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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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ROCK THE CASTLE - DAY 2 - Castello Scaligero, Villafranca di Verona (VR), 25/06/22
03/07/2022 (1265 letture)
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Dopo gli accenni di pioggia e il venticello ben più che gradito del primo giorno, il sole torna a splendere sul Castello Scaligero e sul Rock the Castle, implacabile. La temperatura è molto più percebile e preannuncia un secondo giorno nel quale, con un po’ di malignità, in molti non possono fare a meno di sottolineare l’età media non proprio verdissima delle band presenti. In effetti, scorrendo la scaletta, ci si rende conto che questo secondo giorno diventa un vero e proprio trionfo del metal ottantiano, con qualche salto indietro addirittura nei seventies, grazie alla celebrazione dei cinquant’anni di carriera degli splendidi UFO, in parte per i Saxon anche loro al debutto sul finale di quella decade e, naturalmente, per gli headliner: la leggenda Judas Priest. Se l’età non è quella dei giorni migliori e qualche acciacco sarà ben più che visibile in qualche esibizione, il lignaggio dei gruppi è tale che alla fine della giornata sarà davvero difficile lamentarsi di quanto visto, in vista poi di un terzo giorno mediamente molto più giovane e scatenato, per quanto non proprio di primo pelo.
SKANNERS In tema di celebrazioni, non sembri affatto secondario il quarantennale che i bolzanini Skanners festeggiano in questo 2022. Una storia fatta di heavy metal, dedizione, voglia di esserci sempre, ottimi album e grandi esibizioni dal vivo. Decisamente in palla e pronti a scaldare come si deve l’audience, il gruppo approfitta della mezz’ora a disposizione per scatenare l’inferno sul palco, tirando fuori tutta la propria grinta e il proprio amore per la musica proprio degli headliner del giorno, evidente lume di ispirazione per il gruppo. Heavy corazzato di acciaio quello degli Skanners, al solito grandi trascinatori, con un Claudio Pisoni inarrestabile e frontman dotatissimo, ancora assolutamente in forma, anche a livello vocale. Non da meno i compagni d’arme, che con le rese scoppiettanti di Welcome to Hell e We Rock the Nation hanno già conquistato il pubblico presente, al momento comunque ancora lontano dal pieno. Innesti hard rock per Metal Party e per Hard and Pure a intervallare la più oscura Factory of Steel, mentre Starlight dal debut Dirty Armada (1987) spara a tutta velocità la propria furia, con i quattro in linea a testa bassa a roteare le capocce. Chiude ottimamente Fight Back una performance ineccepibile e carica. Una certezza, sempre. Grande band e complimenti per questi quarant’anni, celebrati anche da una recente biografia.
SETLIST SKANNERS 1. Welcome to Hell 2. We Rock the Nation 3. Metal Party 4. Factory of Steel 5. Starlight 6. Hard and Pure 7. Fight Back
GIRLSCHOOL C’è voglia di divertirsi oggi, lo si capisce subito, quando sotto un sole impietoso alle tre e mezzo di pomeriggio tocca alle Girlschool esibirsi, trovandosi davanti un pubblico comunque numeroso e molto partecipe, calorosissimo nei confronti della band inglese, tra le massime esponenti della NWOBHM, con un debutto datato 1980 e una lunghissima carriera piena di episodi e che le ha portate a uno split nei primi anni Novanta, dopo un periodo buio nella seconda metà degli anni Ottanta, fino a dover affrontare anche la triste dipartita della chitarrista Kelly Johnson nel 2007 per un cancro spinale. Sostituita già da tempo da Jackie Chambers che ne ha preso il posto rivelandosi sostituta ideale, anche per la buona dose di carisma che dimostrerà anche oggi, cantando e sostenendo la leader e frontman Kim McAuliffe, storica fondatrice della band assieme alla batterista Denise Dufort. A completare la formazione, la bassista Tracey Lamb, al suo terzo ingresso nella band, in sostituzione dell’altra storica fondatrice, Enid Williams. Venendo all’esibizione, stupisce, ma nemmeno troppo, la strepitosa carica delle quattro, che aggrediscono il palco con Demolition Boys e dimostrano non solo di essere ancora in forma, ma di saper pestare come si deve col loro rock/punk tinto di metal, irresistibile dal vivo e pieno di quella grinta che ha conquistato milioni di fan nel mondo, portandole ad essere la più longeva delle all female band mondiali. Divertente e molto ironica, McAuliffe chiacchiera col pubblico in più occasioni e scherza sul fatto che il terzo brano è la titletrack del loro ultimo disco, che di fatto causa pandemia non ha avuto alcuna promozione e quindi a distanza di tre anni può ancora essere presentato come il “nuovo” album. Sostenute da un pubblico assolutamente schierato dalla loro parte che applaude e batte le mani continuamente, cantando i brani, le quattro alternano rock’n’roll a rasoiate in doppia cassa che ne confermarono la grande vicinanza musicale ai Motorhead dei quali regalano una ottima versione di Bomber, graditissima dagli astanti, che avevano in precedenza regalato ben più di un applauso per la clamorosa versione di Race With the Devil. Chiude ovviamente Emergency, anche questa cantata da tutti i presenti per un’esibizione che è volata via velocissima e particolarmente piacevole. Non passeranno alla storia per essere la band più virtuosa tra quelle emerse con la NWOBHM, ma le quattro sanno davvero come si tiene un palco e come si fa divertire una audience, e la gara di strilla col pubblico ne è solo l’ennesima conferma, meritandosi tutti gli applausi e i ringraziamenti.
SETLIST GIRLSCHOOL 1. Demolition Boys 2. C'mon Let's Go 3. Guilty as Sin 4. Action 5. Kick It Down 6. Nothing to Lose 7. Take It Like a Band 8. Race With the Devil 9. Bomber 10. Emergency
EXCITER A cura di Massimo Patrucco "Matocc"
Tornano finalmente sul suolo italico gli Exciter, veterani dello speed metal. Il leader Dan Beehler è accompagnato dal fido compare di sezione ritmica Allan Johnson e dal più giovane chitarrista Daniel Dekay, entrato in line up nel 2018 al posto dello storico John Ricci. Il trio canadese è ben accolto dal pubblico che sta via via aumentando di numero e la presenza sottopalco è decisamente buona, cosa che evidentemente fa piacere ai Nostri. E si parte infatti a cannone con la micidiale doppietta Violence & Force/Stand Up and Fight: i giri del motore vanno subito a cannone e già si vedono i primi mosh di metallari d'ogni età. Dan, oltre che alla batteria, è impegnato anche al microfono e si prodiga in questo scomodo -e difficilissimo- doppio ruolo in maniera egregia, pestando alla velocità della luce e urlando al contempo i testi incendiari della band: non c'è che dire, è veramente ammirevole questa sua abilità e rimaniamo stupiti dalla relativa facilità con cui la esegue, nonostante l'età e il caldo estivo che si fa sentire. Tra un pezzo e l'altro l'intercalare di Beehler -come da prassi di moltissimi gruppi- sembra essere dedicato con perizia a invocare il Padre Eterno, ma anche questo è contorno e va preso per quello che è. Daniel Dekay ci incita a dovere per tutto il tempo, mentre con Black Witch il cantante/batterista tira leggermente il fiato ma ben presto si torna a fare scintille con brani come Long Live the Loud e Feel the Knife, fino alla conclusiva Iron Fist, un altro tributo ai Motörhead in questa bella giornata condita di gruppi storici. Gli Exciter si congedano con un selfie dal palco che abbraccia la platea festante, e Dan Beehler durante un cambio palco successivo tornerà on stage per donare a qualche fortunato abbarbicato alla transenna alcune bacchette autografate che evidentemente aveva promesso in precedenza... grande Dan, umile e riconoscente verso i fan!
SETLIST EXCITER 1. Violence & Force 2. Stand Up and Fight 3. Victims of Sacrifice 4. Die in the Night 5. Iron Dogs 6. Heavy Metal Maniac 7. Rising of the Dead 8. Pounding Metal 9. Black Witch 10. Living Evil 11. Beyond the Gates of Doom 12. Long Live the Loud 13. Feel the Knife 14. Iron Fist
UFO Con una leggerissima preoccupazione per l’effettivo svolgimento di questa esibizione, ci accalchiamo sotto al palco in quella che è sicuramente la giornata più frequentata del festival e attendiamo con ansia l’esibizione dei grandi UFO in quello che sarà il loro ultimo tour, iniziato nel 2019 per il cinquantennale di carriera e poi interrotto causa pandemia. I cinque sono e saranno sempre un vero mito per chi ama l’hard rock e sa che la band inglese è stata fondamentale per lo sviluppo anche dell’heavy metal, con alcuni brani rimasti nella Storia e un periodo, quello d’oro, con Michael Schenker alla chitarra, che resta uno dei più fulgidi di quell’epoca gloriosa, celebrato proprio dal monumentale live Strangers in the Night, uno dei più belli di sempre. E’ ovvio che non si possa pretendere nel 2022 che la band sia in grado di presentarsi a quei livelli, ma la salita sul palco lascia ancora più dubbi sulla situazione: Phil Mogg in particolare appare davvero invecchiato e a malapena in grado di muoversi. E l’iniziale storica Fighting Man sembra confermare questa difficoltà, col consueto timbro del cantante apparentemente intatto, ma privo di energia, intenzione e carica. La band sa tenere il palco e ci mancherebbe, i nostri si dannano, ma mentre i suoni si sistemano abbastanza velocemente, qualcosa anche su Only You Can Rock Me e Cherry non sembra davvero andare al meglio, preparandoci a quella che sarebbe potuta diventare una vuota celebrazione senza nerbo. Fortunatamente, la sempre meravigliosa Love to Love sembra ripristinare la situazione al meglio, ma è con Too Hot to Handle che davvero il gruppo si scioglie e, soprattutto, che Vinnie Moore si scalda. Il fuoriclasse americano è un musicista di grande valore e riesce a caricarsi l’intera esibizione sulle spalle, conducendo un finale infuocatissimo del brano e poi lanciandosi in una clamorosa versione di Rock Bottom, col riff che fa muovere il pubblico e la lunga sezione di assolo centrale modellato su quello storico di Schenker, reso meravigliosamente e con qualche aggiunta personale, per minuti di puro godimento. Scatta a quel punto Lights Out e seppure Mogg fatichi a tenere il brano, ormai la bestia è lanciata ed è un nuovo trionfo. Ma l’apoteosi è riservata al finale e le note iniziali di Doctor Doctor, peraltro ormai da anni intro dei concerti degli Iron Maiden, scatena il pubblico definitivamente conquistato, fino alla conclusione con la strepitosa Shoot Shoot, brano di bravura melodica come non se ne sentono più che sugella una prestazione in crescita esponenziale, che alla fine convince tutti e permette di salutare gli UFO come merita una grande, grande band, che in troppi devono ancora scoprire come merita. Grazie di tutto.
SETLIST UFO 1. Fighting Man 2. Only You Can Rock Me 3. Cherry 4. Love to Love 5. Too Hot to Handle 6. Rock Bottom 7. Lights Out 8. Doctor Doctor 9. Shoot Shoot
SAXON Parlando di vecchietti terribili, è arrivato il momento di quelli che sono stati, a tutti gli effetti, i veri vincitori della giornata. I “ragazzi” dello Yorkshire saranno anche passati e ripassati dall’Italia, ma l’amore del pubblico nei loro confronti non manca mai e loro, d’altra parte, sono una band che ha fatto dell’attitudine e della credibilità live un vero e proprio marchio di fabbrica e questa sera al Rock the Castle ne abbiamo avuto l’ennesima conferma, con anzi anche una punta di sorpresa per l’incredibile energia sprigionata e la qualità altissima della prestazione. Aiutati da suoni e volumi da paura, i Saxon sono però una vera macchina da guerra, guidata da un frontman impareggiabile: gli anni passano per tutti, ma Byff Bifford sembra migliorare ogni volta, stupendo per potenza e tenuta vocale, seppure con un arrochimento ovvio, che ne ha semmai migliorato la classica timbrica, pulita e stentorea. Bastano i rombi di motore, seguiti dall’approdo sul palco con una Motorcycle Man che sembra letteralmente esplodere dalle casse, che tutto il pubblico è già conquistato. Thunderbolt scarica la sua veemenza di doppia cassa, mentre l’iperclassico Wheels of Steel fa cantare tutti i presenti, che non riescono neanche a riposare un secondo, dato che subito a ruota vengono scatenate Heavy Metal Thunder e Strong Arm of the Law. Sembra incredibile che canzoni ormai così rodate continuino a dare tanta soddisfazione, ma è proprio la convinzione e la grinta della band che fanno la differenza in tal senso e allora non resta che cantare a squarciagola con Byff, mentre la sezione ritmica martella e le due asce si scambiano assoli a profusione con volumi da arresto. Il medley tra Dogs of War e Solid Ball of Rock fa contenti amanti dell’heavy come dell’hard rock e il riff incatenato e rutilante di Denim and Leather invoglia all’headbanging sfrenato, con un refrain che non si può non urlare come forsennati. Sorpresa anche per l’ottima … and the Band Played On, inaspettata quanto piacevole, mentre la doppietta Broken Heroes e Crusader fa battere i cuori di chi non cerca solo sudore e muscoli. Omaggio ai Motorhead con The Played Rock’n’Roll e tocca a Power and the Glory tenere alto il vessillo del gruppo, che ci saluta con una sempre ottima 747 (Strangers in the Night). Giusto il tempo di riprendere fiato ed ecco Princess of the Night ennesimo trionfo di un concerto spettacolare e che ha lasciato il segno, per tutti. Grandi Saxon e se qualcuno provasse a ricordargli l’età, mettetelo a tacere, che rompere questo incantesimo sarebbe davvero un crimine. Andateli a vedere.
SETLIST SAXON 1. Motorcycle Man 2. Thunderbolt 3. Wheels of Steel 4. Heavy Metal Thunder 5. Strong Arm of the Law 6. Dogs of War / Solid Ball of Rock 7. Denim and Leather 8. And the Bands Played On 9. Broken Heroes 10. Crusader 11. They Played Rock and Roll 12. Power and the Glory 13. 747 (Strangers in the Night)
---- Encore ----
14. Princess of the Night
JUDAS PRIEST Che l’attesa di oggi fosse quasi tutta per l’esibizione degli headliner non dovrebbe certo stupire, visto che ci troviamo al cospetto della Leggenda del metal. Eppure, qualcosa nella celebrazione costante che la band ha sollevato attorno a se negli ultimi tempi, qualcosa pare un po’ scricchiolare e non soltanto per le recenti condizioni di salute dell’ottimo Richie Faulkner, che appare comunque del tutto ritrovato. E’ un po’ la sensazione che dopo l’ottimo Firepower e l’abbandono definitivo di Glenn Tipton il voler andare avanti a tutti i costi, reclutando Andy Sneap invece di tentare la via della riconciliazione con K.K. Downing, sembri un po’ forzato e perfino rischioso. Come se i due membri originali rimanenti -e probabilmente Tipton è con loro- non volessero comunque arrendersi al fatto che il tempo passa e garantire certi standard stia diventando sempre più arduo, seppure con una band formalmente perfetta, come quella che vedremo all’opera stasera. Scenografia molto particolare e molto ricca quella allestita per l’occasione: uno sfondo industriale, un po’ malconcio e malridotto, con tanto di silos arrugginiti, tachimetri rotti, tipiche mura di mattoni sgarrupate, sulle cui finestre verranno proiettati continuamente video e immagini digitali che ripercorrono le tematiche dei brani, degli album, mentre l’enorme croce simbolo della band campeggia sul palco, rossa e minacciosa. Le note di War Pigs risuonano per tutto il cortile del castello chiamando a raccolta i fedeli ed ecco che, dopo l’intro di Battle Hymn, le note di One Shot at Glory danno il via alla cerimonia. Una partenza particolare, con la canzone che chiudeva l’album Painkiller che però alla fine ben si presta a far scaldare il gruppo e l’ugola di Rob Halford, l’uomo su cui inevitabilmente si concentra tutta l’attenzione: ce la farà, non ce la farà… e i conseguenti sospiri di sollievo e ammirazione quando la voce tocca nuovamente quelle vette impossibili, accompagnati da qualche vabbè, quando invece inevitabilmente mostra qualche segno di palpabile affaticamento. Ma che al buon Rob tutta questa attenzione faccia in realtà parecchio piacere, è tutt’altro che un pensiero secondario. Fatto sta che il pubblico è davvero tutto per loro e l’arena risulta piena per buoni tre quarti della capienza e, dopo la recente Lightning Strike, You’ve Got Another Thing Comin’ scatena l’entusiasmo e il buon umore generale, subito rilanciata dalla rovente Freewheel Burning. Ian Hill al solito mantiene la sua posizione defilata, Scott Travis invece risulta rialzato rispetto agli altri e ben visibile, con la pedana incasellata nella scenografia, mentre è ovvio che l’attenzione sia spesso presa proprio da un Faulkner davvero impeccabile. Grande e schivo musicista, per niente esaltato, tiene il palco bene, ma in modo discreto e in compenso non perde una nota, contribuendo e non poco al successo della serata, mentre Sneap si concentra sulla ritmica, prendendosi pochi ma riusciti momenti solisti, intrecciando invece spesso col compare d’ascia le armonizzazioni. Turbo Lover sembra fatta apposta per la rovente temperatura, rimembrando la California degli anni Ottanta, mentre la doppietta Hell Patrol / The Sentinel lancia rasoiate e destra e a manca, nonostante un Halford palesemente in difficoltà sulla seconda, che infatti viene conclusa rinunciando alle usuranti tonalità del refrain sulla parte finale. Perfetta per riprendere fiato e per il notevole cambio di atmosfera, A Touch of Evil resta una delle migliori composizioni della maturità della band e qua Halford è invece impeccabile con quella You’re possessing me straziante e resa alla perfezione che fa venire i brividi. Altro momento topico arriva con la stupenda Victim of Changes, imperdibile episodio da quel lontano 1976 di tutte le esibizioni dei Priest e vero banco di prova per generazioni di strillatori. Anche in questo caso, la resa della band è davvero emozionante e Rob non si fa attendere, mandando in visibilio i presenti per l’ennesima volta, mentre si sposta lentamente da una parte all’altra del palco e tiene spesso il microfono con entrambe le mani flettendosi in avanti per garantire un miglior appoggio del diaframma. Volutamente toccante in questo caso è il video sparato dagli schermi di Glenn Tipton che suona l’assolo del brano, mentre sotto di lui Faulkner lo riproduce nota per nota. Omaggio silenzioso, ma decisamente forte all’amico malato. Splendido pezzo e resa magnifica anche per Blood Red Skies, forse unica vera perla tratta da Ram It Down, che ci conduce verso l’ultima sezione dell’esibizione “regolare”. Dopo una sequenza piuttosto impegnativa a livello vocale, arriva il momento di due brani immancabili e riposanti come The Green Manalishi (With the Two Prong Crown) e Diamond and Rust sempre molto apprezzati in sede live. La seconda, a dire il vero, viene praticamente parlata da un Halford in evidente recupero, appoggiato alla scenografia e che decisamente non fa neanche finta di impegnarsi troppo nel cantarla. Al termine, il buon Travis resta solo sul palco e così non può fare altro che ringraziare i presenti e invocare a gran voce il pubblico perché lanci Painkiller: non ha dovuto fare una gran fatica, diciamoci la verità! Ancora una volta, la resa del brano è spettacolare, la sezione di assoli perfetta ed è letteralmente impossibile non farsi trascinare dal brano; per quanto riguarda Halford, chi c’era sa benissimo com’è andata, quindi diremo che la sua prova è stata senz’altro onorevole, per quanto sofferta e sudata. Il buio accoglie il palco e i nostri escono di scena. A richiamare le urla del pubblico arriva The Hellion, che fa da preludio ai bis, inaugurati da una Electric Eye trionfale. Il silenzio cala di nuovo, finché il rombo dei motori ci annuncia l’ingresso di Rob Halford sul palco con la moto, per l’immancabile esecuzione della sempre piacevolissima Hell Bent for Leather. Ancora una volta, sembra che tutto sia finito, ma a ruota arriva invece Breaking the Law, con conseguenti scene di isteria collettiva, seguita da Living After Midnight all’inizio della quale un enorme toro di gomma si gonfia sul palco, mentre tutti i presenti si lasciano andare a balli e cori, terminando la residua voce rimasta in gola dopo questa bella e caldissima giornata. Alla fine, una scritta compare sugli schermi “50 – The Priest Will Be Back”, che sembra appunto preannunciare le celebrazioni per il cinquantennale della band. Visto quanto ci hanno offerto stasera, resta sempre il dubbio se essere davvero felici per questo annuncio o cominciare a chiedersi se chiuderla qua, onorevolmente e con una prestazione comunque ben più che valida, non fosse l’idea migliore. Ai posteri l’ardua sentenza, intanto noi guadagniamo l’uscita, in vista del terzo giorno.
SETLIST JUDAS PRIEST 1. One Shot at Glory 2. Lightning Strike 3. You've Got Another Thing Comin' 4. Freewheel Burning 5. Turbo Lover 6. Hell Patrol 7. The Sentinel 8. A Touch of Evil 9. Victim of Changes 10. Blood Red Skies 11. The Green Manalishi (With the Two Prong Crown) 12. Diamonds & Rust 13. Painkiller
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14. The Hellion 15. Electric Eye 16. Hell Bent for Leather 17. Breaking the Law 18. Living After Midnight
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3
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I Saxon non deludono mai, il posto è splendido, oltre al rock the Castle di qualche anno fa ho visto pure whitesnake e soundgarden. Questo purtroppo ho disertato ma va bene così. I gruppi giovani in grado di fare numeri così non sono pervenuti per questo si continua a tirare avanti con le vecchie glorie, purtroppo la stragrande maggioranza dei giovani sono interessati ad altro, sicuramente poco a chi imbraccia chitarre e bassi, è un problema a cui ci si può fare ben poco |
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2
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Gran bella giornata e spero che ci sia una futura edizione. Un festival dentro un castello non è da tutti! Spero però che ci sia anche qualche band più giovane in futuro |
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1
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Che concerto favoloso..Saxon meravigliosi |
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