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28/04/25
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ROCK THE CASTLE - DAY 3 - Castello Scaligero, Villafranca di Verona (VR), 26/06/22
05/07/2022 (1155 letture)
Dopo la giornata dei “terribili vecchietti” del sabato, che si è conclusa degnamente con il botto dei Saxon e una bella esibizione dei Judas Priest, arriva infine il terzo e più eterogeneo dei giorni del Rock the Castle. Tendenzialmente più “giovane” e orientato verso il thrash, con i Megadeth in veste di headliner, si rivelerà, dei tre, il giorno con minor affluenza complessiva e quello decisamente più caldo. Questo, a dire il vero, sia in termini atmosferici, con la temperatura che raggiunge e forse supera i trentaquattro gradi, sia come risposta del pubblico, che non risparmierà pogo, crowd surfing, wall of death e circle pit vari, onorando alla grande le prestazioni delle band presenti.

THE INSPECTOR CLUZO
Che il sole picchi in maniera implacabile lo si percepisce bene all’inizio dell’esibizione degli opener, i curiosi The Inspector Cluzo, saliti sul palco come duo batteria (Mathieu “Phil” Jourdaine) e chitarra/voce (Laurent “Malcolm” Lacrouts), i quali si trovano davanti qualche decina di spettatori, che diventeranno poi qualche centinaio durante l’esibizione. Comprensibile, visto appunto il caldo e il fatto che i due siano praticamente sconosciuti, almeno in Italia. Scopriamo presto però che la loro presenza sarà una delle più curiose e interessanti del festival e merita quindi un approfondimento: i due vengono dalla Guascogna (e ci scherzano parecchio sopra, dicendo di non sentirsi particolarmente francesi e salutando poi il pubblico nella loro lingua madre) e sono dediti a una strana formula musicale che vede intrecciati tra loro blues, swing, alternative rock, punk, metal, stoner e via discorrendo. Attivi dal 2008, i nostri hanno all’attivo sei album e un EP, con la copertina dell’ultimo We the People of the Soil a campeggiare sul telone di fondo. I due si definiscono rock farmers e si fanno portatori di tutta una filosofia interessante e che consigliamo di approfondire sul vivere appunto in campagna allevando animali e coltivando con l’utilizzo di granaglie antiche e non trattate e in maniera biologica, come forma di ribellione pratica allo strapotere delle multinazionali e dei governi da loro corrotti. L’esibizione è decisamente divertente e stralunata, con brani multiformi e particolari, nei quali il background variegato dei due e la ottima qualità di performer e intrattenitori non fa affatto pesare il fatto che si tratti di un duo che poco ha a che fare con festival metal. Ma come dicono loro -ed è il titolo di un brano-, fare i fattori è molto più rock che suonare rock e dopo questa esibizione diventa difficile contraddirli. Lo show si chiude con la distruzione della batteria del povero Phil e la curiosità su questa spettacolare realtà cresce moltissimo. Un modo veramente interessante e divertente di iniziare il terzo giorno. Chapeau!

BARONESS
Crudelmente piazzati alle quindici e trenta di pomeriggio, i quattro di Savannah non si fanno spaventare e tirano fuori una prestazione clamorosa. Si nota da subito il fondale con telone che riproduce i colori degli album fin qui pubblicati e qualche immagine tra le bellissime create da Baizley. Che l’ingresso di Gina Gleason avesse letteralmente rivoluzionato l’assetto della formazione si intuiva già da Gold & Grey, nel quale la chitarrista e cantante aveva dato il suo contributo ampliando lo spettro delle soluzioni vocali e dando evidente prova di talento strumentale, pur con tutte le polemiche derivanti dalle scelte di mixaggio e produzione dell’album. La conferma arriva dal vivo, con la Gleason che si dimostra attivissima sul palco rubando più volte la scena al pur gigantesco John Dyer Baizley. A dire il vero, quest’ultimo appare ben più che felice di avere in formazione un diavoletto scatenato come la piccola Gina, la quale, forte di un sorriso invincibile e di un talento musicale evidente, come di un entusiasmo scatenato, contribuisce sia con ricchissimi scambi chitarristici sia con puntuali interventi di voce che aiutano e non poco Baizley a rendere ben più profonda e interessante la proposta musicale. Forse leggermente messi in ombra dai due, ma non meno fondamentali, si rivelano invece Nick Jost che si divide tra basso e tastiere/sintetizzatori e un batterista muscolare e tecnicamente impeccabile come Sebastian Thompson. La band pesca da tutto il proprio repertorio, con anzi una prevalenza marcata dal Blue Album, ma è evidente come la matrice psichedelica e alternative dell’ultimo disco abbia innervato i suoni di tutti i brani, portando l’esperienza musicale del gruppo verso prospettive nuove, celebrate dalla spettacolare resa di Tourniquet. Non che brani come Take My Bones Away, A Horse Called Golgotha e March to the Sea si facciano facilmente addomesticare e, attenzione, non è uno snaturamento che va in scena, ma un semplice allargamento del bacino emozionale e sonoro della band, la quale continua a crescere e a mutare disco dopo disco. Il finale, con War, Wisdom and Rhyme e Isak, ottiene ulteriori consensi da un pubblico che non ha cessato un secondo di sostenere la band. Bravi, divertenti e sorridenti, felici di esserci e di dare il massimo. Non resta che attendere il prossimo, fondamentale, album, il secondo con questa formazione e il promo, si dice, fuori dalla serie dei colori.

SETLIST BARONESS
1. Take My Bones Away
2. The Sweetest Curse
3. Ogeechee Hymnal (Snippet)
4. A Horse Called Golgotha
5. March to the Sea
6. Tourniquet
7. Shock Me
8. War, Wisdom and Rhyme
9. Isak


SUICIDAL TENDENCIES
Quella dei Suicidal Tendencies è stata di gran lunga l’esibizione più divertente, scatenata, irriverente, partecipata e carica di tutto il festival. Il gruppo si presenta con una sezione ritmica giovanissima, come giovane appare uno dei due chitarristi e questo è un dato significativo: Mike Muir ha saputo costruire una band spettacolare, di alto livello tecnico e letteralmente scatenata sul palco. Scopriremo dopo che il bassista, altri non è che Tye Trujillo, figlio di Robert, classe 2004. E complimenti a lui. Lo stesso Muir sembra essere ringiovanito di vent’anni, conducendo il suo “balletto” in maniera continua e saltellando da una parte all’altra del palco, mentre lancia le proprie invettive continue, come una mitraglietta. Molti gli argomenti trattati, quelli classici dell’hardcore, se vogliamo, dalla partecipazione politica e sociale alla cura di se stessi, al rispetto, alla protesta come strumento per farsi ascoltare, allo skate e via andare. Le note di (You Can’t) Bring Me Down trascinano tutti i presenti sotto il palco e finalmente si comincia a vedere un numero apprezzabile di presenti, mentre il calore del pubblico a dire il vero non è mai mancato. E’ un attimo e si scatena il delirio, che proseguirà ininterrotto per tutto il concerto: la parola è pogo. Una di quelle pratiche che la pandemia ci aveva tolto e il cui richiamo è stato insopprimibile. Decine, centinaia le persone coinvolte in pogo, circle pit, crowd surfing e via discorrendo, che con l’irresistibile thrash/funk di Send Me Your Money non fa che aumentare l’intensità della risposta del pubblico, fomentato anche dalla successiva Freedumb, nella quale il chitarrista ha qualche problema tecnico ed è costretto per un attimo a fermarsi. Ma non si ferma tutto il resto, tra comizi di Muir e bordate di crossover thrash che ci conducono a Possessed to Skate, inno della band e a Cyco Vision, nella quale viene richiesto un vero wall of death, con conseguente delirio collettivo e circle pit, nel quale si lanciano anche ragazzini, bambini e chiunque avesse voglia di sfogarsi (con coscienza, questo diciamolo. Picchiatori e teste calde è bene che stiano a casa). Da segnalare come lo stesso chitarrista di prima, si metta in piedi sulla transenna e poi si faccia portare dal pubblico “a spasso” sopra le loro teste, salvo rimanere di nuovo con lo strumento non funzionante. Muir invita alla calma e come non approfittarne per un altro megaclassico come How Will I Laugh Tomorrow? A chiusura concerto avviene la cosa più bella vista ultimamente: durante Pledge of Allegiance, il pubblico viene invitato a urlare le iniziali della band, S.T. e mentre Muir si lancia nell’ennesima invettiva, ecco che comincia a chiamare sul palco alcuni dei fan della prima fila e poi altri e altri ancora; il solito chitarrista sale su un amplificatore per lasciare spazio libero e a questo punto è una folla quella che sale sul palco. Una folla divertente e divertita, che balla e urla S.T. rivolta verso chi, come loro fino a pochi secondi prima, continua a incitare da sotto. Un momento normale per un concerto hardcore, che diventa speciale a un festival metal, rinviato per due anni causa covid. Grazie Suicidal Tendencies, tra i trionfatori assoluti del festival.

SETLIST SUICIDAL TENDENCIES
1. You Can't Bring Me Down
2. Send Me Your Money
3. Freedumb
4. War Inside My Head
5. Subliminal
6. Possessed to Skate
7. Cyco Vision
8. How Will I Laugh Tomorrow
9. Pledge Your Allegiance


KREATOR
A cura di Emanuele Spano “Rasta Back”

In una giornata contraddistinta da un caldo infernale finalmente, complice l’ideale collocazione del palco (come rilevato dal buon Lizard nel report del day 1), l’afa concede un po’ di tregua e si salpa verso l’ultima tripletta del festival, con l’esibizione dei bestiali Kreator.
Rozzi e violenti, musicalmente parlando, i quattro sono da sempre tra i capofila del thrash di stampo teutonico e, come ampiamente dimostrato dall’esibizione odierna, non sembrano aver perso minimamente smalto. Si inizia ad allestire lo stage e quelli che inizialmente potevano apparire come innocenti ombrelloni, in realtà si rivelano truci, lugubri a macabri manichini impalati che paiono fuoriusciti dai peggiori incubi di Bram Stoker! Mille Petrozza si presenta in ottima forma fisica, sguardo minaccioso e chioma lucida, della formazione originaria son rimasti solo lui e il tritapelli Jürgen "Ventor" Reil.
I Kreator sono oramai una collaudata macchina da guerra e si collocano agevolmente tra i mostri sacri del metal più oltranzista. Nel corso del concerto portano avanti una scaletta a dir poco devastante, degna di un ideale “best of”, che pesca da quasi tutta la discografia recente, per poi fare dei voli indietro fino al primo mitico EP Flag of Hate. Di fronte a cotanta ferocia, la risposta del pubblico non ha tardato ad arrivare, rendendo il giusto merito ad una band che, nonostante gli anni, non lesina in energia e professionalità. Tra tutti, giganteggia Petrozza, ruvido ed impeccabile come sempre, tonnellate di chilowatt e malignità quale ideale preludio per le ultime due band. Il frontman incita più volte la platea, richiamando le radici italiane e spingendo a continui poghi e circlepit, invitando poi a formare un nuovo e gigantesco wall of death, dopo quello devastante di poco prima ordito dai Suicidal Tendencies. Da segnalare, a riprova dello sconquasso messo in opera dal perfido quartetto, che durante la performance ad un certo punto è saltato il logo della band da una cassa!

SETLIST KREATOR
1. Violent Revolution
2. Hate Über Alles
3. Phobia
4. Satan Is Real
5. 666 - World Divided
6. Awakening of the Gods
7. Enemy of God
8. Mars Mantra
9. Phantom Antichrist
10. Strongest of the Strong
11. Flag of Hate
12. Pleasure to Kill


MASTODON
Cercare di rendere a parole un concerto dei Mastodon rischia davvero di essere impresa improba. La band statunitense infatti sembra fatta per essere inafferrabile, irriducibile e sfuggente a ogni definizione. In più, la continua alternanza delle voci e dei generi triturati e riprodotti dal gruppo aumenta il caos e il fatto che da The Hunter in poi la band abbia deciso di dare una svolta secca alla propria musica, introducendo ulteriori suggestioni, mette la parola fine a ogni tentativo di rendere in maniera esaustiva la loro esibizione. Partiamo dallo spettacolare sfondo, coloratissimo come da tradizione negli ultimi anni e che rende comunque l’idea di quanto rappresenta: un sincretismo tra religioni, filosofie, vene artistiche diverse, amalgamate tra loro ma comunque immanenti e imperiose, minacciose e predatrici. Ecco, la musica dei Mastodon appare così: comunque pesante, maestosa, emotivamente molto forte. Il peso dei tre giorni e il caldo asfissiante cominciano a farsi sentire, ma come spesso accade, la musica ha ragione di ogni stanchezza e sono in tanti i fan qui per loro. Pain With the Anchor dà il via al concerto con quel mood dolente e funereo che caratterizza l’ultimo disco ed è subito chiaro che il gruppo è in forma e che questo sarà un concerto importante. A dire il vero, i suoni non sono perfettamente bilanciati, con le tastiere a prendere un po’ il sopravvento. Brent Hinds sta sulla sinistra, piuttosto distante dagli altri, mentre Troy Sanders si piazza al centro, con Brann Dailor e João Nogueira alle spalle, e Bill Kelliher resta sulla destra, scambiandosi con Sanders durante l’esibizione. Molto buona la prova vocale di quest’ultimo, mentre semplicemente mostruoso Dailor, per potenza e presenza continua, che non accenna a diminuire neanche quando il batterista si impegna nel canto, con risultati assolutamente apprezzabili. Che la band creda molto nel nuovo album appare evidente, visto che alla fine saranno sei i brani estratti, peraltro forse quelli più significativi, intelligentemente intervallati da estratti da praticamente tutta la discografia, con l’esclusione di Once More ‘round the Sun ed Emperor of Sand. Dopo l’ottima doppietta The Crux / Teardrinker, con quest’ultima che si conferma singolo azzeccato, Bladecatcher taglia a metà il concerto, dando a tutti il modo di rifiatare, mentre parte Black Tongue e, subito dopo, la clamorosa The Czar, unico estratto da quel discone che fu Crack the Skye. Semplicemente grandiosa la resa di questo brano e solo adesso ci rendiamo conto che il gruppo ha praticamente azzerato le interazioni col pubblico, preferendo evidentemente far parlare la musica, tanto che non c’è praticamente stacco tra un brano e quello successivo, fino alla strepitosa e pesantissima Gobblers of Dregs , senza dubbio una delle migliori composizioni dell’ultimo album e spettacolare conclusione della scaletta normale, nella quale ha comunque brillato anche l’ottima Pushing the Tides. Chiude ovviamente Blood and Thunder, prima della quale finalmente Sanders saluta e ringrazia il pubblico, come spezzando un incantesimo. La platea canta a squarciagola e la band apprezza, lasciando il palco con la consapevolezza di aver offerto un grande concerto. Ormai da anni i Mastodon sembrano essere diventati la band più importante e influente tra quelle uscite nel nuovo millennio e anche se è difficile predire quale sarà il futuro del metal, il ventennale appena compiuto di carriera discografica sembra dirci che i musicisti di Atlanta hanno lasciato un segno di rilievo. Non facili da seguire, pesanti come macigni, originali e in continua mutazione, i Mastodon hanno tanto da dire, se si vuole ascoltare.

SETLIST MASTODON
1. Pain With an Anchor
2. Crystal Skull
3. Megalodon
4. The Crux
5. Teardrinker
6. Bladecatcher
7. Black Tongue
8. The Czar
9. Pushing the Tides
10. More Than I Could Chew
11. Mother Puncher
12. Gobblers of Dregs
13. Blood and Thunder


MEGADETH
Il giorno si sta alla fine concludendo e il sole cala dietro le belle mura del Castello Scaligero portando la notte e un po’ di refrigerio, dopo una giornata sfiancante. Questo può voler dire una cosa sola: è tempo dei Megadeth a conclusione di questi bellissimi tre giorni. La puntualità di inizio delle esibizioni è stata una costante per tutto il festival è questo è senz’altro uno degli aspetti organizzativi positivi, assieme alla qualità media dei suoni. Eppure, stavolta alle ventuno e trenta lo stereo continua a mandare pezzi. I minuti passano e il pubblico comincia a fischiare e a chiamare gli headliner, ma ancora niente. I minuti sono adesso dieci, poi undici, dodici e si ha come l’impressione che qualcosa debba andare storto. Invece, a un quarto alle dieci, l’intro dei Megadeth risuona, il telone cade rivelando un palco con otto mega schermi verticali, con la batteria ben sopraelevata, al punto da sovrastare tutti gli altri musicisti. Improvvisamente, la band è sul palco e Hangar 18 risuona a volumi ai quali non eravamo più abituati da parte della band americana. Dave Mustaine è sulla sinistra del palco, mentre James Lomenzo è al centro e Kiko Loureiro sulla destra. Neanche il tempo di prendere fiato che la fatica letteralmente scompare a fronte del filotto di assoli eseguiti alla perfezione dai due axeman e da uno strepitoso Dirk Verbeuren, perfetto per potenza e pulizia, al posto di quello che resta uno dei drummer più amati della Storia del Metal. Che dire… le polemiche, le ansie, le preoccupazioni, tutto sparisce di fronte alla musica e la prova dei quattro non lascia spazio per discussioni. Dread and the Fugitive Mind assume uno spessore del tutto inedito nelle mani di questa formazione. E la voce di Megadave? La verità è che il chitarrista non ha quasi più nulla della profondità del timbro e il suo tipico cantato acido si regge su un filo di voce. Eppure, mi perdoneranno i critici a tutti i costi, stasera non si può dire che abbia demeritato o che sia crollato in maniera eclatante sui vari brani. D’altra parte, non parliamo certo di un virtuoso e, alla fine, a parte qualche passaggio particolarmente sofferto, la serata viene portata a casa. Il chitarrista si prende anche la briga di fare qualche chiacchiera di quando in quando, probabilmente proprio per riprendere fiato, ma non ci sono pause clamorose tra un brano e l’altro. Spesso cala il buio alla fine dei brani, ma subito dopo si riparte, quasi senza intervallo. Wake Up Dead non cessa di essere uno dei brani più divertenti mai concepiti dal rosso musicista e quando a ruota parte In My Darkest Hour, l’emozione è palpabile. Mustaine scherza sulla qualità del film Last Action Hero, annunciando Angry Again, celebre brano tratto dalla colonna sonora, ma è con Sweating Bullets che i nostri confermano di essere in forma smagliante. Conquer or Die! e Dystopia riempiono la scaletta e, con i pochi mezzi vocali a disposizione, Mustaine riesce comunque a rendere emozionante la doppietta Trust e A tout le Monde. Tempo di celebrazione per lo strepitoso Kiko Loureiro che si ricava qualche minuto di assolo, accompagnato da Verbeuren e Lomenzo, senza eccedere in lunghezza e autocelebrazione. Chiusura di concerto con una strepitosa versione di Symphony of Destruction e un’ancora più carica versione di Peace Sells, mentre gli schermi continuano a sparare immagini digitali una dietro l’altra. A questo punto, Dave si prende un secondo per presentare il nuovo album e il recente video di We Will Be Back, che ci invita ad andare a vedere, commentando una domanda stupida ricevuta da un giornalista. A questo punto ci attenderemmo che il brano venisse presentato e invece il chitarrista stupisce tutti dicendo Anyway… this is Holy Wars!, con conseguente urlo di gioia di un pubblico entusiasta. Anche in questo caso l’esecuzione è ottima e Dave si prende tutto lo spazio per riprodurre fedelmente l’assolo finale nota per nota, chiudendo infine un concerto ottimo, sotto tutti i punti di vista. Non è ancora finita, Mustaine riprende in microfono e ringraziando tutti, in maniera davvero pacata, come pacato è stato per tutta l’esibizione, invita nuovamente tutti ad ascoltare il singolo We’ll Be Back. Siamo ai saluti: i quattro si radunano e inchinandosi al pubblico chiudono questi tre giorni in perfetto orario.

SETLIST MEGADETH
1. Hangar 18
2. Dread and the Fugitive Mind
3. The Threat Is Real
4. Wake Up Dead
5. In My Darkest Hour
6. Angry Again
7. Sweating Bullets
8. Conquer or Die!
9. Dystopia
10. Trust
11. A tout le monde
12. Symphony of Destruction
13. Peace Sells

---- Encore ----

14. Holy Wars... The Punishment Due


CONSIDERAZIONI A CONCLUSIONE
Senza pretendere troppa pazienza dal lettore, è giusto presentare adesso qualche considerazione. Come anticipato, il festival si chiude con diversi punti a proprio vantaggio: la location anzitutto, bella e apprezzata anche dai musicisti, con ampio prato, facilmente raggiungibile, con numerosi parcheggi nei dintorni. L’idea di mettere i fontanelli per l’acqua gratis è sicuramente meritoria col caldo atroce che ha riverberato l’arena e le code sono state quasi sempre piuttosto veloci, a parte il sabato, giorno di maggiore affluenza. Comunque, tutto nella norma. Anche gli spazi per mangiare si sono rivelati adeguati, con due bar grandi e veloci e una scelta di cibo consona e variegata. Come detto, le esibizioni sono state tutte puntuali e i suoni più che buoni, a conferma che si può fare, anche per i primi gruppi in scaletta. L’atmosfera in generale è stata molto positiva e non sono mancate le foto con i figuranti in costume da Re, Regina, Boia e Giullare, rappresentati anche sui bicchieri del Festival. Già, i bicchieri: la soddisfazione di non vedere cartacce e bicchieri di plastica rotti ovunque è stata enorme, a conferma che il problema non è la mancanza di civicità italiana (o almeno, non solo), ma l’assenza di una riflessione sul tema. Qualcuno avrà storto la bocca per la coda alla cassa e i due euro versati, ma la cifra di per sé non è certo problematica e la collezione di bicchieri griffati ringrazia. Oltre che l’ambiente e la raccolta differenziata, naturalmente. Buona invece la doppia e lunga fila di bagni all’ingresso e dal lato opposto del Castello: piuttosto puliti e quasi sempre velocemente accessibili.
Veniamo alle criticità: pochi gli stand per gli acquisti. Vero che forse tanti soldi da spendere non ce ne sono, ma insomma, un solo stand di CD e vinili, uno solo di magliette, il merchandising ufficiale venduto a prezzi da urlo (niente a meno di venti euro e molte magliette addirittura a trenta o quaranta euro. Non sono prezzi accettabili, specialmente se poi la roba si trova sui siti online, uguale, a prezzi diversi). Allo stesso modo, sette-euro-sette per una Heineken media e otto per una MacFarland sono cifre che non si possono affrontare a un festival metal. Bene, l’acqua è gratis, ma ragazzi, così la cifra da tirare fuori rischia di diventare davvero importante. Sempre parlando di cibo, dagli otto ai quattordici euro per mangiare qualcosa, cinque per una vaschettina di patatine fritte con un bicchierino da caffè di salsa, sono decisamente troppi. Non si esce affamati, questo no. Ma neanche poi così soddisfatti. Perché a esempio, visto che siamo in Veneto, non spezzare il monopolio della birra e offrire del buon vino locale? Prosecco e Spritz immagino farebbero furore e forse avrebbe ancora un senso pagarli sette euro. All'Hellfest qualcosa del genere è stato fatto col Muscadet, vino locale che, non ce ne vogliano gli amici francesi, non è proprio paragonabile per qualità; eppure, ne vanno via ettolitri e più volte tornando indietro ci siamo fermati dai produttori a comprarne per souvenir. Ancora: non è pensabile nell’estate più calda degli ultimi venti anni non avere un angolo all’ombra che non fossero le panche al bar, presto prese d’assalto. L’unico spazio tendato era il palchetto per i portatori di disabilità. Per il resto, tutti ad ammassarsi a ridosso delle mura sui terrapieni, non appena il sole girava, creando l’agognato spicchio d’ombra. Si può fare di meglio. Ricordiamo infine alcune roventi polemiche della vigilia, con una lista di oggetti che non si possono portare dentro molto puntigliosa, che comprende anche medicinali (solo con ricetta medica) e l’impossibilità di entrare e uscire dall’arena. Su questi due punti si può lavorare.
Tirando le somme: un ottimo festival, con una scaletta importante e che forse avrebbe meritato anche più partecipazione del pubblico, in particolare nella terza giornata. Le premesse perché il Rock the Castle continui a crescere, limando via via le cose da rivedere, ci sono tutte. Non è corretto pretendere la perfezione e non è utile lanciare anatemi. Roma non è stata fatta in un giorno e festival importanti a livello europeo paragonabili per dimensioni non sono partiti tutti già al meglio dell’organizzazione. Ci vogliono tempo e dedizione. Speriamo che gli organizzatori dimostrino ancora di averne e di voler migliorare quel tanto di buono che già c’è. Appuntamento al prossimo anno.



Lizard
Venerdì 8 Luglio 2022, 11.54.50
3
Piacere mio e vediamo se riusciamo a ripetere confermo anche io tutto l'entusiasmo per l'esibizione dei Megadeth. Superiori e di parecchio alle aspettative e ad altri show visti in precedenza.
Heavy Metal Grin
Venerdì 8 Luglio 2022, 9.05.49
2
Grazie del report, Lizard. Mi ha fatto davvero piacere conoscerti di persona. Quanto alle esibizioni, sottoscrivo pienamente quanto detto dei Suicidal Tendencies. Mi spiace che i Megadeth abbiano tagliato qualche brano rispetto al 2018 (a memoria almeno Tornado of Souls e The Conjuring) e anche il ritardo dell'inizio immagino sia stato per "coprire" un set più corto, il tutto suppongo per non mettere troppo in difficoltà con la voce MegaDave. Ciò non toglie che mi sia goduto i Megadeth più di qualunque altra band in questi tre giorni e, a giudicare dalle reazioni delle persone intorno a me, non solo io
Lizard
Venerdì 8 Luglio 2022, 8.36.47
1
A conclusione di questo lungo report, mi preme ringraziare Massimo Parucco "Matocc" ed Emanuele Spano "Rasta Back" per l'aiuto che mi hanno dato nella stesura. Saluto tutti gli amici incontrati e quelli che erano presenti e non mi è riuscito incontrare. Alla prossima
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