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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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SLIPKNOT + AT THE GATES + TEMPERANCE - Ippodromo delle Capannelle, Roma, 16/06/2015
21/06/2015 (4071 letture)
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QUESTIONE DI COREY Lo ammetto: il recente nuovo album degli Slipknot, sebbene non costituisca un capolavoro destinato a passare alla storia del metal, è stato un ritorno anche più gradito di quanto mi aspettassi; sono affezionato da molti anni ai nove mascheroni ed il loro lunghissimo stop, dovuto alle note circostanze, mi aveva davvero fatto temere una precoce calata di sipario sulla loro storia. Aver riascoltato loro nuova musica, per giunta di buon livello, è stato dunque come tornare indietro nel tempo, come ritrovare dei vecchi amici che non vedevi da tempo e che davi ormai per persi. Chiaramente, pertanto, non appena il Rock in Roma ne ha annunciato l’arruolamento, l’acquisto dei biglietti è stato inevitabile. Per di più, a rendere ulteriormente interessante una serata che mi aveva già conquistato grazie ai soli folli dell’Iowa, il Rock in Roma ha affiancato loro gli At the Gates, anche loro quanto mai graditi, in quanto Tompa e soci sono stati uno dei primi collettivi di metal estremo a catturare la mia attenzione (Blinded by Fear è la placida suoneria del mio telefono da anni). Non a caso, l’annullamento della loro data romana era stata fonte di notevoli imprecazioni, sebbene fin da subito si fossero rincorse voci di un possibile reinserimento degli svedesi nel contesto di un evento più ampio, come per l’appunto puntualmente verificatosi. Insomma, la data del 16 giugno era di quelle da segnare sul calendario in rosso e, come mia consuetudine, nel lieto giorno mi reco a Capannelle con notevole anticipo, al fine di evitare il mortifero traffico dell’Appia, accompagnato dall’amico Lorenzo, compagno di molti concerti più o meno metal.
TEMPERANCE Giunti sul posto ed entrati nell’area concerti, dove ci incontriamo con un nutrito gruppo di amici, ci apprestiamo a seguire lo show degli italiani Temperance, subentrati come opening act ai King 810, inizialmente scelti per l’arduo compito. Il genere proposto dai musicisti, una sorta di symphonic metal moderno vagamente in stile Epica, mal si sposa con la violenza della serata, ma nonostante ciò questi ragazzi se la cavano bene, riscuotendo consensi fra i non molti spettatori già presenti. I suoni, stranamente, sono buoni fin dall’inizio e permettono di apprezzare lo stile della band, magari non particolarmente originale ma comunque intrigante, nonché la bella voce della cantante Chiara Tricarico, applauditissima soprattutto dal pubblico maschile, anche se non esclusivamente per ragioni canore. Il controcanto in growl del chitarrista Marco Pastorino, invece, è un filo meno convincente, ma il nostro si riscatta ampiamente con il suo strumento, con cui sciorina riff ed assoli di ottima fattura. Sfortuna vuole che proprio durante il concerto dei Temperance cominci a piovere, inizialmente poco, poi sempre di più, costringendo parecchi fra i presenti a trovar rifugio ove possibile; non è certo d’aiuto per una band giovane e che ha il compito di aprire un concerto, ma i nostri non si scompongono e concludono lo show salutati da applausi e qualche coro goliardico, facilmente immaginabile.
AT THE GATES Mentre la pioggia diminuisce, regalandoci anche un poetico arcobaleno, la temperatura del Rock in Roma si abbassa improvvisamente; no, non per ragioni climatiche, bensì perché è il momento degli At the Gates, pronti a sconvolgere gli spettatori con il loro gelido melodic death di Goteborg, di cui hanno contribuito a definire i canoni. L’apertura è affidata a Death and the Labyrinth, primo di diversi estratti dal recente At War with Reality, che ha segnato il ritorno discografico della band a quasi venti anni di distanza dall’immortale Slaughter of the Soul. Non sono rimasto del tutto convinto dal nuovo album, sinceramente, ma la potenza live dei suoi brani è innegabile e ci mostra una band in forma smagliante, a cominciare da Tomas Lindberg, la cui ugola tocca ancora tonalità lancinanti. E’ un po’ ingrassato, Tompa, ma il suo inconfondibile cappello e le sue urla ci ricordano che è sempre lui. La band, come detto, crede molto nelle potenzialità della nuova fatica discografica e ne estrae diverse tracce, vale a dire la title-track, l’oscura Heroes and Tombs, The Circular Ruins e The Book of Sand. Benché l’esecuzione di tali pezzi sia potente e chirurgicamente precisa, niente può però battere i classici di Slaughter of the Soul: la title-track del masterpiece del ’95, proposta come seconda traccia, è un portento e quasi non mi sembra vero di poterla finalmente ascoltare dal vivo. Gli spettatori nelle mie vicinanze, con l’eccezione di qualche aficionado (fra cui la nostra Floriana “Rosa Velata” Ausili), non sembrano invece provare il mio stesso entusiasmo, reagendo timidamente all’assalto sonoro degli scandinavi. Solo verso la fine, dopo diversi trucchi da frontman consumato da parte di Tompa per caricare l’audience, le reazioni sembrano più convinte. La scarsa partecipazione, segno tangibile del fatto che molti siano accorsi soltanto per gli headliner, ferisce un po’ il mio orgoglio di fan sperticato degli At the Gates, ma, per fortuna o purtroppo a seconda dei punti di vista, c’est la vie, quindi penso intanto a godermi lo show per conto mio. Cold, Under a Serpent Sun e Suicide Nation sono altre bordate più che meritevoli del prezzo del biglietto ed ho modo di ricredermi su Adrian Erlandsson, che ho sempre ritenuto bravo, ma un po’ piatto: la prestazione del batterista, così come del resto quella di tutti i suoi compari, è impeccabile ed i volumi sono nuovamente buoni, anche se dopo il concerto mi verrà detto, dal buon vecchio Fabio Rossi, che sul lato opposto al mio i suoni delle chitarre risultavano molto meno limpidi. A chiudere un’ora di grande intensità, naturalmente, non può che essere la mia suoneria, quella Blinded by Fear che costituisce, a tutt’oggi, una delle tracce di apertura più clamorose che la storia ricordi. Signori, qui si fa la storia ed è mia ferma intenzione rivedere Lindberg ed i fratelli Björler il prima possibile.
SETLIST AT THE GATES
1. Death and the Labyrinth
2. Slaughter of the Soul
3. Cold
4. At War With Reality
5. Terminal Spirit Disease
6. The Circular Ruins
7. Under a Serpent Sun
8. Suicide Nation
9. Heroes and Tombs
10. The Book of Sand (The Abomination)
11. Blinded by Fear
SLIPKNOT Tanto per ribadire quanti fra i presenti attendano spasmodicamente l’arrivo dei nove ragazzoni dell’Iowa, la sola apparizione della coreografia scelta per lo show scatena boati ed entusiasmi da parte dei maggots: si tratta, per la precisione, di un immenso caprone con denti aguzzi e lingua di fuori, più ridicolo che inquietante a dirla tutta, condito dalle immancabili fiamme e dai giganteschi tamburi che saranno appannaggio di Shawn Crahan e Chris Fehn. Mentre i maxischermi indugiano sugli spettatori, fra cui un indiscusso genio mascherato da Homer Simpson, ripenso al mio primo e finora unico show degli Slipknot, risalente all’ormai lontano Gods of Metal 2009, quando nel gruppo militavano ancora Paul Gray e Joey Jordison: saranno capaci i due sostituti, Alessandro Venturella e Jay Weinberg, di non farli rimpiangere, anche a livello puramente scenografico? Come scoprirò, la risposta è un nì, ma quando le luci si spengono ogni residuo pensiero va a farsi benedire: il lugubre monologo XIX, cantato a squarciagola dal pubblico, inaugura il massacro sonoro targato Des Moines, che vede il suo vero e proprio inizio con l’ottima Sarcastrophe, uno dei brani migliori dell’ultimo album. La risposta è già incredibile e nelle mie vicinanze si apre un piccolo, ma violento circle-pit, che durerà praticamente per tutto il concerto e da cui in parecchi casi sarà necessario difendersi, stante l’entusiasmo eccessivo di alcuni pogatori con il vizio di alzare il gomito (in tutti i sensi, probabilmente). Corey Taylor è in forma perfetta, anche se non raggiunge i livello di aggressività di un tempo ed onora al meglio la devastante brutalità di The Heretic Anthem, uno dei brani più pesanti dell’intera discografia degli Slipknot. Sentire e cantare dal vivo il mitico refrain If you’re 555 than I’m 666 non ha davvero prezzo! Un altro brano che, nonostante le tante critiche, fa sempre presa a dovere sul pubblico è Psychosocial, che sarà peraltro l’unico estratto da All Hope is Gone; implicita auto-bocciatura per il quarto album in studio? Non ci è dato saperlo, tanto più che personalmente amo anche quel disco, ma va detto che i nove non fanno certo rimpiangere l’assenza di una Sulfur o di una Dead Memories: Psychosocial è difatti seguita dal duo The Devil in I ed AOV -quest’ultima davvero impressionante in sede live- nonché dalla sorprendente, ma sempre gradita Vermilion. Corey Taylor, fra un brano e l’altro, carica a dovere gli spettatori, ma ci tiene anche a ringraziarli diverse volte per un sostegno mai venuto meno, che “ha permesso ai ragazzi della band di superare l’Inferno attraverso il quale sono passati negli ultimi anni”. Può chiaramente trattarsi delle solite frasi di circostanza, ma sono davvero tante le volte in cui il frontman omaggia il suo pubblico, il che fa pensare che, tutto sommato, la gratitudine di questi tizi mascherati sia sincera. Non pensate, però, che tutti questi buoni sentimenti coincidano con una minor violenza sul palco: gli Slipknot suonano più veloci e pesanti che mai, Mick Thomson sciorina riff ed assoli con algida precisione, Jim Root lo segue a ruota (pur essendo, a mio parere, complessivamente meno talentuoso) ed i due percussionisti si dannano l’anima come sempre. Molto più in ombra, invece, al di là della precisione esecutiva, resta Venturella, che si limita ad eseguire il suo compito, al pari del pur abile Weinberg jr. (il padre, per chi non lo sapesse, è il batterista di Springsteen!); i due, insomma, appaiono più come semplici turnisti che come membri della band, il che appare un po’ ingiusto nei loro confronti. Certo, va detto che un basso pacchiano come quello di Venturella, con i capotasti luminosi, lo avevo visto solo in mano a Chris Wolstenholme dei Muse, quindi forse merita di stare nelle retrovie… scherzi a parte, batterista e soprattutto bassista meriterebbero maggior considerazione, dato che sono sicuramente più utili alla causa di Sid Wilson e Craig Jones, con tutta la stima che posso provare per i due membri di lunga data! Eseguita questa tirata d’orecchie a Corey e soci, possiamo tornare a parlare della musica: Wait and Bleed, esclusa da alcune recenti scalette, è un classico intramontabile che riporta dritti alla furia del 1999, mentre Killpop, più melodica rispetto agli altri brani estratti da .5: The Gray Chapter, è una gradita novità, che manda peraltro in solluchero il mio amico Lorenzo, che la adora. Curiosamente, Killpop viene eseguita in luogo di The Negative One, che pure tutti si aspettavano. Poco male, anche in questo caso: l’inconfondibile riff di Before I Forget fa esplodere il pubblico romano, che partecipa con folle entusiasmo al brano e plaude con egual foga alla fragorosa bestemmia piazzata da Corey giusto sul finale; dopo tale complimento rivolto all’Altissimo, il cantante ringrazia ancora una volta il pubblico e lo definisce uno dei migliori mai avuti dagli Slipknot in sedici anni, benché un bomber vicino a me, evidentemente presente alla data meneghina di febbraio, lo apostrofi con un eloquente: A cazzàro! L’hai detto pure a Milano! Cose che si dicono, in fondo…ci si avvicina verso la parte più calda dello spettacolo, inaugurata da Duality ed onorata al meglio dalla spaventosa violenza di Eyeless, dove il pogo raggiunge livelli inauditi. Anche Spit it Out, del resto, è invecchiata assai bene, mentre si rivela perfettamente incastonata in tale contesto la nuova Custer, uno dei pezzi forti di .5: The Gray Chapter. Giunti a questo punto, i musicisti si ritirano momentaneamente dietro le quinte, lasciandoci con i classici dubbi che precedono ogni encore che si rispetti: quanti altri brani suoneranno? Faranno questo o quell’altro? Dal mio canto, le speranze sono riposte in Left Behind, People = Shit e Surfacing e vengo accontentato in due casi; Left Behind è sostituita (più che degnamente, va detto) da (sic), mentre le altre due canzoni chiudono alla perfezione un’ora e mezza abbondante di grande musica. Resistere alla tentazione di spaccare tutto e sputare l’ultimo frammento di polmone, quando si ha a che fare con i ritornelli di People = Shit e Surfacing, è semplicemente impossibile.
SETLIST SLIPKNOT 1. Sarcastrophe
2. The Heretic Anthem
3. Psychosocial
4. The Devil in I
5. AOV
6. Vermilion
7. Wait and Bleed
8. Killpop
9. Before I Forget
10. Duality
11. Eyeless
12. Spit It Out
13. Custer
---- ENCORE ----
14. (sic)
15. People = Shit
16. Surfacing
GOING TO SLEEP(KNOT) Stanchi, senza voce, dolenti al collo per l’headbanging ed un po’ in tutto il corpo per il pogo, ma con un gran sorriso sulle labbra, lasciamo infine il Rock in Roma in tranquillità, mentre risuonano nell’aria le note di ’Til We Die, sottovalutato brano dei nove di Des Moines, contenuto nell’edizione speciale di All Hope Is Gone. Che aggiungere sullo show che si è appena consumato, prima di andare tutti a quanti a letto a gustare un meritato sonno? Poco da dire sulla musica: i tre gruppi sono stati impeccabili e, per quanto riguarda gli headliner, vederli ancora così in forma dopo tutto quel che hanno passato è davvero una bella notizia. Saranno forse divenuti più professionisti e meno belve da palcoscenico, più maturi e meno rabbiosi di un tempo, ma direi che possiamo esser comunque più che soddisfatti. Su un solo aspetto di questo evento, ben riuscito anche dal punto di vista organizzativo, desidero esprimere perplessità che, ci tengo a precisarlo, sono assolutamente personali: premetto che non ho ovviamente nulla contro chi sceglie di acquistare il biglietto per il Gold Circle, ma non posso fare a meno di chiedermi: a cosa serve questo benedetto Gold Circle? In caso di sovraffollamento (chi ha detto Sonisphere?) rischia di trasformarsi in un recinto che può essere rischioso anche per l’incolumità di chi vi si trova; in caso di scarsa affluenza, invece, si aumenta il senso di dispersione del pubblico e si lasciano buchi poco sensati; stasera, ad esempio, c’erano una decina di metri buoni fra gli ultimi spettatori del Gold Circle e le transenne. Cui prodest? Sicuramente alle tasche degli organizzatori, ma per il resto ne capisco poco il senso. Probabilmente la mia è una polemica gratuita e fine a se stessa…ma diteci: voi cosa ne pensate?
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@Nu Metal Head: Mamma mia insieme a Machine Head e CoB deve essere stata una serata della madonna!!!! @Barry: Incredibile, la parte Gold era talmente vuota che io ho pogato mooolto di più al concerto dei Blind Guardian a maggio e per assurdo a quello di Caparezza l'anno scorso... A questo, visto lo spazio disponibile, ho preferito un ascolto più rilassato (e un consumo industriale di birra)... Si... Ho voluto fa il signore xD |
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@heavylollo: io quando li avevo visti a milano insieme a machine head e children of bodom l'avevano fatta, e non sai cosa significa poter urlare a squarciagola: "I AM THE DAMAGED ONE!!! ALL MY LIFE AND THE DAMAGE DONE!!! I AM THE DAMAGED ONE!!! ALL MY LIFE AND THE DAMAGE DONE!!!" (tra l'altro insieme ad un tizio conosciuto lì sul posto che era insieme alla sua bambina e sapevano tutti i testi di tutti e 3 i gruppi a memoria! grandissimi! )... uah ah ah ah...  |
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@Vale: Grazie per i complimenti lo so, anche io avrei voluto due-tre brani in più, è vero che loro suonano in modo molto impegnativo vista anche la performance fisica, però a 20 brani si poteva tranquillamente arrivare strano per l'acustica, sulla sinistra era buona, magari inizialmente era settata male la parte destra @HeavyLollo: Ahah grazie, di solito in realtà porto la mia fidata macchina fotografica Sony, che ha una risoluzione ed uno zoom sensibilmente maggiori, ma temevo pioggia e botte da pogo, che in effetti sono arrivate puntualmente  |
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complimenti per lo zoom del telefono Barry!! Comunque io ho sofferto di più per l'assenza di "The Blister Exists" rispetto a "Left Behind".... Live deve essere mostruosa.. sigh |
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Concerto impeccabile, ma setlist troppo corta. Non suonare Liberate e The Blister Exists e' stata un'assurdità visto che lo show e' finito molto prima di mezzanotte. L'acustica dei gruppi di supporto e' stata indecente per lo meno dove mi trovavo io nella parte destra del palco all'interno del golden circle. Complimenti Andrea per il report molto dettagliato. |
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Ormai c'è st'andazzo di fare concerti di 15/16 canzoni. Non dico che tutti debbano fare come Springsteen, le cui esibizioni vanno avanti a oltranza, però dai..... |
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In realtà ero a ridosso delle transenne che dividevano il Gold Circle dall'area dei "normali" è lo zoom del telefono che era buono XD sì, Left Behind doveva esserci, ma pazienza  |
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Io ho incredibilmente sculato il biglietto gold circle perché un tizio all'ingresso ha scambiato con me il suo gold per il mio normale... Sono comunque d'accordo sull'inutilità di tale differenziazione e su quello che ha detto Barry in sede di commento (tra l'altro a giudicare dalle foto doveva essere di pochi passi avanti a me). Detto questo sono rimasto impressionato dalla potenza di questi ragazzi (è stata la prima che li vedevo dal vivo) e dalla nitidezza dei suoni, a parte la voce che ogni tanto risultava un po' sommersa (almeno dalla mia postazione)... Non mi sarebbe dispiaciuto qualche pezzo in più, in particolare non ho metabolizzato l'assenza di "the Blister Exist", oltre a "left behind", "my plague", "sulfur"... Vabbè non si può avere tutto dalla vita.. Grande concerto comunque, soldi ben spesi! |
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@Prometheus: Sì, hai ragione, infatti ho scritto "vagamente" Epica sono stati la prima band che mi è venuta in mente anche se le differenze sicuramente sono parecchie; però per quel poco che anche io ho sentito mi pare che qualche influenza estrema, almeno negli strilli del chitarrista, ci fosse. Comunque era un paragone per fornire a chi non c'era un minimo di idea  |
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Slipknot devastanti, un concerto strepitoso. Sul Gold Circle sono d'accordissimo con te, peraltro in questo caso è stato anche inutile; a che serve un'area speciale davanti se ci sono solo una decina di migliaia di persone? Posso anche capirlo per questioni di sicurezza quando arrivano 30-40 mila persone, ma in questo caso è solo per spillare più soldi possibili. Solito modus operandi della Live, guarda caso al Rock in Roma è stato messo in atto solo in 2 suoi concerti (Metallica e proprio Slipknot). |
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Concerto di un'intensità pazzesca |
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Il gold circle e' una merda. Non so se esista anche fuori dai nostri confini, ma resta una merda. |
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Mi è saltato un pezzo del commento: gli At The Gates mi piacciono moltissimo, anche se l'ultimo album non mi ha fatto fare grida di gioia. |
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"Una sorta di Symphonic metal in stile Epica": WTF?! E la marmotta che confeziona la cioccolata no? Per quel poco che ho sentito, non mi sembrano né symphonic metal né vicini agli Epica. Non è che siccome c'è una donna al microfono fanno symphonic, perché valli a trovare orchestra (non due archi in croce fatti con la tastiera, ma un'orchestra di vari elementi, anche virtuale) e il coro negli Amaranthe. Poi, se davvero fossero stati in stile Epica, avrebbero dovuto avere delle influenze estreme non così assurde per la serata. Tra le band che conosco, l'unica che imita gli Epica sono i Diabulus In Musica. Anyway, gli Slipknot li sto esplorando da poco e devo dire che mi piacciono molto. Mi dispiace non essere potuto venire. |
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perfettamente in sintonia con te per quanto riguarda il gold circle.....che lo facciano ai concerti pop ma con il metal non ha nulla a che fare......possibile che all'estero nei più importanti festival non si vedono queste cose ma solo da noi? In pratica sei io prendo il biglietto normale( che sono comunque bei soldi)divento automaticamente spettatore di serie b |
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