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GLENN HUGHES - Alcatraz, Milano (MI), 22/05/2024
22/05/2024 (946 letture)
GLENN HUGHES
Già dal sito dell’Alcatraz avevamo capito che stasera Glenn non sarebbe stato accompagnato da band di supporto e l’inizio concerto viene dato per le nove. Arrivati alle otto e mezza, abbiamo comunque il tempo di apprezzare un locale pieno e di rifocillarci velocemente. Decidiamo di rimanere vicini al bancone del bar, dato che la visuale rialzata risulta comunque ottima.
Allo scoccare delle nove la band è sul palco, puntualissima. Il fondale psichedelico tipicamente anni Sessanta/Settanta, con tanto di colomba della pace e arcobaleni mostra un giovane Glenn, quello dei Purple di quegli anni. Sarà proprio Hughes, nel proseguo, durante uno dei tanti monologhi, che dirà appunto della difficoltà di rapportarsi al se stesso di cinquanta anni fa, pur ricordandosi molto bene com’era quel ragazzo (He was cool! dice sorridendo). Ma è chiaro che la serata sarà speciale, fin da quando la band dà il via alle danze con una grandissima versione di Stormbringer. Il classico purpliano erompe dalle casse con la potenza che gli è propria e i suoni sono già ottimi. Hughes è chiaramente il centro della scena e sembra quasi incredibile che alla sua età riesca a essere ancora così “fisico” sul palco, muovendosi, interagendo continuamente col pubblico e con gli altri musicisti. La band è semplicemente perfetta, a partire dallo strepitoso Soren Andersen alla chitarra. Sempre sorridente, ottimo performer senza voler rubare la scena al protagonista della serata, controllo semplicemente perfetto della chitarra, il musicista è un interprete micidiale del difficilissimo verbo blackmoriano. Non da meno naturalmente gli altri compari, all’organo e alla batteria, con Ash Sheehan che sfoggia uno strepitoso stetson di paglia e pesta come un fabbro, senza scomporsi un secondo. Appena il tempo di riprendersi dall’emozione che ecco il riff di Might Just Take Your Life irrompe, regalandoci un immediato sorriso e la sensazione di essere in qualche modo finalmente arrivati a casa. Impossibile non cantare la canzone a squarciagola assieme a Hughes e impossibile non sentire fino nelle ossa questa grande musica. Tra canzone e canzone il band leader si concede ampie chiacchierate col pubblico, raccontando aneddoti sui brani, sugli album, sugli altri membri dei Deep Purple, facendosi non poco prendere dall’emozione nel vedere una sala così gremita e tanto calore da parte del pubblico. D’altra parte, se poi subito dopo si attacca con un brano dell’enormità di Sail Away non c’è scampo per nessuno. Certo, a dirla proprio tutta tutta, su questo tipo di canzoni Coverdale non è superabile (almeno, quello originale), ma d’altra parte, come dirà poi Hughes, se è vero, come probabilmente è vero, che è lui l’unico che continuerà a portare queste canzoni su un palco, allora ben venga questa comunque straordinaria versione. Anche qua, poco da dire, si canta e si balla, senza freni. Ma ecco che, dopo la tripletta iniziale, inizia lo show nello show: You Fool No One, col suo ritmo frenetico ci accoglie in quello che sarà un lunghissimo medley diviso in più sezioni, tra assoli, accenni di altri brani dei Purple, tra cui riconoscibilissima High Ball Shooter, fino a un clamoroso ancorché infinito assolo di Sheehan, con gli altri che escono e rientrano sul palco, salvo poi riprendere ancora il brano fino a conclusione. Praticamente un fiume in piena di improvvisazione che nel complesso non può essere durato meno di venti/venticinque minuti. E’ chiaro che l’intento di recuperare e riproporre l’atmosfera di un live dei Deep Purple dell’epoca viene interpretato fino in fondo da questo splendido quartetto, come è chiaro che Hughes stasera ha una gran voglia di parlare, oltre che cantare e, infatti, subito dopo inanella altri aneddoti su Ritchie Blackmore e sulla nascita della prossima canzone, il “cuore” di Burn, come giustamente ci dice il cantante. Mistreated è un iperclassico che è inutile presentare e difatti qua Hughes chiede direttamente al pubblico di aiutarlo a intonare il refrain, mentre lui va nell’iperspazio armonizzando con i suoi falsetti stratosferici. Anche in questo caso il brano è decisamente dilatato, pur non raggiungendo probabilmente le lunghezze che lo stesso Blackmore soleva riproporre col sodale Ronnie James Dio ai tempi dei Rainbow. Difficile dire se in questo caso la magia emozionale si ripete, forse fin troppo nota la canzone e con troppi esempi eccellenti di rifacimenti illustri, resta comunque un piacere da ascoltare, quando gli interpreti sono questi. Nel carniere personale, ammetto di aver preferito la successiva Gettin’ Tighter, che pure ha raggiunto clamorosamente i dodici minuti di durata totale, quasi triplicando la durata originaria. Un tour de force con tanto di assolo di Hughes al basso e un Andersen senza una sbavatura. Non sfugge che più volte Hughes urli Tommy durante l’esecuzione e, infatti, a fine brano, rivelerà come questa canzone sia stata suonata in tutti i concerti fatti da solista, in primis perché è un grande brano ma, soprattutto, perché nel caso in cui qualcuno non avesse mai sentito parlare di Tommy Bolin ecco che sarebbe stato almeno lui a ricordare l’amico. E lo farà chiedendo più volte di applaudire il talentuoso quanto prematuramente scomparso musicista. Siamo purtroppo arrivati in fondo ed ecco che per noi mortali non resta che rimanere in silenzio di fronte agli Dei: You Keep on Moving è semplicemente da urlo, una meraviglia totale, che non si riesce a dimenticare e lascia un solco nell’anima. Stupenda. Il cantante ci promette che tornerà, scendendo dal palco, per quello che è il classico teatrino del bis. Ma la sala è talmente calda che non c’è neanche bisogno di sollecitare perché richiami sul palco la band. Pochi minuti e il cerchio si chiude con la scatenata, irrefrenabile, irresistibile orgia della tiratissima Burn. Anche in questo caso, siamo di fronte a un brano leggendario, suonato in mille versioni, registrato in decine di live, eppure la sua magia non accenna a diminuire e ad ammaliare. Sette minuti che volano letteralmente via rubando l’anima di tutti i presenti e, stavolta, è finita davvero.

CONCLUSIONI
Anzitutto, complimenti all’Alcatraz per l’organizzazione. Bagni decenti, bancone del bar lunghissimo con servizio molto veloce, zona ristoro che lavorava a pieno ritmo con qualche piccolo intoppo (la roba era praticamente finita prima delle nove e già che si utilizza una cassa fai-da-te, sarebbe meglio dare anche un numero per facilitare le consegne), ma nel complesso pollice su, senza dubbio. Palco e suoni di livello, senza sbavature, ottima visuale complessiva.
Passando al concerto, certo l’idea di riprodurre fedelmente il tipo di concerti che i Deep Purple facevano cinquant’anni fa è affascinante e, come scritto, il livello dei musicisti è tale, alle spalle del fuoriclasse Hughes, che il tutto scorre piuttosto bene. Alla fine, due ore di concerto che volano. Però e un però c’è, proprio perché si tratta di un concerto celebrativo, rinunciare a qualche minuto di jam (che poi alla fine di improvvisazione vera non ha nulla, sia chiaro) per proporre qualche brano in più dei tre meravigliosi album realizzati, non sarebbe stato così scandaloso, ecco. Una Lady Double Dealer o Owed to “G” o altri megaclassici del tipo, non avrebbero fatto dispiacere ad alcuno. Infine, Glenn Hughes: semplicemente umiliante e perfino improponibile il confronto con qualunque coetaneo che sia ancora vivo e in attività, senza considerare appunto che il nostro si permette anche di suonare il basso, a livelli ancora decisamente alti. Eppure, l’impressione è che ormai preferisca giocare sull’effetto-wow dei suoi trapananti falsetti, piuttosto che cantare davvero e fino in fondo, come pure sembra ancora nelle sue possibilità. Siamo comunque a livelli stordenti, ma proprio per questo, non dispiacerebbe sentire ancora la sua stupenda voce e le sue inflessioni soul. Vedremo, se ci sarà occasione, come andrà quando tornerà con i Black Country Communion. Nel frattempo, si può solo ringraziare la leggenda per averci, ancora una volta, fatto visita sul Pianeta Terra.

GLENN HUGHES SETLIST
1. Stormbringer
2. Might Just Take Your Life
3. Sail Away
4. You Fool No One / Medley / Drum Solo / You Fool No One
5. Mistreated
6. Gettin’ Tighter
7. You Keep On Movin’

---- Encore ----

8. Burn



Un saluto e un abbraccio a Sara Pasquini. Grazie.



Adrian Smith
Giovedì 6 Giugno 2024, 19.46.51
10
Mito supremo, ed e’ in gran forma fisica.
Fabio
Mercoledì 5 Giugno 2024, 20.00.52
9
Già non avevo letto la locandina, così si capisce la scaletta e le scelte
Lizard
Mercoledì 5 Giugno 2024, 18.22.21
8
Sulla locandina c’è scritto “Celebrating the 50th Anniversary of Burn”… mi sembrava quasi scontato che facesse i brani dei Purple. Quando lo vidi al Sonar di Colle Val d’Elsa nel tour di Music for the Divine fece i brani da solista e qualche brano delle sue precedenti band, perché stava promuovendo un disco da solista. Peraltro, non le definirei cover: sono canzoni alle quali ha contribuito, anche solo suonando la versione originale…
Fabio
Mercoledì 5 Giugno 2024, 17.58.54
7
Anche per me è abbastanza strano non vedere pezzi da Hughes Thrall, I Got Your Number, Beg Borrow Or Steal e Muscle And Blood sono veri classici, oltre a Coast To Coast che però era dei Trapeze. Così come i brani da From Now On.... se ci fossi riuscito andavo a vederlo comunque
ShotinTheDark
Mercoledì 5 Giugno 2024, 17.13.37
6
La cosa che da fastidio è che nessuno e con nessuno intendo i vari recensori, sia dispiaciuto per l\'assenza di brani solisti del periodo 94-97 (From Now Now una bomba!!!) ma anche di qualche ripescaggio di qualche progetto degli anni \'80. Ora non dico che dovrebbe mettersi a fare i pezzi di John Norum, ma una I Got Your Number, una Still The Night, una No Stranger To Love che male farebbero? Se uno prende la pagina di setlistfm di Hughes vede che il 75% del totale dei suoi concerti solisti dal 1994 ad oggi è composto da cover (Purple, Trapeze) e solo il 15% ad album solisti (con una maggioranza schiacciante di album bruttarelli, relegando Fron Now Now e Addiction a percentuali da Marco Rizzo).
Evil never dies
Sabato 1 Giugno 2024, 22.59.06
5
È come un gran whisky! Chapeau
Rob Fleming
Sabato 1 Giugno 2024, 10.51.38
4
\"l’impressione è che ormai preferisca giocare sull’effetto-wow dei suoi trapananti falsetti, piuttosto che cantare davvero e fino in fondo, come pure sembra ancora nelle sue possibilità.\". Ecco, bravo @Lizard, secondo me hai centrato il punto. Io continuerò a spendere soldi per lui (e vai con il prossimo BCC), ma penso che sia da From Now On (o al massimo quelli con Joe Lynn Turner o Tony Iommi) che non mi emoziona più. Per dirla tutta: con sto falsetto ha decisamente rotto.
DpkT101
Sabato 1 Giugno 2024, 0.30.21
3
Io c\'ero! Bellissimo! Felice di aver visto dal vivo questa leggenda! Certo qualche pezzo in più avrebbe fatto piacere, ma lui è stato un grande! Anche il resto della band ovviamente! Grande Glenn!
N�esis
Venerdì 31 Maggio 2024, 23.04.44
2
me lo sono perso e ancora mi mangio le mani, era da un anno che me l\'ero segnato...
Heavy Metal Grin
Venerdì 31 Maggio 2024, 18.11.43
1
Sono stato alla data di Ciampino: show davvero bello, a tratti emozionante. Ottima recensione
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