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27/04/24
CRASHDÏET
VHS - RETRÒ CLUB, VIA IV NOVEMBRE 13 - SCANDICCI (FI)
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22/10/2022
( 851 letture )
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Gli Edenbridge sono una band austriaca formatasi a Linz a fine anni Novanta grazie al sodalizio e all’alchimia tra il sensibile songwriter e polistrumentista Lanvall e la cantante Sabine Edelsbacher, compagni nella vita prima ancora che nell’avventura musicale. In un periodo in cui già si facevano strada formazioni dalla voce femminile come Nightwish, Theater of Tragedy, The Gathering e Within Temptation, i nostri furono capaci di plasmare una proposta originale e fortemente caratterizzata da tratti power, sinfonici, alternati a frangenti di elegante prog rock e pennellate di hard rock melodico, culminata dall’ottimo disco di esordio Sunrise in Eden (2000), seguito a stretto giro dall’ancora più sinfonico e maturo seguito Arcana (2002), prima di evolvere la propria carriera con uscite cadenzate nel tempo e – sia pure con tratti maggiormente standardizzati - marchiate da una dose di buona personalità e da un gusto melodico decisamente sopra la media.
Gli Edenbridge dopo oltre vent’anni di carriera giungono al traguardo dell’undicesimo lavoro in studio e lo fanno con questo Shangri-la, recuperando in parte la freschezza degli esordi pur mantenendo un power prog compatto dalle venature ora sinfoniche ora progressive. La traccia iniziale At First Light mette subito in chiaro le intenzioni della band austriaca, con riff potenti, orchestrazioni cesellate dall’ispirato Lanvall e un sound a cavallo tra Threshold (il mixing dell’album è a firma proprio di Karl Groom e si sente) e Vanden Plas, per poi evolvere con aperture alla Avantasia e sfumare nella seconda parte degli otto minuti in momenti maggiormente prog fino terminare con un sognante, sinfonico finale dalle melodie raffinate e allo stesso tempo incisive, un cocktail da applausi. Ciò che non convince appieno fin dalle prime note è il cantato di Sabine, lontano dall’impostazione operistica e da soprano di inizio carriera per adagiarsi prevalentemente su tonalità medio alte che se da un lato finiscono per giocare sul sicuro senza troppo osare, dall’altro perdono quella delicatezza e quel sognante iato melodico vero trade-mark della band. Il disco prosegue ad ogni modo bene a livello di songwriting e ispirazione con la seguente compatta e immediata The Call of Eden (anticipata da un singolo e video apripista pubblicato nell’estate), lineare e con un refrain ultra-catchy a cavallo tra hard rock e melodic metal di facilissima presa, così come convince la quadrata Hall of Shame, dall’andamento tipicamente power prog in cui si lascia apprezzare la sezione ritmica composta da Steven Hall e Johannes Jungreithmeier, pur con una prestazione vocale di Sabine ancora non pienamente convincente e distante dai suoi più alti standard. I ritmi si fanno decisamente più soffusi e delicati nei quattro minuti di Savage Land, i cui fraseggi acustici si allacciano alla tradizione prog rock dei maestri Genesis e Jethro Tull, influenze confermate nel finale in cui passaggi di flauto ben si intrecciano alla sei corde di un Lanvall quanto mai in versione Steve Hackett. Trascorrono molto piacevolmente anche brani di melodic metal come Somewhere Else But Here, dal refrain coinvolgente e raffinato, e la più tirata Freedom is a Roof Made of Stars in cui Rhapsody, Angra ed Ayreon si intrecciano efficacemente, mentre meno convincenti risultano Arcadia (The Grand Escape), penalizzata da una interpretazione vocale non indimenticabile a cospetto di un tessuto tra chitarre acustiche, elettriche e tappeti tastieristici di buon impatto, così come la arabeggiante The Road to Shangri-la non colpisce fino in fondo l’attenzione. Il finale è dedicato ai sedici minuti di The Bonding (part 2) , brano ambizioso, articolato e di sicuro spessore, valorizzato da una serie di cambi di atmosfera, da una notevole dose di symphonic, prog e pomp sound, oltre che dal pregevole alternarsi alla voce tra Sabine e l’apprezzatissimo ospite Erik Martensson (Eclipse, W.E.T. e più recentemente Nordic Union) che già si rese protagonista del brano originale The Bonding dall’omonimo album del 2013, qui confermando una vena ispirata su queste sonorità power prog che spesso richiamano Dream Theater, Symphony X, DGM, Avantasia e Vanden Plas, sia pure non raggiungendo i picchi registrati da altre suite della band come ad esempio la iconica Arcana.
Nel complesso un buon ritorno per gli Edenbridge con uno dei migliori lavori a livello di puro songwriting, con un Lanvall decisamente ispirato e una band affidabile e rodata nell’interpretazione strumentale, che avrebbe potuto essere molto buono se non addirittura ottimo con una performance più emozionale e lirica da parte di Sabine, che sarà per un cambio voluto nel registro vocale o sarà per alcune limitazioni legate a un’età non più giovanissima, finisce per non convincere appieno in vari momenti. Resta il fatto che Shangri-la è un album molto ben impacchettato ed interpretato da una band tornata a livelli alti che farà la gioia degli appassionati di sonorità power prog un po’ nostalgiche, un po’ marchiate da un gusto sinfonico e pomposo.
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L’opener e’ un gran pezzo e in effetti ci sono sprazzi di ottimo songwriting. Peccato la voce di Sabine non sia quella di un tempo. Voto 70. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. At First Light 2. The Call Of Eden 3. Hall Of Shame 4. Savage Land 5. Somewhere Else But Here 6. Freedom Is A Roof Made Of Stars 7. Arcadia (The Great Escape) 8. The Road To Shangri-la 9. The Bonding (Part 2) (The Bonding Overture; Alpha And Omega; The Eleventh Hour, Round And Round; The Timeless Now - Finale)
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Line Up
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Sabine Edelsbacher (Voce) Lanvall (Chitarra, Tastiera) Dominik Sebastian (Chitarra) Steven Hall (Basso) Johannes Jungreithmeier (Batteria)
Musicisti ospiti
Erik Martensson (Voce, traccia 9)
Daniel Tomann-Eickhof (Flauto, traccia 4)
Thomas Strübler (Cori)
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RECENSIONI |
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