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Hexvessel - Polar Veil
02/12/2023
( 875 letture )
Trasferitosi ormai da qualche anno nelle terre finlandesi, amate e prescelte anche per i forti legami con le proprie tradizioni culturali e popolari, Mat "Kvohst" McNerney sembra aver deciso con il nuovo disco dei suoi Hexvessel di seguire una nuova ispirazione, che sia in qualche modo più affine alle fredde terre che lo hanno accolto. Fino a oggi, gli Hexvessel hanno avuto una storia abbastanza travagliata e particolare. Attivo dal 2009 e autore del proprio debutto Dawnbearer del 2011, il gruppo è sempre ruotato attorno alla figura del cantante e polistrumentista inglese, con una identità molto legata al folk prog psichedelico, al rock occulto e al proto-doom e tematiche filosofiche di profondo carattere pagano e rituale. Dopo il trasferimento in Finlandia e la rifondazione con musicisti locali, che portò a quello che viene considerato il loro disco più rappresentativo, No Holier Temple, il terzo album When We Are Death del 2016 aveva spostato le loro coordinate musicali, ma qualcosa non sembrava aver funzionato a dovere. Una sensazione amplificata dal fatto che i successivi All Tree e Kindred riprendevano in pieno lo stile del secondo disco, raggiungendo nel secondo caso livelli forse anche più interessanti. E’ quindi con una certa sorpresa che il sesto album, Polar Veil, venne annunciato come una riscoperta delle radici propriamente black metal del band leader, autore pressoché unico dei brani e collaboratore di Dødheimsgard, Code, Beastmilk e Grave Pleasures, che ha passato l’inverno del 2022 rinchiuso nella sua casetta di legno nella foresta a comporre il disco, facendosi ispirare dall’atmosfera glaciale della stagione.

Accompagnato da una bellissima e a dir poco evocativa copertina, che illustra in maniera perfetta il contenuto musicale del disco, Polar Veil vede quindi uno spostamento delle sonorità degli Hexvessel, che non rinunciano in toto alla propria identità, ma la rivestono di un abito nuovo e decisamente particolare. Le dichiarazioni di McNerney confermano in maniera netta la profondità della sua ispirazione e della decisione presa:

“Nature represents freedom, darkness and the call of the wild. Black Metal has always been at the borders of my sound and playing, at the heart of everything I do. Tradition, nature, ritual, mythology, mysticism and philosophy, along with clashing and jarring chords have always been synonymous with Hexvessel. It was natural with Polar Veil, finally now as we reach the zenith of the journey, that these influences surface to the human ear, and with the freezing cold guitar sound that the climate here demands.”

Il risultato di questa nuova ispirazione è quindi un qualcosa di molto particolare. McNerney e i suoi compagni, infatti, tentano un’impresa a parole praticamente impossibile: far convivere psichedelia e black metal, in una chiave folk, rituale e misteriosa che costituisce il trait d’union tra le due componenti. E’ così che in Polar Veil troviamo le chitarre glaciali e piene di delay, il tremolo, l’atmosfera epica, fredda e battagliera tipiche del black metal, unite a un uso discreto ma intelligente delle tastiere e alle tipiche melodie stralunate della psichedelia folk tipica finora della band. Quasi del tutto epurato da due elementi fondamentali del genere, come lo screaming e i blast beat e arricchito da arpeggi, cori e un cantato pulito quanto enfatico, il black/folk proposto in Polar Veil è davvero particolare e a suo modo unico. Gli amanti della band non faticheranno a riconoscere il gruppo in questa sua nuova espressione mentre per i seguaci delle sonorità della nera fiamma potrebbe risultare difficile penetrarne il senso e la profondità filosofica, fino al punto di considerare questa fusione quasi eretica e inaccettabile. Eppure, incredibile a dirsi, musicalmente il tutto funziona, se lo si guarda dalla prospettiva degli Hexvessel, più che da quella del black ortodosso: Polar Veil riesce in maniera esemplare a evocare le atmosfere tipiche del Nord, il terrore atavico del freddo, del buio, di una natura magnifica quanto potenzialmente ostile, dominante e indomita, intoccata e impenetrabile. Con essa, una tradizione antica, radicata e del tutto peculiare, come quella finlandese e nordica in generale, unica e foriera di riti pagani persi nel tempo. Un invito a nozze per la vena lirica del cantante e per l’evocativa vena compositiva prescelta.
Il contrasto tra le due vene compositive principali emerge fin dall’apertura di The Tundra Is Awake, che ha l’arduo compito di aprire il disco e lo fa mettendo subito in chiaro i valori in gioco: riff tipicamente black, voce in pulito evocativa e recitativa come da tradizione, batteria lenta e scandita, riff che si intrecciano, tastiera enfatica, arpeggi dissonanti e refrain d’effetto. La ricetta è servita e, per quanto ardita possa apparire a parole, il tutto funziona e lascia spiazzati. Ancora più evocativa Older Than the Gods, nella quale è ospite Okoi dei Bölzer che aggiunge delle parti in growl, un brano che ha reminiscenze doom e che non lascia indifferenti. Addirittura migliore la successiva Listen to the River, lenta e catartica, nella quale McNerney tira fuori il meglio da se stesso e dall’atmosfera epica e doom del brano, con tanto di finale spettrale e questa costante sensazione di freddo che non lascia l’ascoltatore. A maggior ragione quando ci ritroviamo davanti A Cabin in Montana, aperta da un arpeggio glaciale e che evolve poi in un brano black tout court, fatta salva la batteria, ancora lenta e scandita. Refrain da urlare al mondo e passaggi strumentali che ricordano gli Enslaved e aprono squarci di foreste innevate e gole aspre e dure. Blast beat che irrompe infine in Eternal Meadow, brano tipicamente black, in tutto e per tutto, salvo il salmodiare di McNerney, che si doppia e aggiunge cori e controcanti, interrompendo la traccia a metà con un arpeggio distorto su cui si innesta una splendida parte di chitarre classiche, ennesimo azzardo riuscito, a cui fa seguito un semplice quanto riuscito assolo, che riporta il brano all’atmosfera black, per il finale potente e corale. Riff potente e arpeggi dissonanti per Crepuscolar Creatures per una delle tracce più particolari del disco, che lancia invece una delle più riuscite e importanti, Ring. Qui funziona proprio tutto, bella la prima parte, ottima la seconda, con l’alternanza tra pause e accelerazioni condite dal coro. Gran bel pezzo, che ci conduce alla chiusura: Homeward Polar Spirit apre nuovamente col blast beat e un riffing spietato quanto dissonante, che combinato col cantato crea un contrasto estremo, per quanto si resti sul registro pulito. Numerosi i campionamenti in sottofondo che contribuiscono a riempire in maniera claustrofobica lo spettro sonoro, assalendo l’ascoltatore, finché il rallentamento conclusivo con il coro che recita il refrain ripetutamente ci porta al finale con enfasi e trasporto.

Alla fine di questo vero e proprio percorso, sono molti i punti di attenzione sollevati. Il che, se vogliamo, è già un successo, rispetto a un disco canonico che scorre senza lasciare niente. Mat McNerney è un veterano, ha suonato e suona in diverse band, ma questi Hexvessel sono un qualcosa di particolare, che aveva una sua precisa identità. Allora perché stravolgerne in maniera così netta le coordinate musicali? Il cantante e polistrumentista sembra essere un Artista, nel vero senso della parola, mosso più dall’ispirazione che dalla necessità di soddisfare le aspettative del pubblico e questa potrebbe essere una giustificazione sufficiente. Ma il risultato è poi così soddisfacente da rendere necessaria e comprensibile questa mutazione? Qui la risposta è meno facile. Siamo di fronte a qualità strumentali e compositive che non si trovano facilmente e il risultato è che Polar Veil suona affascinante, nel concept e nelle canzoni, che riescono nonostante tutto a sembrare ancora degli Hexvessel, inserendo elementi perfino di avantgarde. Certo, il disco è tutt’altro che di facile assimilazione, richiede diversi ascolti per cogliere le differenze tra un brano e l’altro e il fatto di aver deliberatamente privato il genere black di due caratteristiche fondative come lo screaming (totalmente) e il blast beat (quasi) disorienta un po’: c’è un motivo, se vengono utilizzati in questo contesto. Il risultato, quindi, non è un capolavoro, anche se intriga e in assenza di brani di livello superiore, ce ne sono almeno tre ottimi (Older Than the Gods, Listen to the River e Ring), uno decisamente molto valido e trascinante, come A Cabin in Montana e nessun filler. Il che pur nella sorpresa e nello spiazzamento che Polar Veil porta con sé, lo rende innegabilmente un disco di valore.
Difficile a questo punto capire quale sarà il futuro della band: un nuovo ritorno alle origini? Una prosecuzione di questa vena black/folk/avantgarde? Altro ancora? Cambiamenti così radicali di solito hanno conseguenze altrettanto radicali. Vedremo se sarà questo il caso. Per adesso, l’esperimento può dirsi riuscito, anche se le sue implicazioni future appaiono da decifrare e le sue ragioni primarie, al di là delle dichiarazioni d’intento, restano altrettanto oscure. Ai posteri, l’ardua sentenza, per noi un disco affascinante e che merita senz’altro una chance, anche solo per il coraggio e la sincerità.



VOTO RECENSORE
76
VOTO LETTORI
98 su 1 voti [ VOTA]
Lacrimosa
Venerdì 8 Dicembre 2023, 19.58.26
3
La copertina è opera di Benjamin König degli ormai ex Lunar Aurora!
Pete over the world
Martedì 5 Dicembre 2023, 9.23.48
2
Album fantastico e a breve li vedo live.
No Fun
Domenica 3 Dicembre 2023, 21.47.30
1
La rece mi ha incuriosito parecchio. Lo ascolto di sicuro e recupero anche qualcosa del passato. Copertina splendida tra l\'altro.
INFORMAZIONI
2023
Svart Records
Folk/Black
Tracklist
1. The Tundra Is Awake
2. Older Than the Gods
3. Listen to the River
4. A Cabin in Montana
5. Eternal Meadow
6. Crepuscolar Creatures
7. Ring
8. Homeward Polar Spirit
Line Up
Mat "Kvohst" McNerney (Voce, Chitarra, Tastiera)
Kimmo Helén (Piano, Tastiera, Strumenti ad arco)
Ville Hakonen (Basso)
Jukka Rämänen (Batteria)

Musicisti Ospiti
Okoi (Voce su traccia 2)
Ben Chisholm (Tastiera, Archi su traccia 3)
Nameless Void (Chitarra solista su traccia 7)
 
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