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27/04/24
CRASHDÏET
VHS - RETRÒ CLUB, VIA IV NOVEMBRE 13 - SCANDICCI (FI)
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22/11/2021
( 2581 letture )
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Travalicare il passato conservandone lo spirito e immettersi in una nuova dimensione stilistica dove l’emozionalità sa colpire più forte della pura violenza: nessun rinnegamento delle proprie radici, solo la necessità di esprimersi in un modo che sappia arrivare all’io interiore tramite una via differente.
Mark of the Blade aveva già lanciato dei segnali ma il vero punto di svolta è sicuramente da individuare in The Valley (2019), moderno vertice artistico e testimonianza di come i Whitechapel fossero ben consapevoli di spingersi verso un oltre tenebroso e drammatico dal quale sarebbe stato impossibile tornare indietro: un viaggio nei meandri di una psiche fratturata costretta a rivivere gli incubi di quella che è stata l’infanzia/adolescenza del frontman, segnata irrimediabilmente dalla morte del padre quando aveva dieci anni e poi da quella della madre, la cui dipartita è stata causata dalla relazione disfunzionale con un altro uomo, responsabile della sua caduta nella tossicodipendenza. Più che un semplice album si è dunque trattato di una narrazione a tinte horror basata su fatti autobiografici, terminata la quale si può dire che il trauma sia stato superato, purtroppo non senza ulteriori ripercussioni.
È proprio da qui che riparte Kin, il secondo atto di tale psicodramma: un’agonia così forte ha infatti provocato una scissione dell’anima di Bozeman, lacerata dallo scontro fra l’Io positivo e una controparte malvagia, il cui scopo è quello di riportare la sua nemesi nella Valle, luogo di eterno e indicibile tormento. La durissima lotta delle due personalità è già tangibile nell’angosciante artwork, simbolo di un dialogo impossibile eppure necessario che coinvolge le inconciliabili pulsioni della mente, gli istinti suicidi contro una pervicace indole votata alla resilienza e infine lo sforzo estremo di accettare tale sofferenza tramite la perseveranza e un forte attaccamento alla vita. Come si possono trasferire in musica sensazioni tanto vivide quanto private? Solo con la drastica trasfigurazione del proprio sound, fatto evolvere in una tetra parabola in cui la veemenza ferale dei primi lavori viene sostituita da una concezione sonora più cerebrale e dilatata, pagante dazio in termini di brutalità ma in compenso funzionale ad assecondare i moti interiori dell’attore principale, quel Phil Bozeman che mai come prima scava dentro di sé compiendo una psicoanalisi cruda e senza censura alcuna.
Se The Valley lo ha inaugurato, allora Kin ne è lo sdoganamento definitivo: il post-deathcore è realtà e tale mutazione genetica si palesa in ognuna delle undici tracce, esemplari nel presentare un connubio ossimorico di aggressività (data dal growl, il muro delle tre chitarre e la spinta del nuovo batterista) e melodia, quest’ultima conferita soprattutto dall’ampio uso delle clean vocals, talmente introspettive e coinvolgenti a livello emotivo da rendere l’ascolto davvero arduo. Le antitesi appena descritte sono sotto i nostri occhi fin da I Will Find You, opener che mostra la nuova faccia del genere costituita da un growl corposo eppure pienamente “umano”, chitarre pregne di una suggestiva malinconia, assoli limpidi e ricchi di pathos e infine linee vocali dispieganti un’empatica vulnerabilità. Lost Boy, nonostante la furiosa partenza, nel prosieguo si scioglie lasciando affiorare persino velleità prog, mentre l’agghiacciante A Bloodsoaked Symphony è una disperata liturgia che arriva a contemplare un orrorifico rituale per far risorgere i genitori. La smaterializzazione del deathcore ha il suo compimento in brani come Anticure, History Is Silent e Orphan, autentici pugni nello stomaco dove le soffocate esplosioni in growl sono brevi sfoghi in grado di conferire maggior risalto ad un registro pulito realmente da brividi, amplificato dal superbo lavoro delle chitarre che si producono in arpeggi strazianti e riff/assoli che sanno essere al contempo algidi, sognanti e intrisi delle lacrime metaforiche del vocalist. Un lato più bestiale trova spazio in The Ones That Made Us (istigazione al suicidio provocata dall’alter-ego cattivo, in mezzo a blast-beat e a un growl marcato) e nei sentimenti autodistruttivi di To the Wolves; Without Us costituisce invece un ponte tra l’attitudine -core e l’afflato post metal in virtù di ritmiche più cadenzate, break eterei e l’equilibrato scambio tra voci aggressive e accorate melodie. Il cordone ombelicale con la produzione precedente viene reciso in maniera definitiva nella conclusiva Kin, title-track cullata da arpeggi acustici country e dalle note aggraziate del piano: qui la voce addolorata di Bozeman raggiunge vette impensabili, stringendo il cuore dell’ascoltatore in una morsa emotiva superflua da spiegare a parole in quanto è indispensabile l’approccio diretto per capirne appieno la portata. Kin, degno successore dell’acclamato The Valley, è un album profondo e maturo che rinforza lo status di icone dei Whitechapel. È incredibile constatare come questa band, giunta all’ottavo disco della carriera, sia riuscita a migliorare la propria filosofia musicale attraverso l’alleggerimento del sound e il parziale accantonamento dei canoni deathcore: nella tracklist infatti sono paradossalmente le tracce che abbiamo definito “post” a far più male perché in gioco non c’è il mero fattore dell’abrasione strumentale, bensì il dolore rivissuto da un essere umano che ha deciso di dar voce ai demoni della sua esistenza nell’intento catartico di esorcizzarli una volta per tutte. Spaventosamente intenso, Kin non ha momenti di cedimento e deve essere ascoltato dall’inizio alla fine senza interruzioni; solo così si potrà comprendere il messaggio chiaro e diretto del suo autore. Andate oltre i dettami dell’ortodossia deathcore e fatevi accompagnare dalla voce di Bozeman lungo l’intero percorso: la sofferenza non mancherà ma questa è un’esperienza che, dopo avervi abbattuto, vi fortificherà dato che fonde vita, afflizione e conoscenza, tre elementi inscindibili dell’esistenza terrena.
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20
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...buon disco....da ascoltare senza paraocchi...... |
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Ciao Indigo.. Figurati se devo curarmi delle Critiche dei Puristi che per Me contano come il Due di Picche.. Ascolto quel che mi garba.. Grazie come sempre per la disponibilità! |
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Eh si, questi due generi sono screditati per i testi (a dire il vero più il metalcore/emocore su questo versante), il successo mainstream, il look (frange piastrate, piercing ecc.) e per il fatto che la fanbase era prevalentemente costituita da adolescenti emo, con tutto quello che il termine comporta.
Riguardo alla qualità dei dischi, non posso che essere d'accordo con te ma purtroppo tanti metallari ancora oggi non riconoscono il valore di questa musica, proprio a causa delle motivazioni e degli stereotipi che ho elencato prima. Io ti consiglio ti continuare ad approfondire senza curarti delle critiche a priori dei puristi; se poi dovessi avere altre curiosità (anche sulla storia del genere) scrivi pure sotto le varie recensioni o sulla mia pagina del profilo redazionale. |
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Ciao Indigo, grazie per la spiegazione.. In poche parole, il "Peccato originale" di questi due Generi sarebbe quello di fare Musica estrema con Testi alla Dawson' Creek? Sto "banalizzando" le tue parole chiaramente.. Perché, a mio umile parere, sulla qualità degli Album che ho ascoltato ad oggi, ci sia poco da obiettare... |
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@Lucio, il deathcore e il metalcore sono odiati dai metallari tradizionalisti e da quelli extremers per diverse ragioni: in primis perché sono stati generi mainstream (banale ma è così), poi anche perché il loro apice è stato nella seconda metà degli anni '00, lo stesso periodo della cosiddetta scene phase americana, grosso modo identificabile con la terza ondata emo. Quindi molti gruppi -core avevano adottato questa moda a livello estetico e in più quelli metalcore avevano introdotto ritornelli con voce pulita dal retrogusto agrodolce post adolescenziale (emotional appunto) che tanto facevano e fanno ancora imbestialire i metallari duri e puri.
A questo aggiungi che il deathcore inseriva nel tessuto death non le voci pulite (non nella fase storica perlomeno) ma i breakdown di derivazione hardcore, altra blasfemia per i deathster puristi.
A grandi linee questi sono i motivi per cui i due generi ancora oggi vengono considerati inferiori a tutti gli altri rami del metal; forse solo il nu metal è ancora più odiato, ma sostanzialmente le ragioni sono quelle che ti ho esposto. |
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Non li conoscevo se non di nome e devo dire che Spaccano di brutto! Ho ascoltato anche il Predecessore e mi ha soddisfatto, ma questo è oltre.. Dopo un Anno circa che mi sono interessato a questo Genere, non ho ancora capito perché, soprattutto leggendo i Commenti ai Primi lavori di vari Gruppi, sia da Alcuni Bistrattato... |
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caro @indigo figurati, tu sei un recensore con i fiocchi, fa piacere averti sul sito , soprattutto da quando c'è finalmente qualcuno che valuta degnamente band di derivazione metalcore/deathcore senza alcun tipo di paraocchi come accadeva fino a 4/5 anni fa, si, sono su questo sito da tanto tempo :') |
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Avevo ascoltato questo lavoro distrattamente all'uscita, poi sono capitato su "the valley" e boom, riprendo in mano di nuovo "KIN" e boooom, sono conquistato, esterefatto, innamorato. Totali |
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Vedere che questa recensione è stata così apprezzata mi rende molto orgoglioso, non saprei come dirlo in altro modo. Ringrazio tutti voi per i complimenti e leggere un commento come quello di @Earthformer al n. 9 è una grandissima soddisfazione, dico davvero.
Album dell'anno in campo deathcore (etichetta assolutamente riduttiva) e il più intenso a livello di ascolto/scrittura che mi sia capitato di trattare da quando sono entrato in redazione: onore ai Whitechapel, band protagonista di un'evoluzione straordinaria. |
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11
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Recensione suprema, complimenti davvero.
Sul disco non sono amante del genere e non li conoscevo, ho dato tempo fa singolo ascolto e sono rimasto davvero colpito, come molte volte sottolineato nei commenti è riduttivo descrivere il genere, questa è grande musica e va vissuta e goduta, appena avrò tempo li riprenderò in mano con cura e andrò a recuperare pure il precedente più volte citato |
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10
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comunque, questo gruppo è l'unico che può dire di aver ridefinito un genere 2 volte, prima lo hanno fatto con this is exile e somatic defilement, poi con the valley e questo |
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9
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è ufficiale, sei il mio recensore preferito su questo sito |
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non sono più loro
R.I.P. |
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Uno dei migliori dischi dell'anno, e probabilmente del decennio a venire. Qua si rasenta la perfezione, voto 95. Quest'anno c'è stata la rivincita del CORE grazie a dischi fenomenali dei Whitechapel, Trivium, Bullet for my Valentine (e speriamo che i Job for a Cowboy escano dal letargo e pubblichino a breve il prossimo album) frutto di una costante evoluzione, gruppi deathcore e metalcore da sempre denigrati dai boomer del metal ottusi e ignoranti. |
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5
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Seguo da sempre i Withechapel, riconosco che tra i gruppi "dell'epoca d'oro" del deathcore, sono quello che si è evoluto meglio. Hanno raggiunto vette altissime in tutti i frangenti.
Personalmente trovo Mark of the Blade il loro apice, più per un fatto di bilanciamento tra ciò che sono stati e quello in cui si sono evoluti, ma oggettivamente siamo, con KIN, a qualcosa di veramente notevole oltre l'etichetta che gli si vuole dare.
Voto 88 |
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4
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Ammazza che disco...ascoltato praticamente per puro caso qualche settimana fa, non dico sia diventato il mio (e sottolineo "mio" a scanso di equivoci) disco dell'anno, ma poco ci manca. Sentitissimo, trasuda pathos da ogni nota, recupererò anche il predecessore di cui qua sotto se ne tessono le lodi. Scusatemi, ma non ascoltavo questa band credo dal 2010 o 2011. Voto in linea con la (bella) recensione di Jacopo ed evoluzione da mascella a terra di questo gruppo. |
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3
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prima di tutto, ringrazio Indigo per aver soddisfatto la mia richiesta XD.
premessa: the valley è diventato la colonna sonora della mia vita da oramai 5-6 mesi.
l'hype per il suo successore era davvero elevato.
trovo questo disco un viaggio, che esula da qualsiasi etichetta.
non saprei dire che genere musicale sia, semplicemente è bella musica.
l'opener la perfetta sintesi di tutto ciò che l'album ha da offrire, ma è quando i tempi rallentano che mi emoziono davvero: kin e orphan splendide, la voce di Phil è indescrivibile.
come avevo già detto, i whitechapel per me hanno fatto il salto di qualità abbassando i ritmi.
confermo il voto della recensione. |
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2
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Apprezzo e seguo i Whitechapel dal disco omonimo e la loro crescita negli anni ha dello straordinario: da "Mark Of The Blade" in poi l'asticella si è alzata vertiginosamente, fino all'abbandono quasi totale del deathcore originario per avvicinarsi ad una sorta di progressive death modernissimo e sfaccettato. Bozeman come cantante a tutto tondo si dimostra sempre più maturo e i testi vanno di conseguenza. Considero "The Valley" il capolavoro attuale della band proprio perché musica e testi sono entrambi stellari, mentre questo "Kin" musicalmente gli è pure superiore, ma io trovo che i testi non siano altrettanto ispirati. Il disco mi è piaciuto moltissimo e lo ascolto sempre volentieri, c'è un filo conduttore ben percepibile e la narrazione è coerente. Anche a livello di produzione siamo in equilibrio tra modernità e organicità, un disco dei Whitechapel non suona mai "plasticoso" per quel che mi riguarda e questo è un aspetto più che positivo. Brani come "Anticure" o "Orphan" sono piccole perle e sono curioso di come potranno essere trasposti dal vivo. Come ho già detto peccato solo per i testi, in alcuni casi un po' banalotti.... Tolto questo per me il disco vale almeno 85 se non di più, anche se complessivamente "The Valley" rimane migliore. Ottima recensione Jacopo! |
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1
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Ascoltato…grande disco sulla falsariga di the valley…ormai han totalmente trasceso l’etichetta di deathcore e son tra le formazioni di metal estremo più in salute in assoluto…voto più o meno giusto…forse darei anche 90 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. I Will Find You 2. Lost Boy 3. A Bloodsoaked Symphony 4. Anticure 5. The Ones That Made Us 6. History Is Silent 7. To the Wolves 8. Orphan 9. Without You 10. Without Us 11. Kin
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Line Up
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Phil Bozeman (Voce) Ben Savage (Chitarra) Alex Wade (Chitarra) Zach Householder (Chitarra) Gabe Crisp (Basso) Alex Rüdinger (Batteria)
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RECENSIONI |
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