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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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ROCK THE CASTLE - DAY 1 - Castello Scaligero, Villafranca di Verona (VR), 24/06/22
03/07/2022 (1941 letture)
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Appena parcheggiato, proprio davanti all’ingresso del festival, ci rendiamo conto che la fiera del paese insiste a sua volta sugli spazi adiacenti al castello e, quindi, doppia festa per Villafranca di Verona. Il Castello Scaligero è una location bellissima, un contesto decisamente affascinante per un concerto e con un grande prato che in più occasioni si è rivelato salvifico, tra un’esibizione e l’altra. Il primo giorno si preannunciava già caldissimo e invece per fortuna è stato molto clemente, con anzi qualche goccia di pioggia nel pomeriggio che ha salvato la situazione. In ogni caso, il palco è orientato intelligentemente verso ovest e quindi garantisce ombra e copertura man mano che il sole va sparendo dietro le mura. Appena entrati, sulla sinistra troviamo i primi banchi con magliette, CD e lo stand Tsunami Editore, poi segue il bar, i fontanelli per l’acqua gratuita e la prima cassa. Tutto lungo le mura perimetrali. Seguono le bancarelle del cibo, i bagni (una fila è anche all’ingresso, dal lato opposto), lo stand Metalitalia. Al centro, Lo spazio mixer, il palchetto ombreggiato per i fan con disabilità e il bancone del merchandise ufficiale. Non è presente, invece, pur risultando sulla mappa dell’evento, uno spazio per i tabacchi, un particolare questo, se vogliamo, alla fine tutt’altro che indispensabile, ma che poteva rivelarsi esiziale, dato che nella lunghissima lista di oggetti che non si sarebbero potuti portare, figuravano anche gli accendini. Oggi non è prevista affluenza da pienone, ma l’area è comunque piena per ben più della metà della capienza e alla fine questo consente a tutti di godersi la giornata in tranquillità e senza affanni, a parte qualche coda per i bicchieri (2€ e te lo porti dietro tutto il giorno per l’acqua, cambiandolo di volta in volta per la birra) e alle casse. Più che sostenibile, in ogni caso. Fatta una prima ricognizione e constatati i prezzi (ne riparleremo), facciamo rifornimento di acqua (praticamente quasi obbligatoria a ogni esibizione una tappa, viste le temperature) e andiamo a posizionarci sotto il palco.
SADIST Ai Sadist il compito di dare il via alle danze alle 14.30 precise. Tanta giusta emozione, dopo lo stop causato dalla pandemia e il non facile incarico di scaldare gli animi, con una proposta che sicuramente non è di facilissimo primo approccio. Ma la band è comunque molto amata e rodatissima e non si fa problemi, instaurando fin da subito un ottimo rapporto col pubblico, con Trevor grande protagonista sul palco e il bravissimo Tommy Talamanca a intrecciare come di consueto riff ultratecnici e passaggi di tastiera, con disinvoltura e presenza scenica. Inizialmente forse il volume del basso risulta troppo alto, ma i suoni per fortuna sono già buoni e non funestano l’esibizione dei genovesi, che nella mezz’ora a loro disposizione sciorinano bravura e aggressività in pari misura, con la loro miscela di prog e death molto personale e di alto livello. La partenza, con Accabadora, opener anche dell’ultimo -ottimo- Firescorched, mette subito i tanti presenti con gli occhi puntati sul palco e convince molti ad alzare subito i pugni al cielo. La band predilige brani più recenti nel proprio repertorio, lasciando alla sola Tribe il compito di rappresentare i primi anni di vita dei Sadist. In effetti, la qualità delle ultime uscite è comunque tale da non far rimpiangere qualche ulteriore estratto più datato. Trevor ringrazia più volte il pubblico presente, anche per il calore dimostratogli quando è rimasto contagiato dal covid. Una buonissima prova per loro, con un nuovo disco appena pubblicato che scalpita per essere presentato in tour. Niente da dire, una esibizione di livello.
SETLIST SADIST 1. Accabadora 2. One Thousand Memories 3. The Lonely Mountain 4. Season in Silence 5. Tribe
GRAND MAGUS Rompere il ghiaccio con il pubblico di un festival non è mai facile, e farlo iniziando il concerto con dei grossi problemi tecnici alla chitarra, per un trio, lo è ancora meno. Ma JB e soci non sono animali di primo pelo e la loro simpatia e nonchalance è dimostrazione di professionismo di alto livello. Coadiuvato da un bassista ottimo coprotagonista, tanto nei cori quanto nel parlare col pubblico, il cantante e chitarrista sfoggia un bel paio di baffoni ormai ingrigiti e la sua caratteristica voce baritonale. Risolto il problema alla chitarra, che comunque si ripresenterà un paio di volte, lo show prende subito il via con l’heavy tinto di epic tipico degli ultimi album, che ha di fatto lasciato appena una eco del doom degli esordi. Ma pur presentando un genere assolutamente conosciuto e se vogliamo “normale”, i Grand Magus sono una band di qualità e lo si percepisce nel carisma che emanano e nel fatto che i loro brani, pur non particolarmente ricercati, funzionano tutti alla grande e dal vivo acquistano in potenza, col basso enorme e l’ottima prestazione alla batteria del terzo dei tre, Ludwig Witt, il più schivo, ma sicuramente non il meno rumoroso. La veloce Sword of the Ocean e la cadenzata Ravens Guide Your Way vanno a ripescare nel passato della band, ma con Silver and Steel si va ancora più indietro e JB si conferma ottimo istrione col pubblico, scherzando più volte. A un certo punto il vento si mette di mezzo ed ecco che il grande telone con la copertina di Sword Songs tenta più volte di avvolgere Witt, chiamando in causa il personale di palco, finché non prende proprio il volo, come una vela sfilacciata. Niente che interessi la band, che continua imperterrita, con un certo divertimento. Chiudono Hammer of the North, seguita dalla ottima Iron Will, quella che resta una grande esibizione.
SETLIST GRAND MAGUS 1. Gold and Glory 2. I, the Jury 3. Sword of the Ocean 4. Ravens Guide Our Way 5. Silver Into Steel 6. Untamed 7. Hammer of the North 8. Like the Oar Strikes the Water 9. Iron Will
DEATH SS Attesissimi dal pubblico, come testimoniano le numerose t-shirt presenti, i Death SS hanno regalato una performance davvero valida, sotto tutti i punti di vista. Scenografici e provocatori come di consueto, i nostri hanno dimostrato un affiatamento invidiabile sul palco e una compattezza che ne cementa l’ottima prova collettiva. Onore al merito alla band, che ripercorre l’intera propria carriera nell’ora a disposizione, regalando fumo e fuochi d’artificio a profusione, con uno Steve Sylvester gran cerimoniere e carismaticamente distaccato, il quale non interagisce col pubblico a parole, ma percorre il palco in lungo e largo, incitando i presenti, che continuano nel frattempo ad aumentare di numero. Vocalmente il cantante parte cercando di non forzare, ma nel proseguo dell’esibizione mantiene ottimamente la propria caratteristica timbrica acida e malvagia, che condisce perfettamente i brani solcati da un’aura orrorifica ed esoterica invincibile e sempre presente, anche nelle ultime uscite, più rockeggianti rispetto alle più sperimentali evoluzioni di metà carriera. Freddy Delirio accompagna con maestria il tutto con le sue tastiere gotiche e schizoidi, supportando il frontman ai cori, mentre Ghiulz Borroni, pur con qualche problemino tecnico alla chitarra, si conferma musicista di alto livello tecnico. Ottima anche la sezione ritmica, che tiene assieme lo show e sono sicuramente molti i fan a intonare il refrain della scatenata Cursed Mama, ma bella figura fanno anche i brani più recenti come Zora, sulla quale le due performer si lasciano andare a un’esibizione che definiremo “intensa” e che cattura l’attenzione del pubblico maschile, forse anche togliendone invero alla musica. Le due torneranno anche in seguito sul palco, stavolta vestite da diavolesse, con tanto di forcone. Ma appunto, restando alla musica, molto intensa risulta l’esecuzione di Chains of Death, nella quale Sylvester mostra anche doti di interprete e il lungo e insistito assolo finale che fa salire l’emozione. Finale trionfale con Kings of Evil intonata da tutti ed Heavy Demons a chiudere la scaletta. Grande show.
SETLIST DEATH SS 1. Zombie 2. Cursed Mama 3. Horrible Eyes 4. Baphomet 5. Zora 6. Chains of Death 7. Family Vault 8. Kings of Evil 9. Inquisitor 10. Heavy Demons
VENOM Si cambia decisamente atmosfera con l’arrivo dei Venom e il telone di Black Metal che campeggia sul palco, mentre si fa notare il curioso allestimento dei piatti della batteria, molto alto e girato a mo’ di gong sopra la testa del batterista. Ovviamente se del trio originale resta il solo Cronos, mentre gli altri sono impegnati con i loro Venom Inc., l’attuale formazione risulta comunque ormai abbondantemente rodata e gli ultimi album confermano uno stato di salute tutto sommato più che valido, per questi dissacratori che, per qualche tempo, sono stati il parossismo dell’eccesso metal e che, proprio per questo, continuano ad essere amati e apprezzati, seppure ormai lontani anni luce dal livello di efferatezza che il metal ha raggiunto. E’ proprio in nome di questo affetto, che lega il pubblico alla band nonostante una carriera altalenante e i continui alterchi e reunion dei membri originali, che i presenti affollano tutta l’area sotto il palco per l’inizio dell’esibizione che, come era lecito attendersi, si concentra molto sui classici primi album del gruppo, senza comunque disdegnare qualche passaggio più recente, in particolare da From the Very Depths e Storm the Gates, album che hanno contribuito a mantenere la band viva, se non proprio destinati a passare alla Storia. I tre sono comunque carichi e lo dimostra subito la scelta di un palco scarno, con tutta l’attenzione che si concentra inevitabilmente su di loro e Black Metal mette subito tutti d’accordo, con Cronos che pur avendo in buona parte perso quel tipico grugnito precursore del growl propriamente detto, sa ancora come infondere cattiveria alla propria interpretazione, facendosi aiutare dal pubblico sul “bestiale” finale, ma evocando ancora con fierezza la bandiera del genere da loro battezzato. Bloodlust doppia ottimamente il primo brano e Danny Needham ci mostra a cosa servono i piatti così in alto. Lo show non si fa naturalmente apprezzare per particolari virtuosismi, ma non ce n’è davvero bisogno: la prestazione è solida, pur con il peso degli anni e Rip Ride e la più articolata Don’t Burn the Witch, ben intervallano due composizioni più recenti che comunque non stonano affatto nel contesto del live. Ma è ovvio che siano soprattutto i cavalli di battaglia a scatenare il pubblico e i tre non lesinano affatto sparando in sequenza Welcome to Hell, Countess Bathory e One Thousand Days in Sodom, a sugellare una buona prova complessiva, che si chiude con una spettacolare Witching Hour, a tutt’oggi un vero e proprio macello orgiastico dal vivo e In League with Satan a esaltare per gli ultimi minuti un pubblico più che riconoscente.
SETLIST VENOM 1. Black Metal 2. Bloodlust 3. Bring Out Your Dead 4. Long Haired Punks 5. Rip Ride 6. The Death of Rock 'n' Roll 7. Don't Burn the Witch 8. Dark Night (of the Soul) 9. Buried Alive 10. Welcome to Hell 11. Countess Bathory 12. One Thousand Days in Sodom 13. In Nomine Satanas 14. Witching Hour 15. In League With Satan
BLIND GUARDIAN Attesa molto alta per la band di Krefeld che pur avendo sostituito gli Emperor e trovandosi quindi in una giornata forse non proprio favorevolissima a livello di amalgama con il resto delle band, gode di una fama e di un riconoscimento tale da non temere nessuno e i fatti, a fine esibizione, ne daranno ulteriore conferma. Aiutati da una scaletta fortemente incentrata sul megaclassico Somewhere Far Beyond, la cui copertina campeggia alle loro spalle, i Blind Guardian sembrano rinati dopo questa lunga e forzata pausa e danno una vera e propria prova di forza, cancellando -mi scuseranno i fan- tutti i gruppi che li hanno preceduti, con un’esibizione praticamente perfetta, sotto ogni punto di vista. Sicuramente il bilanciamento dei suoni iniziale lascia un po’ storditi, ma sono pochi minuti durante Welcome to the Dying e improvvisamente tutto va a posto e lo spettacolo ha davvero inizio, con una grandiosa versione di Time What Is Time, nella quale -va detto- si comincia a rimanere stupiti dalla resa vocale di un Hansi Kürsch che raramente si è sentito così prestante dal vivo, ai limiti davvero della perfezione. Istrionico e carismatico, per non dire fluviale nell’eloquio, il cantante si prende tutta l’attenzione tra un brano e l’altro, portando subito dalla propria il pubblico, che risponde all’unisono ai vari incitamenti, cori, battimani e quant’altro, ma soprattutto canta e canta alla grande. Come alla grande suona tutta la band, con le doppie asce di André Olbrich e Marcus Siepen a loro volta in forma smagliante e graziate da suoni praticamente perfetti, che permettono di apprezzare i vari passaggi. Lode anche alla sezione ritmica, impeccabile e martellante, che regala un tiro invidiabile alla band, sempre ai limiti del thrash, più che dello speed epico propriamente detto. Nota questa che dal vivo rende particolarmente apprezzabili brani già spettacolari come Journey Through the Dark e Black Chamber, con Theatre of Pain da brividi. Inutile scorrere tutta la scaletta di un disco che ha fatto epoca, ma è inevitabile che alla fine a catturare l’attenzione sia proprio The Bard’s Song (In the Forest) che, come tradizione, viene intonata da tutto il pubblico con trasporto, regalando brividi a tutti. Le cornamuse di The Piper’s Calling anticipano una clamorosa Somewhere Far Beyond ed è già tempo del bis, con Mirror Mirror e Valhalla, durante la quale c’è l’ultima occasione per far cantare ancora un pubblico letteralmente adorante. Difficile dire che un concerto di questo livello sia una sorpresa parlando di una band ormai davvero storica, ma non si va lontano dal vero a dire che probabilmente i Bardi sono andati oltre ogni aspettativa.
SETLIST BLIND GUARDIAN 1. Into the Storm 2. Welcome to Dying 3. Time What Is Time 4. Journey Through the Dark 5. Black Chamber 6. Theatre of Pain 7. The Quest for Tanelorn 8. Ashes to Ashes 9. The Bard's Song - In the Forest 10. The Bard's Song - The Hobbit 11. The Piper's Calling 12. Somewhere Far Beyond 13. Mirror Mirror 14. Valhalla
MERCYFUL FATE Un’ora tra un concerto e l’altro può essere una lunga attesa, dopo una lunga giornata, ma per fortuna l’abbassamento della temperatura portato dalle nuvole ci regala una serata piacevolissima e, come detto, il prato si presta alla perfezione al bivaccamento post cena. Nel frattempo, calano le tenebre e lo scenario del Castello Scaligero splendidamente si presta a esaltare la spettacolare scenografia allestita per lo show dei Mercyful Fate. Una sorta di altare blasfemo, con il caprone dagli occhi ossi inquadrato nel pentagramma, dal quale delle scalette portano al livello palco dove si trovano tutti i musicisti, sormontati da una enorme croce rovesciata disegnata dai led, in un trionfo di rossi, verdi e blu e -ovviamente- nero. L’enorme tendone con la scritta della band che copre il palco fino all’ultimo secondo comincia a tremare sulle note dell’intro blasfemo di The Oath, perfetta opener di un concerto destinato a fare Storia. Bastano appunto le prime vorticose note del brano e vedere comparire King Diamond in cima all’altare con una lunga palandrana rossa e un copricapo a forma di caprone che ne cela quasi il volto a scatenare la follia collettiva. Nonostante la stanchezza accumulata, infatti, è impossibile non farsi prendere dall’entusiasmo. I suoni sono fin da subito ottimi, seppure il basso del nuovo arrivato Joey Vera (Armored Saint, Fates Warning etc.) risulti appena troppo alto, come d’altra parte era già ai tempi di Sharlee D’Angelo. La formazione appare comunque in formissima e fa letteralmente impressione la resa dal vivo del brano, che ci conduce per mano lungo un sentiero dannato. Ovviamente, anche in questo caso l’attenzione è comunque tutta rivolta alla prestazione del buon King Diamond, ormai non più un ragazzino, alle prese con un repertorio intonato ormai quarant’anni fa e che richiede un continuo cambio di registro, particolarmente dispendioso dal vivo. Ebbene, il Re non ha alcuna intenzione di cedere la propria corona e pur nella consapevolezza che il suo stile può risultare ostico a molti, con il continuo e insistito utilizzo del falsetto, c’è da dire che in particolare dal vivo si apprezza la sua teatralità e il suo caratterizzare i brani in maniera unica, alimentando la tenebrosità delle composizioni sue e di Hank Shermann, altro membro storico e principale compositore dei primi album. Anche il chitarrista merita una parola, per il suo stile unico e per le sue composizioni ultra-articolate, strapiene di assoli, rallentamenti, ripartenze assassine cariche di malvagità palpabile, dannatamente evocative, letteralmente ineguagliate a tutt’oggi per dinamica, completezza, tiro, capacità di disegnare scenari malefici. Contraltare perfetto era il raffinato e meno vorticoso Michael Denner, chitarrista più pulito e quasi barocco nel tocco, che dava una coloritura diversa e che da ormai quasi venticinque anni viene sostituito da uno strepitoso Mike Wead (Hexenhaus, Memento Mori), chitarrista molto tecnico, ma altrettanto dotato di gusto. Grande picchiatore, ma con dinamica e tocco da fuoriclasse, infine, è il batterista Bjarne T. Holm, anche lui in formazione dal lontano Into the Unknown del 1996. Colpisce il fatto che in una scaletta interamente incentrata sui primi due lavori e sul leggendario primo mini del 1982, i Mercyful Fate decidano di presentare come secondo brano un inedito, The Jackal of Salzburg, che sarà probabilmente nel nuovo attesissimo album e che viene presentato come ancora “non finito e da registrare”, a ricordare come purtroppo ancora i lavori non si siano conclusi. Brano lungo e articolato, fatto di chiaroscuri e ripartenze, come tipico della band in particolare dal ritorno di In the Shadows, fa ben sperare per questo lavoro che non sembra volersi distaccare dal trademark del gruppo, senza però rinunciare a qualcosa di ancora particolare e diverso. Tempo però di saziare il pubblico ed ecco che con A Corpse Without Soul si sfiora l’isteria e King Diamond dà appunto prova di esserci ancora tutto, mentre l’infernale cavalcata di Black Funeral esalta al massimo il pubblico. Il Re cambia più volte copricapo presentandosi con un cappello a più punte da giullare (o chissà, una corona infernale) e ci prepara per A Dangerous Meeting, il cui break centrale continua a essere una delle cose più pesanti sentite in cinquant’anni di heavy metal. La splendida resa di Melissa è una vera apoteosi e ci ricorda perché i danesi siano stati una delle band più importanti di tutti i tempi, mentre Doomed By the Living Dead e la trascinante Curse of the Pharaos vengono cantate dal pubblico, che non può fare a meno di scatenare un’ovazione per Evil. King Diamond cambia ancora maschera e palandrana, e si muove circospetto sul palco su e giù per le scale, mentre gli altri non si preoccupano di muoversi troppo, concentrati sugli strumenti e sui complicati passaggi dei brani. E’ naturalmente Come to the Sabbath a chiudere la scaletta regolare e ancora una volta questa malefica invocazione risuona splendidamente alle nostre orecchie, con un fascino inalterato. La pausa sembra quasi risvegliarci da un sogno e quando il gruppo torna sul palco per il bis, l’unica opzione possibile sembra essere proprio Satan’s Fall, che viene presentata come “una dolce ballata” e che è invece la summa di tutto il particolare modo di comporre di Hank Shermann, con la sua costruzione articolata e originale, vorticosa e piena di cambi di dinamica e di lunghe e ululanti sezioni di assoli, ai quali sembra appunto corrispondere la narrazione di King Diamond, il quale riesce a incastrare le proprie linee in un brano strepitoso e complesso che con i suoi undici minuti e mezzo di durata magici e dannati conclude una prestazione clamorosa, incredibile, indimenticabile, il cui unico neo può essere stato l’assenza di brani della seconda parte della carriera del gruppo. Ma è davvero un voler cercare il pelo nell’uovo, a fronte di una serata spettacolare.
MERCYFUL FATE SETLIST 1. The Oath 2. The Jackal of Salzburg 3. A Corpse Without Soul 4. Black Funeral 5. A Dangerous Meeting 6. Melissa 7. Doomed By the Living Dead 8. Curse of the Pharaos 9. Evil 10. Come to the Sabbath
---- Encore ---- 11. Satan’s Fall
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Grande Mauro!!! È dispiaciuto anche a me, in effetti... ho incrociato altri in questi tre giorni, alcuni proprio non mi è riuscito e mi spiace... vediamo se troviamo un'altra occasione o se ne creiamo una specifica  |
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biglietti presi nel 2019, per i Mercyful Fate, sono riuscito infine ad esserci per una serie di eventi, tra cui volo annullato per le vacanze due giorni prima... e meno male, Mercyful Fate pazzeschi, oltre ogni aspettativa, King Diamond è immortale, voce e presenza incredibile, band superlativa. Blind Guardian molto bravi e piacevoli, li ho amati, adorati, ma ultimamente mi hanno un po' stancato, Venom piacevoli, altre band purtroppo non viste, anche se i Death SS ho avuto il piacere di vederli a Trezzo mesi fa. Location bellissima, e anche l'organizzazione, acqua gratis, personale collaborativo. Ok birre e panini a prezzi alti, ma è sempre stato così ai festival ed i concerti. Mi da da pensare il fatto che tutte le band, compresi i giorni successivi, ormai viaggiano con componenti sui 60 anni di media... unico grande rammarico non aver incontrato di persona Saverio  |
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I Mercyful fate mi hanno mandato in estasi mistica. Lunga vita al re! |
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Grandi Venom e Death SS, grandissimi Mercyful Fate, il Re mi è sembrato veramente in ottima forma. |
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La proposta di un nuovo pezzo per me è un chiaro segnale di voler continuare a differenza di altre reunion fatte e disfatte penso ad esempio agli emperor quindi ci sta il voler proporre una scelta nuova. Che i dischi post 1990 siano meglio dei predecessori per carità ognuno ha i suoi gusti ma dont e Melissa sono la storia dell' heavy metal europeo anni 80 quindi la scelta di volerli celebrare al massimo ha una sua logica. Trovo splendido in the Shadows, gli altri ottimi ma sicuramente meno a fuoco. Sulla scelta dei pezzi forse avrei eliminato satans dall' nonostante sia uno dei capolavori della band e avrei fatto qualche pezzo più immediato tipo gypsy o into the coven, ma comunque sono tutti capolavori quindi uno vale l'altro. |
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Non faccio commenti sul report, anche su cose e considerazioni magari generali su cui uno potrebbe dire la sua anche se non era al festival, non perché sia d'accordo necessariamente con tutto, ma perché semplicemente non ho letto una riga dello stesso. |
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Non sono andato alla fine (per casini vari tra cui soprattutto auto che mi ha lasciato a piedi pochi giorni prima mentre andavo ai Metallica a Firenze, dove sono arrivato lo stesso cmq), anche se aspettavo da una vita di vedere i MF, avendo visto solo KD una volta nel 2006. Però rosico solo in parte per vari motivi: mancanza di Denner - e ovviamente anche di Timi Grabber per forza di cose - e scaletta bizzarra sia per scelta dei brani solo fino al secondo disco (che sarebbe stato già più logico se la formazione fosse stata quella originale, che cmq era tale anche nel primo della reunion del '93 e Denner c'era anche nei 2 successivi), sia per la durata, quindi scegliendone anche pochi sul totale, e usando circa 9 minuti per proporre un pezzo nuovo che per loro stessa ammissione devono ancora finire e arrangiare perbene... bah... potevano fare altri 2 o 3 pezzi storici al posto di quello. Non so da cosa deriva la scelta per un gruppo con quella qualità praticamente costante in tutti i dischi e pur con 9 anni di scioglimento in mezzo tra il secondo e il terzo, di fare solo roba del primo periodo... forse anche KD è stato influenzato dalla mentalità "revival old school" ridicola che in Italia e nel mondo c'è da anni, quando chiunque abbia ascoltato anche i dischi dal '93 in poi, concorda praticamente sempre riguardo il fatto che sono stupendi, per certi versi ancora meglio di quelli storici, "In The Shadows" su tutti. |
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Io avevo i biglietti per l'edizione 2020 ma a questa ahimé non ho potuto presenziare. In compenso visti i Mercyful Fate pochi giorni dopo a Barcellona e sono ancora in estasi, long live the king! |
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Io per pura pigrizia non sono andato. Sono stato in modalità Berlusconi mi alzo e me ne vado fino a due giorni prima poi ho mollato. Tra l'altro non avevo nemmeno la compagnia quindi la voglia di andare solo a due settimane dagli iron proprio no, concerto questo a cui volente o nolente andrò perché più comodo e soprattutto ho già il biglietto. Detto questo sono rammaricato per aver mancato i.danesi che sono da quasi quarant'anni tra le mie band preferite e che non ho mai visto. Mi spiace per chi non c'era e un Mio pensiero va al mitico timi che se n'è andato troppo presto, mi spiace per il grande Michael denner del quale conservo foto ricordo con acquisto autografato di dont break the oath nel suo negozio di Copenhagen in quel lontano 1990, bei tempi eravamo giovani e stavamo vivendo il mito. Gruppo ormai priestizzato con solo due membri originali ma con musicisti di livello assoluto, wead su tutti che è veramente un asso. Non mi è piaciuta la mise di diamond con vestaglia e copricapo alla statua della libertà e caprone, sempre più esteticamente un incrocio fra Renato zero e Arthur Brown, contento lui, ma io l'ho sempre preferito come nei primi anni 80 con chiodo smanicato e cartucce, più sobrio e meno teatrale, ma comunque un sopravvissuto che sta vivendo una seconda giovinezza dopo i problemi di salute gravi che lo hanno afflitto anni fa. |
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come tanti, sono andato fondamentalmente per i MF che,come sempre, non hanno deluso. King Diamond rimane il migliore nella scena. grandissima esibizione. per quanto riguarda gli altri gruppi.
- SADIST: bene ma penalizzati dall'apertura del festival
- GM: non li conoscevo bene. anzi, molto poco. divertenti
- DEATH SS: bene, mi piace assai la nuova band
- venom : visti altre volte. direi show buono con Cronos in discreta forma nonostante pensassi fosse abbondtemente oltre i 60 anni.
- blind guardia: filati poco ma hanno fatto un buon spettacolo. amici fan mi han detto che è stato lo show migliore da anni.
tornare ad un festival è stata la cosa migliore anche se la birra a 7/8€ grida vendetta.
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Live, i blind guardian sanno di poco, gli vidi anche a vaken nel 2002 e qui, la moscezza, band senza garra a mio avviso. Mentre il re diamante e soci, fanno scuola. |
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I Blind Guardian sono stati spettacolari (il finale strepitoso)e per la prima volta ho potuto vedere i MF in sede live...veramente una grande esibizione. Che dire, dopo molto tempo che non assistevo a un festival ho goduto moltissimo e bellissima anche la location. Bravi agli organizzatori. Mi sarebbe piaciuto andarci anche al 26 per i Megadeth ma poi Lunedi chi si alzava per andare al lavoro????Di certo non il mio avatar  |
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Ottimo report, condivido ogni singola parola, anche se ho prestato poca attenzione al ive dei blind Guardian.
Giornata bellissima ed indimenticabile 🖤 |
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