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06/05/24
YES
TEATRO ARCIMBOLDI, VIALE DELL’INNOVAZIONE 20 - MILANO
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Lizzy Borden - Master of Disguise
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18/03/2023
( 985 letture )
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Reduci da tre album di buon successo pubblicati tra il 1984 e il 1987, caratterizzati da un ottimo connubio tra heavy di stampo orrorifico e il cosiddetto hair metal (soprattutto l’ultimo di essi, Visual Lies), i Lizzy Borden provano sorprendentemente a sparigliare le carte nel 1989 con la pubblicazione di Master of Disguise, rimpiazzando l’elemento più smaccatamente diretto e istintivo del loro rock e ingigantendone, ai limiti dell’eccesso, l’aspetto prettamente teatrale. Non che questa caratteristica fosse assente dagli album precedenti, anzi è da sempre stata il marchio di fabbrica del combo californiano. È tuttavia con Master of Disguise che Greg Harges (a.k.a. Lizzy Borden) decide di osare, proponendo un concept barocco, drammatico, malinconico e allo stesso tempo intriso di dura teatralità. Una scommessa insomma, un maestoso tentativo -probabilmente ai limiti del tempo massimo, come le vicende future dimostreranno- di non sedersi sugli allori dei dischi precedenti, e come tale meritevole di considerazione e approfondimento.
In Master of Disguise la lineup è di fatto ridotta ai soli due membri fondatori -i fratelli Harges appunto- che durante le sessioni di registrazione si avvalgono del lavoro di diversi musicisti, dei quali il solo Mike Davis al basso proviene dal passato della band, avendo suonato in tutti gli altri dischi. Lo stesso Davis con i chitarristi David Michael Phillips e Ronnie Jude verranno successivamente accreditati come facenti parte della band a tutti gli effetti. Fra gli altri musicisti ospiti vale la pena sottolineare la presenza di Elliot Soloman, altresì tra i produttori dell’album, che con i suoi tappeti di tastiere contribuisce non poco a conferire al disco un’aura misteriosa, oscura e dannatamente accattivante. Notevoli inoltre le raffinate orchestrazioni a cura di William Kidd, le quali riescono a incastonarsi splendidamente fra le pieghe del rock duro della band. Sì, perché alla fin fine sempre di heavy metal stiamo parlando e, se è vero che l’album in questione segna una decisa svolta nel sound dei nostri, risulta anche lampante, ascoltando le tracce che via via si susseguono, come esso ne rappresenti un’evoluzione e niente affatto uno snaturamento.
Il concept viene inaugurato dagli orecchiabili riff della titletrack che introducono il cantato di Lizzy Borden, meraviglioso e in forma come al solito, anzi di più. Un bell’assolo del chitarrista David Michael Phillips si fonde con l’immediatezza delle strofe e del ritornello, in una miscela assolutamente riuscita che racconta metaforicamente della natura trasformista e mutevole, inevitabile ed inarrestabile, dell’animo umano.
I’m the master of disguise I can see you watching from the corner of my eyes I’m the master of disguise I’m dressed to kill, tonight
Il basso di Mike Davis segna l’incipit di One False Move, breve pezzo nel quale la performance di Lizzy, grazie anche ad un particolare effetto di stratificazione della voce, raggiunge toni melodrammatici di grande spessore. Un arpeggio acustico su una sequenza di suoni ambientali, televisivi e di hot line telefoniche introducono Love Is a Crime, fra i brani più famosi dell’intera carriera dei Lizzy Borden e chiaramente una delle punte di diamante del disco: un heavy metal frizzante e melodico, formalmente perfetto, che possiede un refrain di grande impatto. Dopo tanta magnificenza la canzone successiva, Sins of the Flesh, riporta inevitabilmente l’ascolto sulla terra, pur essendo comunque tutt’altro che un riempitivo. Il suo difetto è semplicemente rappresentato dal fatto di essere inserita fra due capolavori come Love Is a Crime e Phantoms. Pezzo enfatico e altamente istrionico, quest’ultimo viene introdotto da un motivetto a mo’ di jingle che dopo un paio di minuti si trasforma in una sequela di riff, assoli, strofe e ritornelli memorabili. Parafrasando il titolo dell’album, il brano ama travestirsi e sorprendere l’ascoltatore cambiando letteralmente faccia dopo un inizio volutamente sottotono. L’atmosfera musicale si fa tragica con la ballata Never Too Young, abbastanza canonica seppur impreziosita da uno stupendo quanto breve solo di chitarra. Altro vertice del disco è Be One of Us, introdotto dall’incipit della Toccata e Fuga di Bach e seguito a ruota da fantastici riff che trasformano il pezzo in una travolgente cavalcata metal di livello assoluto. Sulla medesima falsariga (introduzione con organo + cavalcata) si pone Psychodrama, con risultati però leggermente inferiori. La seconda parte dell’album risulta in definitiva inferiore alla prima, beninteso attestandosi ugualmente su ottimi valori ma rivelando ciò che va considerato fra i pochissimi difetti di Master of Disguise, ovvero l’eccessiva durata (poco meno di un’ora). La ballata Waiting in the Wings non riesce a coinvolgere più di tanto e, pur trattandosi di una buona composizione, provoca facilmente i primi sbadigli dall’inizio del full-length. Con la sfuriata solida e diretta di Roll Over and Play Dead la band si riavvicina al sound dei lavori precedenti, una ventata di aria fresca che prelude alla terza ballata della tracklist, Under the Rose, acustica, toccante, stavolta breve, intensa e nel complesso forse la più intrigante fra le tre. Il pezzo conclusivo nonché il primo singolo estratto, We Got the Power, è probabilmente anche il più debole del lotto, risultando oltremodo commerciale e strizzando troppo l’occhio al glam metal più catchy del periodo. Quasi una bonus track, non brutta ma che poco ha da spartire con la perlopiù raffinata atmosfera teatrale dell’album.
Master of Disguise è in definitiva un album coraggioso, maturo e per larghi tratti indubbiamente splendido. Di certo non resta esente da difetti e un paio di brani in meno avrebbero forse giovato per la compattezza e l’unitarietà del lavoro. Ma evidentemente, così come esagerato è l’aspetto teatrale in esso contenuto, il buon Lizzy ha pensato bene di essere coerente con sé stesso eccedendo anche con il numero di tracce. Pur possedendo picchi molto importanti, quindi, esso si colloca un gradino al di sotto del precedente Visual Lies, a tutt’oggi giustamente considerato il masterpiece della band. Master of Disguise è l’ultima pubblicazione prima della reunion del 1999; il ciclone grunge travolgerà infatti anche i Lizzy Borden, come del resto tanti altri eccellenti protagonisti della scena metal anni Ottanta. Il relativo successo di vendite, abbastanza soddisfacente eppure non quanto sperato e meritato, è invero con buona probabilità dovuto al fatto che già alla fine del decennio il vento del rock sta per cambiare direzione. Forse qualche anno prima, su un terreno di gran lunga più fertile, un disco così ambizioso avrebbe conosciuto ben altra sorte. Chissà.
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2
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Band molto sfortunata perché quando doveva fare il salto di qualità con Visual Lies, anche grazie ad un gusto più da \'classifica\', il prodotto non riuscì a sfondare, ed il tour con Alice Cooper venne annullato. Qui si riparte da una personale versione teatrale proprio figlia di Alice Cooper, con qualche accenno progressivo alla Queensryche. Altro album molto riuscito per Lizzy. 85 anche per me |
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1
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Classe a palate, band molto sottovalutata, ma una delle più grandi |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Master of Disguise 2. One False Move 3. Love Is a Crime 4. Sins of the Flesh 5. Phantoms 6. Never Too Young 7. Be One of Us 8. Psychodrama 9. Waiting in the Wings 10. Roll Over and Play Dead 11. Under the Rose 12. We Got the Power
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Line Up
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Lizzy Borden (Voce) David Michael Phillips (Chitarra) Ronnie Jude (Chitarra) Mike Davis (Basso) Joey Scott Hargen (Batteria)
Musicisti ospiti Mike Razzatti (Chitarra) Elliot Solomon (Tastiera) William Kidd (Tastiera, Orchestrazioni) Joey Vera (Basso) Brian Perry (Basso) Tim Stithem (Percussioni)
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RECENSIONI |
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