani procedo. Stasera son impegnato a farmi piacere, con \"scarse\" (leggi: inesistenti) possibilità di successo, The nightfly di Donald Fagen. La copertina è totalmente iconica, ma il contenuto proprio non mi prende.
Galilee
Mercoledì 28 Dicembre 2022, 19.28.17
5
Rob, ascoltati strange folk
Elluis
Mercoledì 28 Dicembre 2022, 13.13.32
4
Li vidi per puro caso allo Shocking Club di Milano sul finire degli anni \'90, quando la loro notorietà era appena esplosa. Ricordo che mi piacquero molto, ricordo che fecero uno show divertente e bello energico. Sono contento che siano ancora in giro.
Rob Fleming
Mercoledì 28 Dicembre 2022, 9.31.56
3
Io mi ricordo che li schifavo proprio: \"Facile rifare una cover dei Deep Purple\". Poi feci una mossa coraggiosissima: ascoltai \"K\". Album strepitoso. La cover dei Deep Purple non era una cover dei Deep Purple. E mi resi conto che i Kula Shaker sono un gruppo veramente ottimo. Bellissimo anche il successivo Peasants, Pigs and...poi, confesso, mi son fermato.
progster78
Martedì 27 Dicembre 2022, 15.35.17
2
Porca miseria,pensavo si fossero sciolti...che bel disco \"K\".
Galilee
Martedì 27 Dicembre 2022, 14.03.25
1
Stavo riascoltando strange folk pochi giorni fa. Che band. L\'unica vera band revival di sempre. Le altre possono solo accompagnare. Sfigati come non mai per una carriera finita alle ortiche a causa di fraintendimenti, pessime interviste e un secondo album purtroppo non all\'altezza delle aspettative. Buon per chi li ha visti dal vivo. Ah, il potente mantra di song if love/Narayana è a firma Liam Howlet dei The Prodigy. E la song è una simil cover di appunto Narayana di Fat of the land.
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Barezzi Festival, Teatro Regio di Parma (PR), 15/12/2022
 
 
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