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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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KAMELOT + GUS G. - Live Club, Trezzo sull'Adda (MI), 08/10/2015
13/10/2015 (2118 letture)
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I Kamelot tornano in Italia per presentare Haven, secondo disco del post-Roy Khan. In Haven Tommy Karevik -nuovo singer della band- è autore di una prestazione decisamente più convincente di quella contenuta in Silverthorn, suo esordio con i Kamelot. L'attenzione dei fan accorsi al Live Club di Trezzo sull'Adda era, dunque, focalizzata principalmente sul cantante svedese: Karevik, per fortuna, ha risposto presente, sfornando una prestazione mostruosa, da singer di livello assoluto. Anche la spalla della band di Youngblood e Karevik era di quelle d'eccezione: si trattava nientemeno che di Gus G., virtuoso della sei corde e attuale chitarrista di Ozzy Osbourne. In una rapsodia di orchestrazioni, assoli ed esplosioni metalliche, la serata è trascorsa piacevolmente, all'insegna del divertimento e della buona musica. Solo qualche nuvola, isolata, si è addensata sullo sfondo.
GUS G. Gus G. e la sua band infiammano da subito gli appassionati di hard rock e di shred metal accorsi al Live Club. La proposta del moniker è, ovviamente, oltremodo chitarrocentrica, con l'axeman di origine greca che si prende da subito il centro del palco e le luci della ribalta. Il fidato scudiero di Gus G., il singer Henning Basse, accompagna a dovere la prestazione sopra le righe del mastermind. Basse è dotato di un timbro a metà tra hard rock e metal e di una voce molto potente, che ben si presta alla violenta resa live dei pezzi della band. Nondimeno, è difficile non pensare allo stato di salute delle sue corde vocali, continuamente martoriate da fraseggi brutali e taglienti, affrontati con una tecnica vocale -almeno all'apparenza- piuttosto approssimativa. Dicevamo del chitarrocentrismo: Gus G., com'è noto, è nel novero dei maggiori virtuosi dello strumento presenti nell'attuale scena metal. Assolutamente perfetta la sua performance -spesso esaltante nei momenti più ispirati- almeno da un punto di vista prettamente musicale; il comparto comunicativo, invece, è un po' da rivedere. Battute scontate, riferimenti costanti agli anni 80 e al periodo d'oro delle rockstar (caro Gus, ci spiace ricordartelo, ma all'epoca eri un bambino). Provare ad automitizzarsi in modo così spregiudicato, relazionandosi forzosamente con un'epoca che si conosce solo per sentito dire (certo, Ozzy di storie gliene avrà raccontate parecchie), non pare un'operazione onesta e trasparente nei confronti dell'audience. Gus G. si riferisce a un mondo e a un ascoltatore medio che forse non esistono più, o che comunque sono in via d'estinzione: il comparto empatico, nella musica contemporanea, è imprescindibile; da questo punto di vista Gus e compagni sono bocciati senza appello. Anche l'abbinamento con i Kamelot, ascrivibili a un genere diametralmente opposto, pare poco equilibrato. Difficile tracciare un ponte musicale tra le due band (pure se Gus G. ha suonato su Poetry for the Poisoned); il pubblico, inevitabilmente, era suddiviso -cosa riscontrabile anche a occhio- in scaglioni piuttosto netti. Gus, in ogni caso, ha saputo regalare buonissime sensazioni agli astanti, lavorando di pura classe: eccellente in particolare l'accoppiata conclusiva, con la coinvolgente e rabbiosa I Am the Fire e un'esplosiva cover di Crazy Train, cantata a pieni polmoni dall'intero Live Club. Una buona performance, nel complesso, ma di quelle buone performance che non riescono a lasciare il segno e a convincere appieno.
KAMELOT I Kamelot partono fortissimo: dopo aver infranto il Veil of Elysium e aver dato un assaggio di Haven -il disco che stanno portando in tour- il quintetto guidato da Tommy Karevik e Thomas Youngblood si lancia in un volo ad ali spiegate attraverso i brani storici del repertorio classico degli anni Duemila. S'inizia con When the Lights Are Down, che dà la prima vera scarica di energia al pubblico e che mette in mostra un Karevik in forma vocale smagliante; poi ci si tuffa nel Great Pandemonium (che, in quanto brano dalla complicata resa sonora complessiva, presta un po' il fianco in sede live) e si conclude il lotto con la formidabile doppietta di superclassici Center of the Universe/Karma. Il protagonista della serata continua a essere Karevik, che dimostra di avere enorme confidenza con la propria voce, di essere dotato di un'imbarazzante facilità di emissione e di star prendendo sempre più le distanze dalle timbriche "khaniane" che tanto avevano snaturato la sua performance su Silverthorn. Youngblood, dal canto suo, è il solito robot macina assoli, con Tibbets -il più sacrificato dal punto di vista del missaggio sonoro- che si prende invece ampi spazi giullareschi sul palco. Casey Grillo, dietro le pelli, è una certezza, mentre Oliver Palotai pare sempre un po' fuori contesto (emotivamente parlando), come se suonasse per sé stesso, più che per il pubblico. Linnéa Vikström -la vocalist di supporto scelta dai Kamelot per questo tour- non ha invece né il carisma, né l'impatto scenico, né la presenza vocale delle più titolate Simone Simons, Elyze Ryd e Alissa White-Gluz (tutte "lanciate" dai Kamelot stessi); il confronto con Karevik è nella maggior parte dei casi impari. Center of the Universe e Karma sono tra i punti più alti della serata, con lo zoccolo duro dei fan della band che esplode in un canto a squarciagola e il resto degli astanti che si unisce a cori pro-Tommy e pro-Kamelot di tipico stampo italico. La presenza emotiva del pubblico è buona, anche se non travolgente; il locale non è pieno e le canzoni degli ultimi due album -quelli del post Roy Khan- paiono avere una presa sull'audience non paragonabile a quella dei grandi classici del passato. La sensazione, giunti quasi a metà live, che la grande attrattiva dei Kamelot 3.0 (c'è stato anche un pre-Roy Khan) sia proprio il buon Karevik si fa sempre più forte. I Kamelot degli ultimi dischi sembrano aver fatto un patto con sé stessi e con lo scorrere del tempo: a una classe sempre maggiore e a capacità compositive ormai giunte a livelli di assoluta eccellenza, corrispondono, per inverso, un'esuberanza e una spigliatezza in diminuzione, disco dopo disco e live dopo live. Da metà in poi la scaletta, com'è ovvio, si stabilizza sui pezzi degli ultimi dischi. L'assolo di batteria di Casey Grillo -come quello successivo di Oliver Palotai- unisce bravura e mestiere, ma non pare indispensabile. Liar Liar, hit dell'ultimo disco, si conferma il miglior pezzo di Haven, anche in sede live, per il peculiare amalgama di orecchiabilità, spessore sinfonico e arrembanza metallica. Here's to the Fall, delle ballads contenute in Haven, è quella più dark-gotica (nello stile di Abandoned, per dirne una); scelta interessante da proporre in sede live, perché piuttosto distante per atmosfere dal resto della setlist, e nel complesso azzeccata (toccante la dedica di Karevik al nonno appena scomparso). Ottima anche la doppietta di chiusure costituita da Forever per la scaletta principale e da Angel of Afterlife per l'encore, che miscela vecchio e nuovo e che dà uno slancio pazzesco a band e pubblico. Una conclusione sicuramente in crescendo, per un concerto già di per sé di ottimo profilo. Sul versante intrattenimento, come già accennato, il mastermind designato dei Kamelot è il "freak" Sean Tibbetts, che fa roteare basso e treccine in tutte le direzioni per buona parte del concerto e che si concede un finale di performance da "uomo solo al comando": occhialoni da saldatore, pose ieratiche e pubblico in visibilio. L'MVP di serata, invece, è senza dubbio il colossale Tommy Karevik: tecnica maestosa, capacità interpretative superiori, attitudine al cambio di registro repentino e alla teatralità gotica (pur senza toccare le inarrivabili vette del magniloquente Roy Khan). L'avvicendamento Svezia-Norvegia al microfono sembra essere stato, nel complesso, relativamente indolore per la band fondata da Thomas Youngblood. Karevik, curiosamente, ha sbagliato l'unica nota della serata quando si è divertito a duettare con il pubblico e a darsi al "karaoke" sulle note del chorus di Forever.
Una valutazione conclusiva, dipendente solo parzialmente da quanto visto al Live Club di Trezzo, va però fatta: i Kamelot, anche se in modo quasi insondabile, danno l'impressione di aver imboccato, a corti, cortissimi passi, la strada del declino. I picchi d'ispirazione del trittico The Fourth Legacy, Karma ed Epica paiono irraggiungibili e il nuovo sound della band, sospeso tra modernità, sinfonia e "darkness" ha un che di forzoso, di innaturalmente freddo, che l'esplosione di Karevik non basta a coprire del tutto. La componente power, quasi del tutto accantonata dai Kamelot, dava un'aggiunta di freschezza e di genuinità che, miscelata con le superiori capacità di songwriting di Khan e Youngblood, permetteva alla band di ricavarsi una nicchia musicale ben definita e sostanzialmente inattaccabile. Nicchia, che allo stato attuale delle cose, sembra essere stata definitivamente abbandonata. I Kamelot rimangono un'eccezionale band live, fatta di musicisti di caratura superiore, ma, se non dovessero recuperare il fuoco sacro delle proprie uscite migliori, potrebbero essere destinati a spegnersi lentamente. Karevik -dato che sei anche pompiere, tra le altre cose- attizzalo quel fuoco!
SETLIST GUS G. 1. Burn 2. Brand New Revolution
3. Eyes Wide Open 4. Come Hell or High Water 5. World on Fire 6. The Quest 7. Terrified 8. Redemption 9. I Am the Fire 10. Crazy Train
SETLIST KAMELOT 1. Veil of Elysium
2. When the Lights Are Down
3. The Great Pandemonium 4. Center of the Universe 5. Karma 6. Torn 7. Here's to the Fall 8. March of Mephisto 9. Rule the World 10. Insomnia 11. Drum Solo 12. Veritas 13. Liar Liar (Wasteland Monarchy) 14. Keyboard Solo 15. Forever
---- ENCORE ---- 16. Revolution
17. Sacrimony (Angel of Afterlife)
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@midnight: il commento non è per niente confuso, ed evidentemente non mi riferivo nè al tuo report nè al tuo commento, ma a chi dice che la diffwerenza nel sound della band si è creata perchè non c'è più Khan. Per me è una fesseria, tutto qui. Concordo al 100% con HeroOfSand |
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@Prometeus, si le ho sentite anche io quelle avvisaglie, ma sono appunto dei timidi Segnali, per far si che esca un album che li faccia usvire da questa sorta di limbo, occorre che certi segnali siano sviluppati organicamente e strutturalmente incastrati nel giusto modo nell'economia di un futuro album, in modo che il giusto puzzle musicale dei vari pezzi con relative buone idee, alla fine riesca a dare un quadro organico completo e definitivo, con un assetto vocale e strumentale definitivamente convincente, anche perche' quando smetteranno i grandi vecchi, uno dei gruppi a cui faccio maggiore affidamento e ripongo le mie speranze per il futuro sono proprio loro.Spero di cuore, se si impegnano ce la faranno. |
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10
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metallo, a proposito dell'ultima parte del tuo commento, in Haven c'è qualche timido accenno che potrebbe segnare la loro futura strada: l'elettronica presente in vari brani (quanto amo quella verso la fine di My Therapy *-*), qualche sfuriata vicina al metal estremo (in Revolution), linee vocali in stile musical ma adatte al timbro di Tommy. |
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9
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Ancora non riesco a vdere Karevik dal vivo, mannaggia non ho potuto presenziare, lui ha talento e puo' migliorare ulteriormente la sua espressivita' vocale, approfondendo meglio la sua tesditura vocale, forse puo' anche superare khan che era fantastico ma ormai ha chiuso, quello che doveva dare l'ha dato, ora tocca a loro cominciare un capitolo nuovo senza pensare all'ingombrante passato, per questo trovo equilibrata la tesi di Elia, non devono forzare niente, devono semplicementebla loro nuova strada, e questo dipende soprattutto dai musicisti, come dice Prometheus Karevik sta gradualmente smettendo di imitarlo, il talento vocale c'e', ora tocca ai musicisti aiutarlo ad esprimersi al meglio in tutta la sua potenzialita', bisogna che spremano le meningi per servire delle sonorita' che abbiano un effetto duplice, sia che servano alla vera voce di Karevick ad esprimersi naturalmente con il suo timbro naturale e nei registri e tonalita' che finalmente lo facciano esplodere come si deve, dia come qualcosa di diverso sia dal vecchio corso che all'andazzo attuale poco originale, non sars' facile ma neanche impossibile per un gruppo come loro, gli auguro di migliorare e di fare finalmente il botto.Spero di beccarli ad un altra data futura. |
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8
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Karevik è di un altro pianeta, e secondo me ha poca da invidiare ad un talento puro come Khan. Forse quello che li differenzia è la teatralità marcata che possedeva Roy mentre cantava, ma pure Tommy in questo senso da la polvere a moltissimi altri singer. IO sto adorando questi nuovi Kamelot, soprattutto Haven che lo ritengo un super album, però capisco l'importanza dei primi (pazzeschi) dischi dei Kamelot e la linfa nuova che diedero al metal, creando quasi un sotto-sotto genere particolare (magari si potrebbe chiamare "romantic-power metal" ma non suona bene), mentre negli ultimi 2/3 dischi hanno creato dischi di power misto a symphonic/gothic di livello, ma che non sono brillati per originalità. Detto questo rimpiango di essermeli persi, ma li aspetto un'altra volta magari con Alyssa o Charlotte e con più pubblico. E, magari, con Fallen Star fatta live. |
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7
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Personalmente ritengo Poetry for The Poisoned il loro album migliore al pari con The Black Halo, e il secondo posto se lo giocano Ghost Opera e Haven. Sarà che amo le atmosfere oscure e pseudo-gothic degli ultimi due album con Khan, sarà che i testi di quel periodo mi toccano l'anima, sarà che il power alla Karma ormai mi annoia. Anyway, Tommy Karevik è tra i migliori cantanti al mondo, è pazzesco! Lo si può criticare solo quando imita troppo Khan, ma sta gradualmente smettendo (già tra Haven e il mediocre Silverthorn c'è un abisso). |
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6
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Mi sembra un commento un po' confuso. A Karevik ho fatto solo complimenti (l'unica cosa "negativa" che ho detto è che mi è piaciuto più su Haven che su Silverthorn, in cui a mio parere era meno a suo agio). Questione power: verissimo che Khan vocalmente era in declino da tempo. Ma adesso i Kamelot hanno nel motore proprio il buon Karevik, uno che può cantare qualsiasi cosa. A me scoccia che si ostinino a fare i "fighetti" , musicalmente e non solo (Karevik è indubbiamente un belloccio), per provare a inseguire una maggiore spendibilità commerciale. Li rende posticci e anche economicamente non mi sembra che stia funzionando; gli girano intorno nomi sempre più piccoli, su Youtube i video vanno così così e live non fanno i pienoni di una volta. Trovo che i Kamelot classici fossero una sorta di piccolo mito del metal d'autore (non necessariamente intellettuale, ma d'autore) e che quelli di oggi siano bravi, carini e coccolosi, ma sostanzialmente inoffensivi. Secondo me hanno scelto la strada sbagliata per provare a essere accattivanti, ecco. Alla "maledizione" di oggi preferisco il pathos non forzato di ieri. |
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5
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Quando parlo di critiche che non comprendo intendo alla voce di Karevik, che francamente non so come sia criticabile |
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4
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Mah, non sono d'accordo per nulla, il problema non è certo che non hanno più uno spompato Khan dietro al microfono, anche perchè oggi come oggi Karevik gli è superiore su tutti i fronti....non ho mai capito tutte ste critiche inutili, sia su Silverthorn che sull'ultimo...al massimo il problema è che ormai Youngblood è fisso su uno standard compositivo che inizia magari a mostrare un pò il fianco, ma per mio gusto gli ultimi due album sono enormemente superiore agli ultimi due pallosissimi con Khan...la vena power non c'è più perchè Khan oggi come oggi non ce la fa più a cantare power manco con un razzo nel culo, altrochè...parere mio, eh |
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Già, sigh. Devo dire invece che sto ascoltando a ripetizione Eternal degli Strato e devo dire che li sto riscoprendo, sembrano aver ritrovato vena compositiva, verve, forma. Quarto disco dallo split con Tollki e quarto colpo a segno. Degli ultimi due dei kamelot farei un best of invece... |
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Concordo. Con Khan per certi versi erano anche qualcosa di più di una semplice band. Hanno fatto scuola. Adesso invece sembrano un po' alla deriva. Potrebbero spaccare il mondo, soprattutto dato che hanno quella belva di Karevik dietro al microfono, e invece vivacchiano. |
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Complimenti per il report Elia, molto ben articolato. Che dire...mi sono perso volutamente il concerto di una delle mie band preferite, e una ragione specifica. Ho presenziato a tutti i tour da legacy in poi, sempre sotto il palco a cantare, perché la loro vena power è sempre stata brillante, varia, emozionante. Ma quella vena power, come da tua chiosa finale, si è spenta, la band si è spenta. E ciò è avvenuto secondo me perché è mancato khan. Karevik ha una voce molto bella e lui mostra certamente ottime doti da frontman, ma quando c'era Roy i kamelot erano una band. Oggi sono semplicemente più freddi e quel complessivo incupimento del sound non aiuta a coinvolgere. E se per me ciò è palese su disco, mi duole leggere che questa sensazione sia tanto netta on stage. Ma thomas è una gran penna, e spero che col prossimo albun possa tirar fuori il celeberrimo coniglio dal cilindro. Ma si sa..."rabbit don't come easy"... |
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