I Caligula’s Horse sono una realtà come ce ne sono poche, su questo non si discute. Un gruppo di ragazzi australiani che nel corso di pochi anni non solo sono riusciti a maturare esponenzialmente, ma l’hanno fatto con uno stile a dir poco unico e affascinante; raffinato e potentissimo allo stesso tempo. Abbiamo avuto la possibilità di sentire direttamente dal chitarrista Adrian Goleby le caratteristiche distintive del prossimo Rise Radiant, in uscita il 22 maggio per Inside Out. Buona lettura.
Fox: Ciao Adrian, benvenuto su Metallized. Prima di tutto come stai? Questa situazione sicuramente sta influendo sulla vita di tutti.
Adrian Goleby: Sì ma tutto sommato qui siamo fortunati, non abbiamo molti casi e seppur non si vada molto in giro sicuramente non è come da voi in Italia. Tutto bene a te? Penso sia assurdo vedere città così popolate e visitate come Milano o Roma… vuote.
Fox: Certo, può sembrare strano ma diciamo che per ora possiamo solo accettarlo e concentrarci sulle nostre passioni, lo saprai bene anche tu. Dunque, il 22 maggio verrà rilasciato il vostro nuovo disco Rise Radiant, dopo una grandissima release come quella di In Contact. Ho letto che Rise Radiant “è il culmine dello sviluppo artistico della band” e anche “Rise Radiant è il sound dei Caligula’s Horse spinto ai suoi estremi”. Due canzoni sono state rilasciate per il pubblico: The Tempest e Slow Violence pochi giorni fa e sono entrambe così potenti, così ficcanti e bilanciate in tutte le loro parti. Degli anticipi consci quindi di ciò che avete fatto in passato. Dunque ti chiederei… come descriveresti il nuovo album? Cosa ascolteranno i vostri fan?
Adrian Goleby: Combinazione è una buona parola penso. Il sound… sono stato un fan della band da quando iniziai a dirla tutta… quindi non è una sorpresa per me vedere dove siamo arrivati. Soprattutto Jim e Sam hanno un linguaggio speciale tra di loro, tanto veloce quanto energico, quindi ti ritrovi a dar loro degli aiuti su qualcosa che già sai sarà fatto benissimo. Quindi penso che quello che uscirà sia la versione più raffinata dei Caligula’s Horse! Il tutto dalla testa di Sam, principalmente.
Fox: C’è un’idea particolare, un concept, dietro Rise Radiant?
Adrian Goleby: Non è necessariamente un concept album come Scenes from a Memory o qualcosa di simile; non c’è una storia, una narrazione. Come con In Contact abbiamo più una struttura tematica: paternità, crescita e poi le varie emozioni “di mezzo” che spuntano man mano in queste situazioni. È una sorta di summa di tutto ciò con “perseveranza” come denominatore.
Fox: Cosa sai dirmi riguardo la cover?
Adrian Goleby: Mh, certo! Ti piace?
Fox: Sì assolutamente, penso sia probabilmente la più bella della vostra discografia.
Adrian Goleby: È fantastica sì. Hai visto la cover di Bloom? Ecco è lo stesso artista, Chris Mangos, con cui lavoriamo molto volentieri. È partito da qualcosa di molto normale, di poco elevato e l’ha reso molto… reale? Simbolico quasi. Quando ho avuto il file in 8K della versione animata (utilizzata nel clip di The Tempest ndr) ho compreso la reale qualità di quello che avevamo tra le mani.
Fox: Essendo anche io chitarrista vorrei farti una rapida domanda: quali aggettivi utilizzeresti per descrivere il guitarwork di Rise Radiant e perché? Ho avuto la fortuna di ascoltare l’album per intero e direi: funzionale e coerente, perché secondo me le chitarre fanno sempre la cosa giusta al momento giusto, che sia una variazione, un riff più pesante o una sezione più melodica. Che pensi tu?
Adrian Goleby: Ottima domanda. Quindi sei un chitarrista anche tu? Ce ne sono troppi, abbiamo bisogno di batteristi (scoppia a ridere ndr). Comunque penso che sia… idiosincratico. È completamente unico grazie a Sam, anche solamente il suonare affianco a lui ti porta a comprende la mole di dettagli che egli inserisce. Certe volte ti fa suonare in maniere intricate, nonostante tu possa conoscere lo strumento da anni. Lo si capisce dal riff di Marigold ad esempio. Quando infatti cominciavo a studiare per bene le canzoni della band, un intervallo di seconda minore Sam lo realizzava così (mostra la posizione delle dita ndr) anziché nella forma “corretta”. Questo perché per lui era più funzionale per quello che c’era dopo. Tutto estremamente unico, assolutamente.
Fox: Quello che davvero mi piace della band è che riuscite a mantenere uno stile ben definito nei vostri lavori senza diventare noiosi. È fantastica la fusione tra le parti melodiche e più dolci a carico delle linee vocali di Jim con la sezione strumentale che si occupa di sezioni più quadrate e pesanti (come parti djent). Non è facile oggi dove tutto sembra molto simile a sé stesso, specialmente in questa giovane nuova ondata di progressive metal in cui sono presenti anche i Caligula’s Horse. Mi stavo chiedendo se questo songwriting è naturale per voi oppure se è un intento che perseguite. Cosa mi sai dire insomma sul processo creativo della band?
Adrian Goleby: Certo, è una domanda molto divertente. Ci sono generi con approcci molto standard come il thrash e il metalcore, non so cosa ne pensi tu.
Fox: Sì ovviamente, capita spesso però che anche in un genere come il progressive ci siano escamotage utilizzati fino allo sfinimento, mi riferisco ad esempio al djent appunto, che nonostante sia un genere che apprezzo… ricade troppo spesso nella monotonia.
Adrian Goleby: Sì, è vero. Penso che Sam sappia muoversi molto intelligentemente lungo tutta la canzone. Non abbiamo uno schema, cerchiamo principalmente di avere idee anche da cose normali e quotidiane per poi lavorarci su nel modo che riteniamo migliore per rappresentare quel qualcosa. Comunque sì, è sicuramente molto particolare il modo che abbiamo di arrangiare e unisci poi il fatto che tendenzialmente noi discutiamo riguardo alle nostre idee. Ad esempio, Jim può dire “questo non mi piace” oppure “è grandioso” e lavorandoci sopra con il suo stile molto melodico, il quale verrà poi a sua volta approvato o meno dagli altri membri. È il nostro modo di lavorare per raggiungere i massimi risultati.
Fox: Adesso alcune domande su di te! Tu sei entrato nella band nel 2017 giusto? Hai anche detto che eri fan se non sbaglio. Il tuo ingresso nella band è contemporaneo all’uscita di In Contact tra l’altro. Quale fu il tuo contributo sul disco? Dimmi qualcosa su quell’anno.
Adrian Goleby: Si parla certamente di un evento, Brisbane è una città con meno abitanti di… Roma per esempio. Ma è un territorio sterminato e non sono tutti raggruppati in una città ben definita come da voi. Conoscevo i ragazzi grazie a delle fitte rete di contatti e ho visto poi diversi video della band, prima di entrare in formazione definitivamente. Era assurdo perché mi ritrovavo un disco già pronto e pensavo “ok, cosa? Davvero?” (ride ndr) Ammetto che è stato molto intenso e faticoso. Dovevo imparare molte parti difficili, intricate e che avrei voluto scrivere io a dirla tutta. In questo nuovo album ci sono però contributi di tutti e lungo tutto il disco. Spesso si parte dalla batteria perché la chitarra è uno strumento così… logico e limitato certe volte. Ho approcciato non a caso al piano e ad altri strumenti, grazie a Sam e alle necessità della band e ho capito che la visione d’insieme riguardo la musica diventa più chiara e meno recintata dalla struttura della chitarra che, se non accordata diversamente, risulta magari limitante rispetto ad altri strumenti dove ci si può muovere agilmente senza cambiare nulla.
Fox: Siamo vicini a coprire la prima metà del 2020 e moltissima buona musica è già stata partorita, specialmente nel metal. Con cosa hai passato questi primi mesi? Quali album hai apprezzato di più?
Adrian Goleby: Principalmente la roba delle band per cui lavoro o con cui lavoro. Ad esempio gli Ebonivory da Melbourne sono fantastici, li abbiamo avuti in tour con noi e hanno un feeling così “liceale” che adoro. Poi… escludo il metal e parlo di un cantautore molto più delicato che mi sta piacendo molto ed è Newton Faulkner, secondo me questo clima più calmo può servire per non impazzire ad oggi (ride ndr). Ah e poi l’ultimo degli Eagles mi sta facendo andare fuori di testa! Tu invece?
Fox: Guarda io sto ancora apprezzando moltissimo il nuovo degli Intronaut, nonché i due nuovi singoli dei The Hirsch Effekt. Ti direi anche i vostri di singoli a questo punto (ride ndr), adoro soprattutto The Tempest. A proposito, parlando di influenze, dato che ci accompagnano dalla nostra infanzia spesso fino alla nostra morte… che nomi mi daresti, soprattutto in ambito chitarristico?
Adrian Goleby: Come chitarrista penso che non possa non dire Dave Mustaine. È così magnetico, crescere guardandolo non è una cosa che ti lascia indifferente. Penso poi che tante sfumature le ho acquisite da Steve Vai o Paul Gilbert. A dirla tutta presi anche qualche lezione da Chris Broderick, che mi servirono moltissimo per la sua grande abilità nella plettrata alternata che amo, anche se non sono ancora un maestro (ride ndr). Grazie a quest’ultimo ad esempio ho migliorato e facilitato l’esecuzione di alcuni brani dei Caligula’s Horse che necessitano di plettrate ibride.
Fox: Un numero incalcolabile di musicisti giovanissimi sta emergendo grazie a progetti progressive, in quella wave che ho citato prima per intenderci. Quali preferisci?
Adrian Goleby: Oh wow è veramente difficile… anche perché spesso mi è difficile capire se ho davanti qualcosa di nuovo o di già vecchio. Amo le band della mia zona comunque, con cui ho lavorato e che magari ho già menzionato. Diciamo che mi è difficile dire altri nomi perché mi piace la piega del metal odierno ma non qualcuno in particolare.
Fox: Vorrei chiudere questa intervista con una domanda a dir poco malefica (ride ndr). Anche se è presto da dire in quanto ho potuto ascoltare il nuovo disco solo una volta… l’ho avuto solo ieri sera (ride ndr), secondo me la traccia meglio riuscita è Valkyrie. Qual è la tua?
Adrian Goleby: Valkyrie… considera che è l’unica traccia in cui c’è un mio assolo (scoppia a ridere ndr). Guarda penso Resonate, più che altro perché è al centro dell’album e ci fa confrontare con un sound diverso rispetto al resto. Mi piace tutta la progressione del disco sia chiaro ma direi che sì, apprezzo molto Resonate.
Fox: È impossibile da dire ora ma quando tutto questo sarà finito avete intenzione di venire in Italia?
Adrian Goleby: Oh certo. Suonammo a Milano l’ultima volta se non ricordo male. Devo ammettere che amo suonare in Italia, così come in Spagna e in Portogallo. E ti dirò, fare tour ha un lato positivo: ti apre a situazioni che nemmeno avevi mai considerato prima. Per esempio sembrerà stupido ma il materiale del palco potrebbe irritare molto se è quello sbagliato! In Italia capitò questa specie di plastica lucida estremamente liscia e scivolosa. Per 90 minuti cercavamo tutti di non cadere, quindi sì, tornerei volentieri (ride ndr).
Fox: Grazie mille per il tuo tempo Adrian, spero che il vostro nuovo disco vada alla grande! Vuoi salutare la community di Metallized.it?
Adrian Goleby: Voglio ringraziare tutti quelli che hanno permesso l’intervista e che permettono che tutto ciò accada (in riferimento alla loro carriera ndr). Vi amiamo, davvero!